Lettere al Direttore Il Foglio 4.9.2015

Categoria: Rubriche

Le caste indiane e le deportazioni italiane. Se fossimo nati in Siria? - La crisi e la disoccupazione creano anche questi paradossi.

1-Al direttore - La crisi e la disoccupazione creano anche questi paradossi. Pur abolite dalla Costituzione del 1950, in India le caste e le sottocaste superiori chiedono di essere “degradate” in quelle inferiori. Soprattutto l’etnia Patidar (circa un quinto della popolazione), composta da proprietari terrieri, agricoltori e commercianti, rivendica gli stessi benefici di welfare di cui godono gli intoccabili dalit (nell’accesso al lavoro, all’istruzione, agli uffici pubblici). In Italia, ce li vedete voi avvocati, farmacisti, notai, chiedere di essere retrocessi nella “classe dei dipendenti” per poter usufruire della Naspi (nuova assicurazione sociale per la stabilità dell’impiego)?

Michele Magno

Rifiutare stabilizzazioni non gradite per non essere deportati. Già sentito.

2-Al direttore - Sul ruolo e sulla figura di Raffaele Cantone incombono regionalismi e localismi aggressivi. Non tanto quelli di chi lo ha voluto sovrintendente di sindaco e prefetto a Roma Capitale, quanto i desideri di condividere l’affidabilità mediatica che da lui emana. Di qui l’annuncio del presidente della Campania Vincenzo De Luca di siglare un’intesa con il presidente dell’Authority anticorruzione per ottenere una puntuale “verifica di compatibilità legale sugli atti amministrativi”. Che cosa significhi non si capisce, ma c’è già odore di conflitto di attribuzioni alla Corte costituzionale. Tanto più che lo stesso Cantone ha preso posizione da “tifoso entusiasta” a favore di Ercolano in corsa per diventare capitale italiana della cultura per il 2016 e 2017. In questo caso l’invasione di competenza a scapito di quella dei beni culturali è ancor più vistosa. Come già a suo tempo Antonio Di Pietro, anche Cantone rischia di venir meno al personaggio di “eroe positivo” dell’italico moralismo di massa.

Luigi Compagna

3-Al direttore - Sono molto d’accordo con la Paola Peduzzi: è in atto uno scontro di civiltà e gli ipocriti indignati, a questo punto, sono dei vigliacchi. I nostri nipoti li malediranno. Tra 50 anni gli eredi degli indignati scriveranno che, in effetti, abbiamo capito e reagito in ritardo, come per Hitler. Ma sarà tardi.

Giuseppe Zola

4-Al direttore - Dall’Orto parla bene. Solo c’è da sperare che la svolta “pop” da lui pensata – “essere in sintonia con la contemporaneità” dice – non coincida con un palinsesto mainstream e politically correct. In tal caso ci teniamo volentieri gli attuali talk show casinari e cacofonici in cui alla fine non si capisce nulla.

Federico Paniz

5-Al direttore - Stupenda lettera, quella del gatto Amos in Di Michele (immagino SDM). La mia Birba, gatta senza un orecchio, si associa ad Amos nella preghiera a santa Gertrude di Nivelles.

Franco Bolsi

6-Al direttore - La legittima difesa è legittima. Siamo in un tempo in cui occorre ricordare cose banali. L’occidente, vigliacco e decadente, dovrebbe ricordarsi che la legittima difesa è legittima e applicare il principio per difendersi dal Califfato, sgozzatore e distruttore. Con il Califfato, evidentemente, non si può dialogare e pertanto non rimane che la legittima difesa, che può e deve anche usare la forza. E che cosa aspettiamo? Che arrivino veramente a Roma? Non bastano le uccisioni di innocenti e la distruzione di intere civiltà? Dimenticavo: prima della forza fisica occorre che ci sia forza morale e su questo l’occidente latita: si occupa solo di distruggere anche in Europa la civiltà cristiana (vedasi il liberticida Hollande nella scuola francese), insieme alla cultura illuminista.

Giuseppe Zola

7-Al direttore - A Sofri voglio dire che io non darei mai i miei calzoni a un ivoriano come crede lui. Ma leggendo sopra Matteo Matzuzzi, calzoni camicia e quanto posso a un cristiano dei tanti martirizzati dagli islamisti come quell’ivoriano.

Luciano Rondina

8-Al direttore - Se fossi nato in Siria sarei più basso e peloso, avrei avuto una madre dolce e attenta, otto tra fratelli e sorelle, tanti amici nel villaggio dove prendere il volo con la fantasia tra la polvere, avrei mangiato riso e fagioli per anni e pollo in umido la domenica. Sarei andato controvoglia a scuola in una classe di cento ragazzi col maestro che non si sentiva neanche. Fino al giorno che mio padre bacchettone mi avrebbe preso per le orecchie e sbattuto ai bordi della strada con davanti una cassetta di calze ed accendini da vendere ai passanti, e in moschea al venerdì.

Se fossi nato in Siria avrei capito presto di non avere prospettive, niente soldi per l’università, niente diritti o giustizia sociale, solo qualche tiranno in giacca a cravatta da una parte e duri mullah dall’altra. Avrei dovuto aspettare decenni per alzare la tunica alla mia donna, anni a sognare racimolando briciole per potermi sposare col permesso delle famiglie. E poi per cosa? Una vita da fame, tutti a dormire ammucchiati in una stanza, senza acqua potabile, senza corrente, tirando avanti a riso e fagioli, nemmeno un ospedale decente dove curarci, nemmeno una squadra di calcio per cui tifare. Senza futuro, per noi, per i nostri figli. E il futuro dicono che ci sia. E se fossi nato in Siria sarei andato all’internet cafè giù all’angolo per guardarlo. E avrei visto come vivono gli europei, sempre eleganti, puliti, liberi di andare in giro per strada senza coprirsi, senza paura di quello che dicono o pensano. Li avrei visti uscire da condomini moderni, girare con delle belle auto, sorridenti. Avrei pensato che alla fine i bianchi non sono tutti idioti come Bush padre e figlio, e che è pieno di gente normale e che in fondo la democrazia non è affatto male. E’ bello essere liberi di credere quello che si vuole e disegnarsi la vita secondo le proprie convinzioni, nel rispetto delle leggi certo, lavorando certo. Ma lontano da terroristi fanatici che ti vogliono riportare al Medioevo, lontano da dittatori ottusi figli di uno sciagurato colonialismo, lontano da un paese raso al suolo da bombe che non si capisce nemmeno più chi le lancia.

Se fossi nato in Siria, un pomeriggio di fine estate qualsiasi, seduto all’internet cafè all’angolo, avrei deciso che la vita è una sola, e corre veloce, e che quella donna che mi ha imposto mio padre non l’amo nemmeno, che riso e fagioli mi danno la nausea, e che forse non ho potuto studiare molto ma ho forza e voglia di fare, e non voglio finire come mio padre, che non voglio perdere la speranza. Se fossi nato in Siria bacerei mia madre con tenerezza e manderei tutti a fare in culo, e mi metterei in cammino, a piedi, in barca, in treno non importa, coi miei stracci. Con la mia esistenza. Meta l’Europa, il futuro.

Tommaso Merlo