Lettere al Direttore Il Foglio 29.10.2015

Categoria: Rubriche

Quelli che il fondamentalismo si combatte non intervenendo, o yes. Appunti per Sergio Rizzo

1-Al direttore - Probabilmente le scuse di Blair, addossando le responsabilità sull’intelligence, sono un tentativo di riposizionamento

in vista della consegna a David Cameron delle conclusioni a cui sarà giunta la commissione d’inchiesta Chilcot sul coinvolgimento britannico in Iraq. Consegna, perché per la pubblicazione del Rapporto finale occorrerà attendere ancora per mesi. Non è l’occasione per la/le democrazia/e per trarre lezioni – politiche e non solo eventualmente – ed evitare errori che in futuro portino alla creazione di ciò che Bush stesso ha definito “Al Qaida +”, riferendosi all’Isis?

Matteo Angioli

La/le democrazia/e per evitare errori che in futuro portino alla creazione di ciò che Bush stesso ha definito al Qaida, riferendosi all’Isis, deve fare solo una cosa: evitare di chiedere scuse sciocche come quelle di Blair e ricordarsi sempre che la proliferazione del terrorismo e del fondamentalismo avviene esattamente per le ragioni opposte: non intervenendo, non esportando la pace, chiudendo gli occhi e pensando sempre che ci sarà qualcuno più scemo di noi che risolverà problemi che ci riguardano. Dice il saggio che se non ci si occupa del terrorismo e del fondamentalismo sarà il fondamentalismo prima o poi a occuparsi di te. E su questo devo dare ragione a una certa Emma Bonino. Era il 2004. Erano i tempi dell’intervento in Iraq. “Molti, in Europa, hanno continuato a pensare che il terrorismo fosse quasi esclusivamente un problema tra arabi e americani, i quali in qualche modo ‘se lo sono anche meritato’. E invece è arrivata la prova lampante che al Qaida rappresenta una minaccia reale anche per noi, perché è un’organizzazione che agisce su scala globale secondo un’agenda politica neanche segreta, ma ormai patente, sbandierata, annunciata, predicata”. Chiaro, no?

2-Al direttore - Sono un cittadino romano non più molto felice di vivere in questa città. La capitale d’Italia, forse la più bella o la più importante città del mondo, che ormai viene raccontata all’intero pianeta come un verminaio che nulla risparmia in termini di squallore, soprusi, degrado civile e morale. Va detto che nemmeno il Papa viene tenuto fuori da queste vicende: non credo che esista, nella storia, il precedente di qualcuno che – come il sindaco Marino – fa incavolare talmente tanto il Pontefice da obbligarlo a una rettifica in mondovisione “… non ho mai invitato il sindaco Marino negli Stati Uniti… Capito!!!…”. Il rappresentante del Padreterno in Terra, costretto a misurarsi con un signore così immodesto da credersi un dio in sala chirurgica o con la fascia tricolore… Ma si può?! Ma tant’è, questi sono i tempi, questa la deriva. Al punto che non mi sorprendono, ma continuano a indignarmi, l’insipienza e le manipolazioni, lì dove si opera (si dovrebbe operare) per il bene pubblico. Così, per me – che sono un attento lettore di tre o quattro quotidiani al giorno (data l’età e il tempo a disposizione, non mi rassegno a internet e non mi privo del piacere di occupare il tempo con la lettura “vecchio stampo”) – saltano agli occhi alcune follie che in un paese normale (come in Francia con i dirigenti di Air France) avrebbero già spinto la gente in strada con i forconi. Un esempio fra tutti, forse il più clamoroso dell’insipienza di Marino & Co,, la questione del patrimonio immobiliare della mia città. Leggo sul giornale un’intervista di Marino a Gramellini, in cui dice di “avere cacciato” il vecchio gestore del patrimonio (Romeo Gestioni). Prendo nota, ma poi leggo due giorni dopo una rettifica puntigliosa pubblicata sempre sulla Stampa, in cui il sindaco viene tacciato o per turbatore di aste pubbliche o per bugiardo dalla Romeo Gestioni, che replica a muso duro. Gramellini incassa e tace. Il sindaco incassa e tace. Qualcosa vorrà pur dire, no? Non basta. Pochi giorni dopo, un signor giornalista come Sergio Rizzo, spara a zero – sul Corriere – a proposito di migliaia di faldoni con tutta la documentazione relativa al patrimonio, che sarebbe stata abbandonata senza custodia in alcuni capannoni della ex Fiera di Roma.

