Lo spasso dei no Salvini contrari al governo. Anagrammi rivelatori

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Ma è già un’Italia Viva da bere!

Lettere Direttore 20 Settembre 2019 ilfoglio.it

Al direttore - Ma è già un’Italia Viva da bere!

Giuseppe De Filippi

Anagramma del movimento di Renzi: alti viavai. Perfetto, no?

Al direttore - Mancano dieci giorni al termine entro il quale dovrà pervenire la richiesta di referendum abrogativo sulla legge elettorale perché la prossima primavera si possa tenere, come annunciato da Matteo Salvini, una consultazione sul tema. Sembrano davvero pochi (lo erano anche domenica scorsa credo) per poter arrivare alla formulazione del quesito con l’indicazione delle parti della legge da abrogare per elevare la quota di parlamentari eletti con il sistema uninominale, nonché alla deliberazione di cinque consigli regionali da approvarsi con il voto della maggioranza dei consiglieri assegnati a quelle regioni. Si vede che l’ex ministro non ha perso l’abitudine a fare annunci, e a cercare di dettare l’agenda con proposte impercorribili, e non per colpa di agenti esterni. Senza dimenticare che la scorsa primavera, durante l’esame della proposta di legge recante disposizioni per assicurare l’applicabilità delle leggi elettorali indipendentemente dal numero dei parlamentari, la Camera ha bocciato un emendamento del deputato radicale Magi che chiedeva di portare a due terzi il numero dei deputati eletti con il sistema uninominale per collegi, e che – visti i numeri della votazione e l’andamento del dibattito – i deputati della Lega non sembrano certo aver votato ed essersi mobilitati nella direzione del referendum proposto da Salvini.

Marco Eramo

Al direttore - Nel dibattito convulso di questi mesi la posizione che mi risulta più incomprensibile è quella che Giuliano Ferrara definisce degli “anti antifascisti”. Guai a definire un “piccolo Mussolini” (sono parole di Moscovici) qualcuno degli avventurieri che il sovranpopulismo ha messo in libertà. I primi a rivoltarsi sdegnati appartengono al campo dei democratici e dei progressisti. Per loro si potrebbe parlare solo di fascismo e di nazismo (nonostante che in taluni Land tedeschi i neonazisti sfiorino il 30 per cento) se i loro epigoni si esprimessero nelle forme di violenza e prevaricazione storicizzate tra le due grandi guerre mondiali del secolo scorso. A mio avviso (lo dico agli amici ex Pci che si distinguono nel negare il rischio di un regime autoritario se fosse passato il disegno dell’ex Capitano) sarebbe come affermare che il comunismo è finito con Stalin. Il fascismo è una questione di valori, che si ripropongono nel tempo, magari con diverse modalità e forme adeguate ai cambiamenti intervenuti nella storia. Ma è pur sempre fascismo quello insito nelle “passioni tristi dell’Europa”, messe all’indice da Macron nel discorso alla Sorbona: il nazionalismo, lo sciovinismo, l’identitarismo, il sovranismo e – perché no? – il razzismo. Quando si assumono questi disvalori quali riferimenti della propria azione politica non c’è bisogno di indossare il fez e la camicia nera. E non si creda che il fascismo – lo dimostra la storiografia – sia incompatibile con il consenso popolare. C’è una frase di Hitler molto significativa, a tal proposito: “I nostri problemi politici apparivano complessi. Il popolo tedesco non sapeva come affrontarli. Io invece fui in grado di ridurli ai minimi termini. Le masse capirono e mi seguirono”. Per concludere, direttore, Primo Levi scrisse che ogni tempo ha il suo fascismo e che è possibile arrivare a quella situazione estrema “non necessariamente col terrore dell’intimidazione poliziesca, ma anche negando o distorcendo l’informazione, inquinando la giustizia, paralizzando la scuola, diffondendo in molti modi sottili la nostalgia per un mondo in cui regnava sovrano l’ordine’’.

