Lettere al Direttore Foglio 6.11.2015
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Macaluso: Palermo e le patacche quotidiane dell’inchiesta dei pataccari. . C’è stato il 29 ottobre un brutale attacco alla resistenza iraniana
1-Al direttore - Mercoledì, in attesa della sentenza del processo a Mannino sulla trattativa Stato-Mafia, il Fatto di Travaglio vi dedicava una pagina con una grande foto dell’imputato e un titolo significativo che riassumeva le tesi dei pm (e dello stesso giornale): Mannino istigò il patto con Riina. Nell’ampio servizio di Sandra Rizzo, ricordando che la sentenza sarebbe stata emessa dal gup di Palermo Marina Petruzzella, scriveva: “Tocca a lei ufficializzare la prima verifica processuale sull’inchiesta del pool di Palermo che ha fatto fibrillare il cuore delle istituzioni”. A parte le fibrillazioni, l’articolo del Fatto chiariva la vera posta in gioco della sentenza: “La tenuta dell’articolo 338 del codice penale, che punisce le minacce al corpo politico dello Stato. E’ l’architrave del processo sulla trattativa ed è l’accusa che i pm contestano a Mannino, descritto come l’uomo che nella primavera del 1992 prende per mano lo stato e lo accompagna verso cosa Nostra”. Quindi l’architrave del grande processo Stato-Mafia sarebbe stata costruita dal fatto che Mannino prende come un bambino per le mani lo Stato e da buon padre lo consegna a Cosa Nostra. La sentenza, tuttavia, non è stata quella che il Fatto auspicava e si aspettava con certezza, dato che per il gup Petruzzella Mannino “non ha commesso il fatto”, dunque non ha preso per mano lo Stato per consegnarlo a Riina e soci, costruendo l’architrave della vicenda. Ma ieri, dopo la sentenza, Ingroia su Repubblica e Travaglio sul Fatto, dicono che non è successo niente, perché dalla sentenza si evincerebbe che la trattativa ci fu, ma non fu Mannino, come dicono i pm e per il quale non a caso chiedevano una condanna di 9 anni, a consegnare lo Stato a Cosa Nostra. Se le cose stanno come dicono Ingroia e Travaglio, i pm dovrebbero indicare un altro traghettatore, un altro “buon padre” che prende per mano lo stato e lo consegna a Riina, un’altra “architrave”… O il processo può restare in piedi pure senza l’architrave?
Emanuele Macaluso
Chi lo avrebbe mai detto che un processo costruito attorno alle fondamentali rivelazioni di un pataccaro di nome Massimo Ciancimino, idolo del Fatto Quotidiano, dei professionisti dell’anti mafia e degli amici della procura di Palermo, sarebbe finito così a schifio. L’assoluzione di Mannino arriva tra l’altro dopo diverse e ulteriori botte micidiali incassate dal grande paladino della moralità su altri processi chiave della trattativa stato mafia (do you remember Mario Mori?). Per questo, anche per questo, trovare un nuovo architrave non sarà facile, servirebbe un immediato summit di Travaglio con qualche amico magistrato all’Hotel Torre Artale di Trabia. Ma per fortuna ora c’è Mafia Capitale e il popolo delle agende rosse, nell’attesa di innamorarsi di qualche nuovo Ciancimino, avrà modo di campare per molti anni, di spostare su Roma le sue penne deluse dalle sentenze di Palermo, e avrà modo di farci sorridere ancora come successo ieri leggendo sul Fatto l’intervista al dottore Ingroia. “Non siamo di fronte ad un’assoluzione per totale innocenza dell’imputato”, ha detto commentando l’assoluzione di Mannino. Dove si dimostra che il delizioso garantismo degli amici della Ingroia band vale solo quando c’è qualche patacca o qualche pataccaro da difendere.
2-Al direttore - Qualcuno alla presidenza della Repubblica o a quella del Consiglio, o magari agli esteri, deve essersi distratto. C’è stato il 29 ottobre un brutale attacco alla resistenza iraniana a Camp Liberty; da John Kerry a Nancy Pelosi, da Ban Ki-moon a Cameron, si è parlato di odioso crimine contro l’umanità; si è fatta sentire anche la Mogherini; ma nell’agenda dei rapporti internazionali è ancora prevista una visita in Italia del presidente iraniano Rohani nella seconda settimana di novembre. Si tratta di una visita sgradita e sgradevole. Piacerebbe sapere che si è già provveduto a cancellarla. Se non altro, in memoria dei trenta martiri del 29 ottobre nel “luogo di transito temporaneo”, che dovrebbe essere garantito dalle Nazioni Unite ed è stato ancora una volta sede di massacri (nonché ricordando le mille condanne a morte eseguite quest’anno dal regime dei mullah).
Luigi Compagna