Aggravante: il fatto che non ci sarebbe alcun supporto informatico-digitale a corredo di questa documentazione. Essendo un inquilino di una casa del comune, mi sorprendo perché a me arrivavano regolarmente le bollette chiaramente elaborate da un sistema informatico e non scritte a mano. E non posso credere che il comune avrebbe mai accettato una riconsegna del suo principale tesoro amministrativo, senza strumenti adatti poi a gestirlo. Ma forse il problema è che chi è subentrato a Romeo, non sa usare quello strumento. Questo mi spiegherebbe perché ora le bollette non mi arrivano, o arrivano in ritardo e senza quegli aggiornamenti che ne cadenzavano la vita. Poi leggo – sempre a firma di Rizzo – che a dare una spiegazione di tanto caos sarebbe stata l’assessore Cattoi. Mi chiedo: ma non è l’assessora messa di corsa al Patrimonio, e che come prima cosa ha violato la regola del silenzio istituzionale, annunciando la vittoria della Prelios sulla Romeo mentre la gara per il nuovo gestore era ancora in corso? Sì, mi ricordo, proprio lei. Tant’è vero che su questa faccenda è stata ascoltata dai pm, e se non ricordo male ha avuto anche un avviso di garanzia. Allora mi chiedo ancora: ma un signor giornalista come Rizzo, controlla quello che scrive? O scrive quello che vuole controllare? Così mi spiego pure il populismo de “L’Arena”, domenica scorsa, con Giletti che introduce enfatico un servizio sulla faccenda dei faldoni di carta, utilizzando pari pari il canovaccio dell’articolo di Rizzo, senza un minimo di contraddittorio o di controllo. Tranne il povero Gasparri che – forse per prudenza ed esperienza – avanza il mio stesso dubbio: “Impossibile gestire tutta quella roba con il pennino…”. Dove voglio arrivare? Mi scusi, Direttore, l’ho presa lunga. Ma da cittadino schifato, che vorrebbe una città ordinata e servizi corretti, e un minimo di efficienza per non avere una vita ancor più complicata di quanto non accada per colpa dell’età, della pensione che non basta e della paura di uscire di casa dopo una certa ora, se fossi un giornalista farei altre domande e altre questioni. Per esempio: la società che ha vinto la gara, finora che cosa ha fatto? E che cosa promette di fare? E come? Con quale eventuale diversa efficienza? E il comune davvero ha accettato tutte quelle carte e zitto? E la Cattoi che cosa controllava e ha controllato in questi otto o nove mesi? E quali sono davvero i piani per rispettare i cittadini-inquilini? E per evitare nuovi scandali, come quelli delle case di pregio – gestite direttamente e autonomamente dalla giunta – e “regalate” con affitti irrisori ad amici e amiconi fuori da ogni regola di canone, di cui un gestore, invece, terrebbe certamente conto per evitare di essere messo in mora? Vuoi vedere, mi sono detto, che tutto questo polverone è stato tirato fuori ad arte perché così tutte le colpe e le responsabilità di chi dovrebbe fare, e non sa fare e non fa, ricadono su chi invece faceva ma – come dice il sindaco Marino – è stato “cacciato”? O doveva essere cacciato, quale che fosse il modo e oltre ogni ragionevole scelta amministrativa? Diceva Andreotti che a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca. Io di questa faccenda – in cui vedo tante manipolazioni – penso un sacco di male. E non mi importa di far peccato. Soprattutto se c’azzecco. Alla mia età mi accontento. Ma così, caro Direttore, non si va da alcuna parte, se non in rovina.

