Lettere al Direttore Il Foglio 30.9.2015

Categoria: Rubriche

Magistrati che fanno piani industriali, Putin tra palco e realtà. Pietro Ingrao era un oratore straordinario capace di toccare le menti

1-Al direttore - Tutta colpa di Giancarlo Cimoli e Francesco Mengozzi, insomma (il secondo lo conosco da una vita, e mi sono note le sue battaglie per mettere un po’ in ordine i conti di Alitalia). E le segreterie di partito che imponevano valanghe di assunzioni? E la mitica Anpac del comandante Augusto Angioletti, che faceva il bello e il cattivo tempo nel cda? E i sindacati confederali, voraci e insaziabili di posti di lavoro, promozioni e prebende di vario tipo? E i Silvio Berlusconi e i Corrado Passera, alfieri dell’italianità della Compagnia di bandiera (con la Cgil a fare da scendiletto)? E i capitani coraggiosi di Roberto Colaninno? Tutti assolti, naturalmente. Beninteso, se ci sono responsabilità penali o civili di un manager, i giudici sono chiamati ad accertarle e, eventualmente, a sanzionarle. Ma fino a qual punto può arrivare il loro potere di giudizio: anche fino a quello di scavalcare il codice e di negare ogni autonomia a un amministratore delegato, perfino nelle decisioni più minute? Non vorrei che si ripetesse l’obbrobrio di cui è stato vittima il fondatore di Fastweb, Silvio Scaglia. Tanto, ormai la giustizia in questo paese talvolta assomiglia alla bancarella di un mercato rionale, in cui si compra o si vende un tanto al chilo, senza badare troppo ai grammi che mancano.

Michele Magno

Vedremo con attenzione come andrà l’inchiesta, ma c’è un dato che risulta curioso e che rappresenta una spia significativa di un istinto naturale della magistratura. Tra i capi di imputazione contestati a Cimoli c’è anche quello di aver dato 52 milioni di euro a McKinsey per una ristrutturazione aziendale che non avrebbe dato i frutti sperati. Ora va bene tutto ma siamo sicuri che sia lecito che un tribunale abbia facoltà di discettare non solo su ciò che riguarda il codice penale ma anche su ciò che riguarda da vicino un piano industriale?

2-Al direttore - Nel 2012, quando la guerra civile siriana era agli inizi, la Russia propose agli Stati Uniti di risolvere la crisi garantendo ad Assad un’uscita di scena onorevole e promuovendo una transizione nella quale Mosca avesse voce in capitolo. Washington rifiutò perché, come mi disse l’analista israeliano Zvi Magen con espressione cruda ma efficace (il Foglio, 22/2/2013), l’America “voleva la Siria gratis”, cioè senza concedere nulla ai russi. Oggi, dopo un numero incalcolabile di vittime, di orrori e di distruzioni, l’occidente si sta forse rendendo conto, obtorto collo, che quella russa era la proposta giusta.

Massimo Boffa

Bisogna però distinguere tra palco e realtà. C’è del vero in quello che lei dice ma bisogna anche aggiungere un altro punto: oggi è Putin che guida le danze delle nazioni disunite, è vero, ma se la Siria è diventata quel macello che è oggi è anche colpa di un macellaio di nome Assad. In questo momento Putin, fenomenale stratega, ha le sue ragioni per difenderlo. Ma quando lo Stato islamico non era ancora avanzato in Siria e c’erano le condizioni per spingere Assad lontano da Damasco, quell’uscita onorevole che lei cita coincideva con questo: una dichiarazione di guerra da parte della Russia contro tutti i paesi a cui era passata per la testa l’idea di mettere in campo un regime change in Siria.

3-Al direttore - Renzi ha ragione di affermare che è il governo italiano a decidere quali tasse ridurre e non la Commissione Ue che vorrebbe che si alzassero le imposte sui consumi e sugli immobili, rivedendo altresì le agevolazioni relative all’Iva. Il fatto è che, però, Bruxelles ha dalla sua il placet che l’esecutivo vuole che conceda sulla flessibilità, potendo così innalzare, nel 2016, il rapporto deficit-pil al 2,4 per cento (compresa la flessibilità per gli immigrati) anziché ridurlo all’1,8, rinviando poi al 2018 il pareggio di bilancio. Nella perdurante indeterminatezza sui criteri di un tale riconoscimento e in mancanza di una chiara iniziativa per rivedere sostanzialmente il Fiscal compact (e i precedenti Two pack e Six pack), la flessibilità diventa quasi “ottriata” e finisce con il rendere possibili, ancorché inaccettabili, gli sconfinamenti della Commissione e, innanzitutto, dei suoi funzionari, secondo una implicita, pretesa logica del “do ut des”. Quest’ultimo intervento è un episodio in più che dovrebbe spingere a una iniziativa per rivedere adeguatamente, non sulla base della genericità degli impegni e delle norme che vigono ma si applicano solo in un certo modo, le regole comunitarie. Con i più cordiali saluti.

Angelo De Mattia

4-Al direttore - Pietro Ingrao era un oratore straordinario capace di toccare le menti e i cuori dei militanti. Eppure, non si sarebbe mai permesso di svolgere, parlando a braccio, una relazione al Comitato centrale del partito, di tenere un grande comizio o prendere la parola alla Camera, senza aver pensato a lungo e messo per iscritto il discorso che si apprestava a pronunciare. La sua non era incertezza per le cose da dire, ma rispetto e considerazione per chi lo avrebbe ascoltato. Condivisibile o meno che fosse, il pensiero politico di Pietro Ingrao non si sarebbe mai potuto riassumere con uno slogan impresso in una felpa o nelle 140 battute (spazi inclusi) di un tweet.

Giuliano Cazzola

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