Giuliano Cazzola

Il fascismo nasce certamente dal nazionalismo ma non è corretto considerare una forma di fascismo ogni forma di nazionalismo. In ogni caso, a proposito di posizioni poco comprensibili, per non dire senza senso, lo stato d’animo più interessante da mettere a fuoco riguarda tutti coloro che che per mesi, immersi nella lettura di Scurati, ci hanno raccontato che Salvini era il nuovo Mussolini e che ora che gli anti salviniani si sono messi insieme per governare fanno gli schizzinosi dicendo che al governo non c’è Kissinger, che alla Farnesina non c’è Churchill, che a Palazzo Chigi non c’è De Gasperi, e che fortunati in Spagna che votano ogni mezz’ora. Forse vale la pena ripeterlo: un governo tra Pd e M5s non è il massimo della vita, e certo che non lo è, ma un governo che senza aver fatto nulla, ma proprio nulla, ha stabilizzato il paese, ha allontanato le pulsioni isolazioniste, ha tranquillizzato gli investitori è, per chi ha a cuore l’Europa, l’apertura, la globalizzazione, l’antinazionalismo, il massimo di ciò che si può desiderare oggi.

Al direttore - Il punto non è la coerenza di Renzi (basta ricordare che fu lui a portare il Pd nel Partito socialista europeo). Il punto non è la sua capacità di leader (a volte più che un leader sembra una celebrity). Il punto non è la sua abilità tattica (è riuscito nell’impresa di dimezzare un consenso del 40 per cento e a perdere un referendum già vinto).

Il punto è che la sua scissione torna a indicare politicamente una via ormai abbandonata da tutti, ridotta a una ipotesi o a un desiderio. L’uscita di Renzi dal Pd, invece, è tornata a dare realtà politica a una possibilità. Il sovranismo e il populismo della Lega di Salvini possono essere combattuti senza allearsi a un populismo e a un sovranismo speculari. Salvini si può sfidare in modo diverso da quello del mix di grillismo, corbynismo, doroteismo e trasformismo. Salvini può essere preso di petto anche, e altrimenti, da un fronte liberale. Altrove in Europa si sta tentando qualcosa del genere. In Italia il Pd non ci stava provando più.

Si dice: ma non era stato lui, insieme a Grillo, a far nascere il governo giallorosso? E allora? Peggio per chi ha abboccato alla finta di Renzi. La distinzione fra tattica e strategia, cui gli sdegnati con Renzi si appellano, non sta in piedi. Né per i cinici, per i quali tutto è tattica, né – all’opposto – per coloro per i quali ogni mezzo va valutato con lo stesso rigore con cui si valuterebbe un fine. Anche per questi, tutto è tattica. Semmai è vero che vi sono tattiche giuste e tattiche sbagliate, tattiche che generano più costi che benefici e tattiche che assicurano più benefici che costi.

Le mosse di Renzi in queste ultime settimane hanno costi alti, molto alti (quale tattica però non ne ha?) Renzi, per farsi spazio e spingere subito Zingaretti nell’angolo sinistrista verso cui aveva già orientato il suo Pd, ha slegato un mostro: la combinazione di doroteismo, sinistrismo – anche clericale – e trasformismo (il Conte bis). Questo mostro, però, non è una mera creatura di palazzo, come lo fu la maggioranza del governo Monti. A questo mostro corrisponde oggi in Italia molta società, molta cultura, molto potere e moltissimo sotto-potere. Una coalizione del genere, tanto per fare un esempio, in Umbria potrebbe rimettere in sella uomini e donne di una amministrazione “rossa” che ha fallito e tradito, che ha portato la regione in declino, derubandola e corrompendola, per spingerla infine rudemente lontano dal centro-nord e ben al di sotto della “linea della palma”. Renzi voleva un governo di qualche mese, è nato un governo di legislatura e una maggioranza generalizzabile. Non basta, con questo mostro Renzi ha sottoscritto un patto che include persino un ritorno senza residui al proporzionale.

Ce la farà Renzi a rimettere in gabbia il mostro? Ce la farà a sganciarsi e a sovvertire il patto per la proporzionale pura? Questo è il punto. Questa è la domanda che resta aperta. Qui si giudicherà se Renzi ha fatto male i conti un’altra volta oppure no (speriamo di no).

Intanto, però, abbiamo due benefici. Salvini ha preso una bella botta (ma certo non ha finito il carburante!) ed è stata data realtà politica al fatto che verso di lui e il suo sovranismo populista può essere lanciata una sfida non sovranista-populista-trasformista, ma una sfida liberale. Due benefici che forse potevano essere garantiti altrimenti e meglio (con le elezioni? … ma questa è ormai materia per gli storici), ma due benefici che sono di grande valore. Forse non sarà Renzi ad arrivare in fondo alla strada che ha (ri)aperto, ma intanto con la sua scissione l’ha (ri)aperta.

Luca Diotallevi