Minibot e domande al Pd. Fca e domande francesi: perché il caos fa paura?

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Accordo fatto tra maggioranza e maggioranza?

Le lettere al direttore dell'8 giugno 2019 www.ilfoglio.it

Al direttore - Accordo fatto tra maggioranza e maggioranza?

Giuseppe De Filippi

Al direttore - Rovesciando la celebre formula di Von Clausewitz, Michel Foucault sosteneva che la politica è la continuazione della guerra con altri mezzi. Con l’offensiva contro i magistrati a lui sgraditi, non per caso sferrata quando l’ordine giudiziario è nell’occhio del ciclone, Salvini sembra che lo abbia preso in parola. Beninteso, la dimensione conflittuale della politica è insopprimibile, perché inestricabilmente legata alla lotta per la conquista e il mantenimento del potere. Il problema nasce quando l’esercizio del potere invece di disciplinare la vita collettiva promuove uno scontro permanente e senza esclusione di colpi tra chi lo detiene e chi lo contesta. Allora il gioco democratico muta segno e può trasformarsi in una rissa senza regole devastante. “Sono il padre di sessanta milioni di italiani, e un padre ha il dovere di sfamare i propri figli”, ha dichiarato nei giorni scorsi il leader della Lega. Iperbole demagogica ridicola e grottesca, certo, ma che allude a una concezione proprietaria del governo la quale ormai se ne infischia di Montesquieu. Attenzione, quindi. Chi scrive non condivide i foschi presagi di uno sbocco autoritario del nostro regime repubblicano, ma non dimentica che tutti gli studiosi del cesarismo – da Tocqueville a Weber a Franz Neumann – concordano sul fatto che esso sorge e si sviluppa sul terreno della democrazia. Detto questo, resto convinto che il “sexy tribuno”, come qualche eccitato fan lo ha definito, non si combatte con gli anatemi moralistici e le scomuniche religiose. Si combatte, al contrario, con le armi della verità che svelano la menzogna e con la forza della proposta concreta che smonta la demagogia. L’esperienza degli anni passati racconta che, quando si scontrano il populismo rusticano della destra e il populismo immaginifico della sinistra, la contesa è appannaggio della destra, in quanto da sempre l’interesse è più forte del sogno. Se la sinistra vuole tornare a vincere, allora, non può affidarsi all’evento salvifico (la stroncatura dell’Europa, le elezioni anticipate) o all’improbabile sdegno di massa suscitato da una manovra di bilancio che si preannuncia di lacrime e sangue. Occorre anzitutto un progetto per il paese, animato dall’idea che la cultura – nell’accezione più larga del termine – e il lavoro umano costituiscono l’unica reale ricchezza che è nelle mani di una nazione nel mondo globalizzato. Vasto programma? Forse. L’essenziale è che non sia il solito elenco delle cose da fare.

Michele Magno

Un buon inizio, per fare opposizione, potrebbe essere per esempio capire che cosa si vota quando si sta in Parlamento. I minibot, di cui ha parlato con preoccupazione giovedì anche Draghi, non li ha votati solo la Lega: li ha votati anche il Pd. Chiaro?

 

Al direttore - Prima di avviarsi al negoziato con la Renault, Fca sapeva bene, ovviamente, della arcinota posizione francese di carattere colbertista, ma conosceva pure che nella fattispecie questa visione dell’economia è rafforzata dall’essere lo stato francese titolare della maggioranza relativa, con il 15,1 per cento, dell’impresa automobilistica. Sapeva altresì dell’importanza annessa dai francesi ai rapporti con la Nissan. Ma allora come stupirsi del temporeggiamento dei negoziatori d’Oltralpe? Ci si è ben preparati, anche con un piano B, ad affrontare una trattativa che sarebbe stata assolutamente difficile o si è creduto che si sarebbe arrivati rapidamente all’aggregazione avanzando su di un tappeto di velluto? E la dichiarazione di Di Maio sull’inframmettenza della politica non trascura platealmente che in questo caso lo stato è azionista di maggioranza? Chi, poi, avrebbe voluto un intervento del governo italiano “ad adiuvandum” non spiega perché, pur in presenza di un insediamento articolato per paesi di Fca, un gruppo italo-statunitense, l’esecutivo sarebbe dovuto intervenire e a quale titolo. Altro avrebbe potuto essere il rapporto solo con Fca per quel che attiene agli stabilimenti in Italia che fruiscono pure della cassa integrazione. Insomma, c’è un groviglio di problemi, ma bisogna fare attenzione nel dipingere (non lo fa il Foglio) i negoziatori di parte Fca come vittime di un presunto tentativo di una sorta di raggiro (non si capisce con quale finalità), quando, invece, si può anche supporre di carenze non secondarie – almeno stando alle cronache – nell’impostazione strategico-negoziale. Con i più cordiali saluti.

Angelo De Mattia

Avere uno stato troppo impiccione in economia, è il caso della Francia, di solito fa più male che bene al business (Renault, due giorni fa, ha perso il 6 per cento in borsa). Ma avere uno stato amico delle imprese, uno stato che sappia fare da garante, che sappia essere anche abile dal punto di vista diplomatico accompagnando con discrezione ma decisione operazioni industriali, è sempre utile ed è quello che oggi non ha l’Italia. Il caso delle nozze saltate tra Fca e Renault pone diversi interrogativi sul modo in cui la Francia interferisce nelle partite industriali. Ma il punto di vista francese è comunque interessante da considerare e bisognerebbe capire per quale motivo la Francia ha scelto di non fidarsi fino in fondo di Fca. Ieri sul Monde Stéphane Lauer, analista economico, per spiegare le ragioni per cui Renault ha trattato al rialzo e non al ribasso con Fca ha usato una vecchia frase pronunciata da Louis Schweitzer, attuale presidente di Renault, il giorno dopo la fusione fallita con Volvo, quando qualcuno gli chiese perché, dopo quella fusione fallita, Renault non prendesse in considerazione l’ipotesi di sposarsi con Fiat. “Solo perché abbiamo perso una fidanzata non significa che dovremmo andare al bordello”. La domanda che bisognerebbe porsi oggi è dunque questa: cosa ha Fca che non convince gli amici francesi?