Lettere al Direttore Il Foglio 31.7.2015

Categoria: Rubriche

La giustizia e le molte teste di Casson, come direbbe Montanelli

1-Al direttore - Complimenti a Maurizio Crippa (e al Foglio) per il suo articolo su Antonio Azzollini.

Il senatore Ncd è di Molfetta, dove nacque Gaetano Salvemini. Uno dei pensieri più famosi del maestro politico dei fratelli Rosselli sul mestiere di giornalista è questo: “Noi non possiamo essere imparziali. Possiamo essere soltanto intellettualmente onesti, cioè renderci conto delle nostre passioni, tenerci in guardia contro di esse e mettere in guardia i nostri lettori contro i pericoli della nostra parzialità. L’imparzialità è un sogno, la probità un dovere”. Ovviamente, sarebbe sciocco pretendere da Marco Travaglio l’adesione alla deontologia professionale professata da Salvemini. Ma la furia giustizialista dei grandi quotidiani italiani, Corrierone in testa, è inquietante. Ieri un suo editorialista ha dedicato due colonne a Roma, simbolo del collasso etico del nostro paese. Ma a tale collasso etico contribuiscono anche le firme che hanno fatto proprio il motto “Tutti in galera!”, urlato da Catenacci, lo straordinario personaggio interpretato da Giorgio Bracardi in una leggendaria trasmisione radiofonica (“Alto gradimento”). A chi gli obiettava che occorrevano le prove, Catenacci rispondeva: “Ma chettefrega?”. Ecco, quando lo ascoltavamo – quarant’anni fa – ridevamo (almeno io ridevo) di gusto. Quando invece oggi sentiamo affermare dall’ex magistrato Felice Casson (“quella bella testa di Casson”, come lo chiamava Indro Montanelli) che “hanno salvato uno della casta”, non possiamo che essere assaliti (almeno io lo sono) da una profonda, inconsolabile tristezza.

Michele Magno

Di belle teste di Casson, in realtà, in giro, quando si parla di giustizia, ce ne sono molte.

2-Al direttore - Prendere la ramazza e pulire la nostra città? E’ compito solo dei netturbini? Non ci si deve sporcare le mani? Ma se una città, un paese, un borghetto, una viuzza sono sporchi, di chi è la colpa? Se non nostra. Se si imparasse a tener pulito il marciapiede davanti a casa nostra, se si facesse (sul serio) la raccolta differenziata, se non si lanciassero sigarette per terra, etc… forse non accadrebbero certe cose. Brutto a dirsi ma è sic et simpliciter una questione di civiltà.

Lucia Marinovic

3-Al direttore - Bella la fotografia della signora Mogherini con foulard. O forse era un voile? Sicuramente era un copricapo che non abbiamo mai visto indossato da Lady Pesc. Se io devo indossare un capo di abbigliamento, peraltro con un chiaro significato religioso, quando sono ospite di qualcuno, perché non chiedere di fare altrettanto a chi ci viene a trovare. Sempre che sia donna, perchè se uomo, da nessuna parte nel mondo, vengono chieste cose “particolari”. E allora perché non chiedere di indossare orecchini o ciondoli a forma di croce, o di mettere una gonna sopra il ginocchio, o chissà quale altra cosa che per noi è abitudine. Ma poichè siamo liberi, viva la libertà di fare quel che si vuole… sempre che si sia liberi.

Leo Berenovic

Michele Serra direbbe che il suo è un modo come un altro di fomentare l’islamofobia, lo sa?

4-Al direttore - Non so se ha notato che, nell’ultima settimana, Repubblica in collaborazione con il Censis ha pubblicato una guida per aiutare i ragazzi a districarsi nella scelta dell’Università, stilando classifiche dei vari atenei. Peccato che la classifica fondamentale, quella della didattica, venga stilata in base al grado di internazionalizzazione e alla percentuale di studenti in pari (come verificabile dal sito del Censis). Come dire che un falegname è bravo se conosce tanti altri falegnami e fa prezzi bassi. Poi fa niente se i suoi tavoli non stanno in piedi. Risulta particolarmente buffo il secondo posto di Camerino nella classifica di scienze, con Pisa e Padova al diciassettesimo e diciottesimo posto. La cosa grave è che così si inducono migliaia di ragazzi a fare scelte contrarie ai loro interessi. Si fa presto a riempirsi la bocca di meritocrazia…

Giulio Bresciani

5-Al direttore - LeggendoVi tutti i giorni conosco la sensibilità che avete in tema di denigrazione gratuita della civiltà occidentale. Mi stupisce allora che non abbia trovato spazio un commento sul piccolo grande Bailey Matthews, e la sua impresa – notizia dell’altro ieri? Forse è solo una mia interpretazione balzana, ma la sua storia, e il modo in cui è arrivato, spronato dal padre, a fare quello che ha fatto, rende un poco di onore a tutti noi, ed è un esempio di come, da queste parti, per certe cose, di strada se ne sia fatta. Altrove, credo assai meno?

