Lettere al Direttore 17.11.2915

Categoria: Rubriche

Ci stiamo abituando al terrore, e forse non sappiamo più per che cosa viviamo. Sarebbe il caso di dire le cose come stanno. Abbiamo paura, troppa paura della morte

1-Al direttore - Venerdì ero già a casa quando sono stato gettato nella tragedia di Parigi dal messaggio di un collega. Attaccatomi al computer verso le 22.30, non mi ci sono più staccato se non per qualche ora di riposo fino a domenica sera. Di fronte al flusso di notizie che mi scorreva davanti agli occhi, mi sono accorto che qualunque risposta al naturale “perché?” che si affacciava nella mia testa sarebbe stata insufficiente, palliativa. Sabato mattina mi è capitato di spaventarmi per un rumore forte proveniente dalla strada, e ogni sirena di ambulanza era un sospiro. Ero preoccupato per quella gente in Francia, per Roma, per me, per la mia famiglia. Guardavo i miei figli piccoli chiedendomi che cosa sarà di loro in un mondo in cui la nostra vita può concludersi a cena al ristorante, bevendo un caffè al bar, andando a un concerto o allo stadio. E ho pensato che la risposta sta in una domanda che l’occidente ha smesso di farsi da tanto tempo: per che cosa viviamo? Qual è il significato della nostra vita, che adesso c’è ma potrebbe essere spazzata via dalla violenza odiosa di un jihadista da un momento all’altro? Non lo sappiamo più, al massimo ci riempiamo la bocca di “valori da difendere” – come fanno in questi giorni quelli che per anni ci hanno detto che non esistono valori assoluti – oppure cerchiamo di dimenticare, anestetizzando le stragi con la corsa affannosa verso il ritorno alla normalità e l’inno nichilista di John Lennon, “Imagine”. I rumori forti fuori dalla finestra hanno già smesso di spaventarci, e ogni volta il tempo che impieghiamo per metterci alla spalle questi attentati è più breve. Forse ci stiamo abituando, ma senza capire davvero. Non saranno i boots on the ground (pur probabilmente necessari), né Raqqa ridotta a un parcheggio a togliere la paura e ridare un senso al nostro vivere o al nostro morire. Se la nostra vita venisse spazzata via in questo momento, potremmo dire che ha avuto un senso?

Piero Vietti

2-Al direttore - Sarebbe il caso di dire le cose come stanno. Abbiamo paura, troppa paura, della morte, anche di quella che vale la pena affrontare per non vivere un’esistenza di schiavitù, sottomissione e intolleranza. Abbiamo dimenticato che le libertà sancite dalle costituzioni del mondo occidentale riposano sul sacrificio di milioni di vite di chi ci ha preceduto e che rappresentano le fondamenta di una civiltà che va preservata e custodita. Finché l’atteggiamento delle opinioni pubbliche occidentali sarà questo non saremo in grado di sconfiggere il terrorismo islamico e tutti quei nemici che sfuggono a droni e missili in grado di sparare da centinaia di metri o da migliaia di chilometri a distanza di sicurezza da qualsiasi rischio che possa incombere sulla nostra preziosissima pelle. L’impressione è che in questa parte del mondo preferiamo sempre e comunque la vita, quale che essa sia, anche quella che eventualmente si svolga senza libertà, senza diritti, insomma senza la dignità di essere vissuta. La cultura occidentale ha accumulato benessere e tecnologia per sconfiggere qualsiasi nemico esterno e non c’è bisogno di ricordare a nessuno rischi e pericoli derivanti dalla “nebbia della guerra”. Ma il primo passo da fare è quello di mandare un messaggio chiaro ai terroristi: se l’alternativa che ci lasciate è tra vivere nel terrore, nella paura, nella violenza, nel disprezzo dei diritti delle donne e delle minoranze, in un mondo d’intolleranza e di teste mozzate, e rischiare di morire in prima persona per venirvi a stanare e uccidere a uno a uno, allora non avremo paura di morire per assicurare ai nostri figli un mondo libero, pacifico e prospero. Per noi una vita da schiavi, da topi perennemente in trappola non è degna di essere vissuta. Preferiamo rischiare la vita per viverla degnamente che sprofondare in un’esistenza morta sotto il regime d’esseri immondi quali siete. Sappiatelo.

Rocco Todero

Un continente senza esercito, senza truppe disposte a morire per l’Europa, non può che essere un continente privo di credibilità quando prova a ragionare su come difendere i propri confini dal terrorismo islamista. Ed è anche per questo che oggi sono in molti a pensare che la “guerra” della Francia, annunciata ieri da Hollande, sia una guerra che tutto sommato riguarda loro, la Francia, e non ancora noi.

3-Al direttore - Barbari, l’occidente saprà reagire (su Twitter).

Matteo Righetto

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