Lettere al Direttore Il Foglio 31.10.2015

Categoria: Rubriche

Cantone il censore? Il tipico tic dalemiano sul populismo. La battaglia giudiziaria che consentì a Maria Altmann di ottenere la restituzione da parte del governo austriaco di un celebre quadro di Gustav Klimt (appunto “La donna in oro”)

1-Al direttore - Mi compiaccio perché, sicuro che non si sia trattato di un “buco” giornalistico, il Foglio del 29 ottobre, a differenza di molti altri giornali spesso con grandi titoli di apertura, non ha dato notizia del monito di Cantone su Roma, la quale, a differenza di Milano, dimostrerebbe di non avere gli anticorpi morali. Poi il 30 sul Foglio sono stati pubblicati alcuni commenti. Faccio qui astrazione dalla cantoniana querelle con l’Anm e chiedo: quando, finalmente, si potranno avere esponenti e istituzioni normali, coerenti con l’“age quod agis”? Oppure inconsapevolmente avanziamo a marce forzate verso l’introduzione nell’ordinamento della romanistica figura del Censore? A quando, allora, pure “delenda Roma”? E’ giusto che dal governo non sia venuta, non una censura, ma la manifestazione netta di una posizione diversa su Roma oppure, come ha scritto un autorevole giurista, l’esecutivo ha fatto bene a stare alla larga? Non è sufficiente, comunque, riformare i rami istituzionali alti – ammesso e non concesso che lo si faccia bene – ma occorre tener d’occhio anche i rami intermedi, con i necessari bilanciamenti, perché non si superino confini al di qua e al di là dei quali “nequit consistere rectum”.

Angelo De Mattia

2-Al direttore - Il film “Woman in gold” racconta la lunga e coraggiosa battaglia giudiziaria che consentì a Maria Altmann di ottenere la restituzione da parte del governo austriaco di un celebre quadro di Gustav Klimt (appunto “La donna in oro”) che altro non era se non il ritratto della zia della protagonista, sottratto alla famiglia dai nazisti. Il film, tramite i ricordi di Maria, rievoca i tragici avvenimenti dell’annessione dell’Austria al Reich e mette bene in evidenza sia il consenso popolare con cui furono accolti gli invasori sia l’accanimento di comuni cittadini contro gli ebrei. Alla base dell’antisemitismo – una mala pianta antica, mai estirpata completamente nel cuore dell’Europa e sempre pronta a germogliare i suoi frutti avvelenati – ci sono tanti motivi atavici. Non ultima, l’invidia sociale nei confronti di persone che, nelle difficoltà in cui sono vissute per secoli, hanno accumulato solidarietà di gruppo, talento, professionalità e, quindi, condizioni di benessere. Gli ebrei viennesi rappresentavano l’élite del paese nelle arti, nelle scienze e negli affari. E queste erano le vere ragioni dell’astio plebeo nei loro confronti, pronto a esplodere, come un sentimento di vendetta, quando un sanguinario regime dittatoriale trasformò l’antisemitismo in una vera e propria dottrina politica. Riflettiamo anche oggi sui fatti di ieri: non solo alla luce dei bagliori nefasti di quella invidia sociale che ha consentito ai movimenti populisti di insediarsi nelle società del Vecchio continente; ma pure in presenza delle iniziative di tanti “cattivi maestri” sempre pronti a sottoscrivere una versione aggiornata dei “Protocolli dei Savi di Sion”.

Giuliano Cazzola

3-Al direttore - Non è sorprendente che la legge elettorale approvata dal Parlamento sia sotto attacco da parte delle opposizioni. Quella legge, insieme alla riforma del bicameralismo, rappresentano i nodi essenziali della razionalizzazione del nostro sistema politico-costituzionale, che non può che spiacere a tutti i sostenitori dello status quo, i quali, sconfitti in Parlamento, si preparano all’“appello al popolo”. Che gli attori politici cambino idea con il mutare delle circostanze non è né raro né in sé disdicevole. Quello che infastidisce nel caso di D’Alema, che si è espresso di recente sulle presunte pericolose qualità dell’Italicum, è la protervia con la quale sostiene ogni volta la sua opinione, con aria tra lo scandalizzato e il saccente, che riproduce un tipico stile italiano. Non saprei dire se D’Alema sappia cos’è il presidenzialismo, che sarebbe un effetto delle riforme in corso. Certo il “presidenzialismo” come sistema costituzionale non è l’esistenza di una leadership forte dell’esecutivo (come nei più luminosi modelli di democrazie parlamentari: la Gran Bretagna e la Germania), ma la norma costituzionale in base alla quale il capo dell’esecutivo non è responsabile dinanzi al Parlamento, e non può essere “sfiduciato” e obbligato da questo a dimettersi (come accade nel sistema costituzionale americano). Non si conosce nemmeno la legge elettorale che aggrada a D’Alema. Si capisce che non gli vanno bene gli elettori: potrebbero al ballottaggio dare una maggioranza al M5s! Che è poi il credo segreto dei nemici delle riforme: gli elettori non sono pronti per una democrazia che non sia consociativa e partitocratica. Che fare allora per il Pd? Costruire una legge che richieda l’alleanza con Salvini o Brunetta, che ascoltava con delizia l’ex premier? Oppure fabbricare una legge che faccia vincere per sempre gli amici di D’Alema? E’ verosimile che D’Alema non ci dirà il suo piano segreto. Non c’è niente di meglio che un piano segreto per sconfiggere un avversario. Basta che qualcuno creda a questo piano. Ma chi ci crede?

Pasquale Pasquino

E’ il solito tic della sinistra con i baffi, che non a caso ha sempre fatto una certa confusione tra la parola “popolare” e la parola “populismo”. Vero Max?