Mario Martini

L’illegalità si combatte non imponendo moralismo chiodato ma imponendo un regime di efficienza. E sulle caste dei moralisti forse i campioni della casta qualche soddisfazione potrebbero regalarcela.

3-Al direttore - Formulo la presente a nome e per conto della dottoressa Gloria Satta, la cui analoga richiesta di rettifica fattale pervenire in data 23 ottobre u.s. è rimasta priva di riscontro veruno. Sul Foglio del 23 ottobre 2015 è comparso un articolo dal titolo “Il film bellissimo su Foster Wallace e gli stipendi degli uffici stampa”, nel quale si dà conto del contenuto (dichiaratamente origliato) di presunte conversazioni private della dottoressa Satta. In particolare, la mia assistita avrebbe stigmatizzato i “lauti stipendi” degli uffici stampa del MIA. Tale notizia è radicalmente falsa. La dottoressa Satta non ha mai, espressamente o per implicito, commentato le retribuzioni degli uffici stampa del MIA né ne ha ad altro titolo giudicato l’operato. Mentre sulla prassi di “origliare” conversazioni private di Colleghi si pronuncerà l’ordine dei giornalisti, già sollecitato ad assumere i provvedimenti di competenza, la falsità delle notizie riportate impone la rettifica delle stesse ai sensi dell’articolo 8 della legge sulla stampa, rettifica che con la presente sono a chiedere con effetto immediato.

Avvocato Alessandro Gentiloni Silveri

4-Al direttore - Le conclusioni del Sinodo, ambigue perché accomodanti, temo ridiano spazio all’insalubre ermeneutica storiografica – tanto cara ai progressisti cattolici del circolo bolognese di Alberigo e soci – della distinzione tra la lettera dei testi conclusivi delle assise e spirito delle stesse. Tesi storiografica, questa, funzionale ed efficace a chi voglia portare avanti una sorta di rivoluzione permanente dei fondamenti del cattolicesismo. Come già avvenne per il Vaticano II, anche per l’odierno Sinodo il presupposto affinché la suddetta ermeneutica possa efficacemente dispiegarsi risiede nella ambiguità – voluta o subita poco importa – dei testi approvati. Non mi dilungo negli esempi a iosa che si potrebbero fare al riguardo. Mi preme solo aggiungere una considerazione: cattolico vuol dire universale, non solo perché la chiesa si rivolge a tutti gli uomini fino agli estremi confini del mondo, ma soprattutto perché portatrice e testimone di una legge morale che, in quanto tale, non può che essere universale e assoluta. Ma l’inculturazione della fede per mezzo della morale del “caso per caso” da un lato, così come la “decentralizzazione” delle prerogative e poteri papali di cui il Pontefice ha più volte parlato dall’altro, ricevono dalle conclusioni dei padri sinodali la loro sanzione. Allora mi chiedo: su questa strada non si corre il rischio che non vi sia più la morale cattolica, ma tante morali diverse e confliggenti: dell’individuo, di gruppo, di etnia, al massimo diocesane o episcopo-nazionali? E se questo è il rischio vero che corre oggi la chiesa, credo che non potremo escludere che a breve ci sia chi proporrà di mettere in soffitta anche il termine cattolico.

Alberto Bianchi

5-Al direttore - Eppure devo ancora conoscere un vegano, vegetariano o salutista ultracentenario.