Marco Galmuzzi

6-Al direttore - Qualche riflessione sull’articolo da voi pubblicato il 25 luglio dal titolo “L’impero del carrello”. Non voglio entrare sulla ricostruzione della storia della Grande Distribuzione Organizzata (Gdo) italiana e straniera, né sul tono complessivo del pezzo, che lascia intravvedere un mondo speculativo e opaco, esattamente il contrario di quello che riteniamo di essere. Due aspetti, tra loro interconnessi, mi interessano però particolarmente e fanno entrambi riferimento al nostro rapporto con i consumatori: il primo riguarda, per usare le parole del vostro testo, “che cosa ci guadagna il cliente?”; il secondo riguarda invece il grado di concorrenza presente nel nostro settore. Sul primo punto: è da tutti riconosciuto che la Gdo ha sostenuto il processo di democratizzazione dei consumi, che ha accompagnato lo sviluppo del paese dal Dopoguerra, rendendo disponibile a tutti e per tutte le tasche ogni tipo di prodotto. Un processo che continua ancora adesso, proponendo la maggiore convenienza possibile, con prezzi più bassi di qualsiasi altra formula di commercio. Un risultato ottenuto attraverso promozioni, nuovi posizionamenti commerciali (“every day low price”, cioè prezzi bassi tutti i giorni), l’utilizzo del canale e-commerce in modo complementare al canale fisico dei punti vendita. L’articolo parlava di inflazione, citando l’Istat. Ecco allora gli ultimi dati Istat di giugno 2015. Per fare un’analisi corretta occorre depurare l’inflazione dai beni energetici: ciò perché in questo momento stanno spingendo l’indice generale dei prezzi verso il basso, ma solo in un recente passato sono stati la causa di un fortissimo rialzo. Ebbene, a giugno 2015 Istat ci dice che l’indice generale al netto dei beni energetici è pari al +0,8 per cento e l’indice dei beni alimentari, della cura della casa e della persona (cioè ciò che vende un supermercato) è anch’esso pari a +0,8 per cento. E ciò vale a maggior ragione per l’intero 2014: sempre secondo l’Istat il primo indicatore ha mostrato un +0,6 per cento, mentre i prezzi dei beni da noi venduti si è fermato a un +0,3 per cento. Non è quindi in questi beni che s’annida ora l’inflazione. Ma, numeri a parte, deve essere tenuta presente una considerazione fondamentale: i prezzi che la Gdo propone ai consumatori sono il risultato di tutto ciò che accade nella filiera, dall’agricoltura (con le sue variabilità dovute principalmente ai fattori climatici) all’industria di trasformazione (con le sue politiche commerciali) e, certo, anche alla distribuzione. Le cose non possono dunque essere affrontate in modo semplicistico, attribuendo alla sola distribuzione la formazione del prezzo e la sua dinamica! Veniamo ora alla concorrenza. La concentrazione in Italia è inferiore rispetto a quella degli altri paesi europei. Il tessuto della Gdo è composto in grande parte da imprese nazionali che operano su scala regionale o multi regionale (il peso delle aziende a capitale straniero è inferiore al 20 per cento e anch’esse operano in forte competitività), con fortissimo legame con il territorio. Questo fatto assicura un alto grado di concorrenza che è la miglior tutela degli interessi del consumatore. D’altra parte chiunque sia solito fare la spesa è al corrente di quanta “lotta” si facciano le insegne attraverso comunicazione, promozioni sui punti vendita, ecc. Un livello di concorrenza che non vediamo nei settori a noi limitrofi (farmacie, banche, assicurazioni, professioni, eccetera) e che è causa di costi impropri per le nostre imprese. Attraverso concorrenza e convenienza la Gdo sta quindi operando, anche in questo periodo di crisi, a tutela del potere d’acquisto dei consumatori, pagando un calo sostanziale degli indicatori di redditività (utile sul fatturato ridotto allo 0,4 per cento nel 2013, con prospettive ancora peggiori per il 2014). Un’azione che difficilmente viene riconosciuta, ma che per noi è motivo di soddisfazione e che, come in questa occasione, vogliamo affermare.

Giovanni Cobolli Gigli, presidente di Federdistribuzione

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