Jori Cherubini

6-Al direttore - Ci voleva un Sinodo? Se già papa Giovanni Paolo II si inginocchiò e pregò insieme al suo attentatore, ci voleva un Sinodo per affermare che la chiesa prova misericordia e concede il perdono a chi lo richiede in maniera convinta? Sono sicuro che molti divorziati anche oggi accedono alla confessione e al sacramento dell’eucarestia perché il sacerdote che li ascolta li comprende. Quello che disturba è la pretesa di trattare l’umanità per categorie, trascurando il fatto che l’anima è della singola persona, mentre l’“insieme” non la possiede; al massimo ha un comune sentire del tutto superficiale e dettato molto spesso dal pensiero più in voga e meno in contrasto con la volontà di soddisfare ogni desiderio e di conciliare il più possibile, come si dice, “il diavolo con l’acqua santa”. Il Signore non abbandona ogni singolo uomo: non lo faccia la chiesa col pretesto di adeguarsi ai tempi che cambiano.

Enrico Venturoli

7-Al direttore - Il partito dei vaffa e degli insulti un tanto al chilo si straccia le vesti per una battuta della Littizzetto e, aizzato dal capo, invoca la censura. Per la serie: la libertà di satira finisce dove comincio io.

Vincenzo Clemeno

8-Al direttore - Esprimo viva soddisfazione per la sentenza del Consiglio di stato sull’illegale trascrizione delle unioni omosessuali all’estero e invio anche la piena solidarietà al magistrato Carlo Deodato, attaccato strumentalmente dalle associazioni gay. Le leggi, quando vi sono, vanno rispettate da tutti, a parte i sentimenti più o meno interessati.

Mario De Florio

9-Al direttore - Prendiamo atto che il prof. Garattini è fra i più fermi detrattori dell’omeopatia, come abbiamo letto su questo giornale. Non dimentichiamoci però che in Italia 11 milioni di persone ricorrono alle medicine non convenzionali (1 italiano su 6 almeno una volta all’anno utilizza medicinali omeopatici) e diverse associazioni mediche di settore hanno già puntualmente risposto al professore relativamente alla scientificità di questa disciplina. A nome di Omeoimprese sono in dovere di affermare che i nostri prodotti sono classificati come medicinali dalla Direttiva europea sul farmaco e autorizzati dall’Agenzia italiana del farmaco. L’omeopatia è riconosciuta nella maggior parte dei paesi dell’Ue e, in alcuni casi, è addirittura dispensata dal Servizio sanitario nazionale. Le nostre aziende sottostanno ai controlli sulla qualità e sulla produzione a cui tutte le case farmaceutiche si sottopongono periodicamente. Come sottolineato in questi giorni da alcune associazioni mediche di settore, le medicine non convenzionali sono classificate come pratica medica dalla FNOMCeO - Federazione nazionale Ordini dei medici chirurghi e odontoiatri, sono oggetto di linee guida dell’Organizzazione mondiale della Sanità. Nel nostro paese il Parlamento, la Conferenza stato-regioni, numerose asl, ospedali e università considerano la disciplina omeopatica e altre forme di medicina complementare un argomento su cui dibattere e confrontarsi in modo costruttivo. Migliaia di medici prescrivono ogni giorno medicine non convenzionali (che peraltro non gravano sulla spesa sanitaria): in scienza e coscienza decidono liberamente di utilizzare terapie e discipline che sono utilizzate in altri paesi senza che gli operatori sanitari vengano discriminati in modo pregiudizievole. Queste soluzioni terapeutiche non solo sono utilizzate quotidianamente da milioni di italiani, ma sono prescritte da 20.000 medici iscritti agli ordini. Come Omeoimprese riteniamo che le affermazioni espresse a livello mediatico in questi giorni siano incomprensibili e inaccettabili. Non si può richiedere una “legge contro l’omeopatia” o sostenere che “l’omeopatia non è una cura”.  Si tratta di dichiarazioni lesive e offensive oltre che per la classe medica anche per le istituzioni, e non tengono conto dei principi sanciti dalla Carta costituzionale quali il principio di libertà personale e quello di libera scelta dei trattamenti sanitari cui sottoporsi.

Giovanni Gorga, presidente Omeoimprese

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