Lettere al Direttore Il Foglio 3.2.2016

Categoria: Rubriche

No, il centro non esiste, e chi non sceglie fa la fine dell’asino. C’è un buon motivo per abolire la stepchild adoption: troppi senatori fanno fatica a pronunciarla.

1-Al direttore - Ogni volta che sento Weber mi viene voglia di invadere un bilancio.

Giuseppe De Filippi

2-Al direttore - C’è un buon motivo per abolire la stepchild adoption: troppi senatori fanno fatica a pronunciarla.

Michele Magno

3.Al direttore - E’ meglio pensare a miglioramenti della normativa sul “bail-in” piuttosto che a passi indietro, si scrive in un editorialino del Foglio del 2 febbraio, con riferimento a una parte dell’intervento del governatore Ignazio Visco al congresso Forex del 30 gennaio. Ma Visco ha prospettato l’opportunità di una revisione della Direttiva Brrd, sfruttando la possibilità offerta da una specifica previsione contenuta in tale normativa, dopo avere sostenuto che sarebbe stato preferibile prevederne l’applicazione a seguito di un adeguato periodo transitorio e con riferimento a strumenti finanziari provvisti di un’espressa clausola contrattuale. Dunque, non ha proposto un passo indietro. A mio avviso, è il minimo che si possa sostenere a proposito di una Direttiva che presenta diversi aspetti di illegittimità se riguardata secondo il nostro ordinamento. Il fatto che Mario Draghi abbia chiesto un’applicazione “coerente” della Brrd non contrasta con quanto sostenuto da Visco: la Direttiva, nel primo caso di risoluzione verificatosi in Italia, quello delle quattro banche salvate, è stata puntualmente applicata. Si chiede, invece, di rivisitarla, proprio alla luce dell’esperienza fatta “in corpore vili”. Le sbrigative risposte negative della Commissione evidenziano ancora una volta l’autoreferenzialità burocratica di questo organo, che almeno avrebbe dovuto sentire il parere dei partner sottoscrittori della Direttiva stessa.

Angelo De Mattia

4-Al direttore - L’azione dei Lo Voi e Cassano, riapre il cuore alla fiducia nella giustizia. Purtroppo il sentore che resta è quello dell’esaurimento della forza dello stato, della frustrazione per l’immensa eredità dei Falcone e Borsellino finita nelle mani degli Ingroia & C. che preferiscono la mondanità mediatica all’improbo lavoro delle indagini e dell’interpretazione dei pentiti.

Maurizio Guerrini

5-Al direttore - Una cosa par certa. Sensibili e tolleranti quando si tratta di Giorgia Meloni si fanno squadristi.

Jori Diego Cherubini

6-Al direttore - Il recente rimpasto di governo rende a tutti evidente che le forze politiche che il Pd riconosce come primari alleati di governo sono due, non una: Area popolare e Scelta civica. Area popolare ha numeri determinanti al Senato e conseguentemente abbonda di sottosegretari e ministri. Scelta civica non è determinante nei numeri del Palazzo e tuttavia riceve ugualmente significativi riconoscimenti nella compagine di governo, perché riesce a rendersi importante per la qualità e la credibilità delle sue politiche e dei suoi esponenti. Ci riusciamo in quanto portatori di quel riformismo senza compromessi, storicamente di area liberale e repubblicana, che non è stato e non sarà mai maggioritario nel Paese, ma che, se capace di organizzarsi, non sarà mai marginale nel dibattito politico e nelle dinamiche istituzionali: non a caso risiede lì una parte non secondaria di quell’8,3 per cento che Scelta civica prese alle elezioni del 2013 e il futuro soggetto politico dovrà recuperare. Anche per questo Scelta civica è l’unico movimento nazionale non riconducibile al perimetro del “vecchio” centrosinistra ante 2014 – e orgoglioso di non esserlo – cui il Pd di Renzi riconosce status e dignità di alleato in vista delle prossime elezioni amministrative. Per chi si riconosce in quell’area liberal-democratica e moderata che non ha mai guardato al sinistra-centro degli ultimi venti anni, ma che ritiene oggi naturale guardare per le alleanze all’evoluzione riformista del Pd impressa da Renzi, piuttosto che all’involuzione lepenista del centrodestra saldamente guidato da Salvini, il punto di partenza attorno al quale ricostruire un contenitore politico capace di aggregare le diverse sfaccettature politiche di quest’area è proprio questa Scelta civica 2.0 ripartita un anno fa. Non tal quale essa è oggi, ben inteso, ma per quello che può rappresentare come punto di partenza credibile e rispettato attorno al quale aggregare. La rete delle liste civiche dei Cittadini per l’Italia e, a Torino e nelle altre grandi città, la piena sinergia con i Moderati di Portas, costituiranno il nucleo di partenza di questo progetto che può senz’altro guardare anche a dinamiche parlamentari, ma rifiuta di ridursi soltanto ad esse. A livello europeo, il nostro progetto guarda ai movimenti politici che compongono il gruppo dell’Alde: e quindi l’Alleanza dei Liberal-Democratici Europei e il Pde, ove trova cittadinanza l’area di matrice più cattolica che respinge però il conservatorismo sempre più spinto che caratterizza il Partito Popolare Europeo. Questo è dunque il nostro “avviso ai naviganti del centro”. C’è un centro che oggi ha tantissimo presente ma pochissimo futuro. Ce ne è un altro con un presente meno fastoso, ma con molto più futuro. Siamo noi, già dalle prossime amministrative, con porte assolutamente aperte a tutti coloro che in questi anni si sono bene adoperati a Roma e nei territori; meno aperte a coloro i quali avessero come unico obiettivo perpetrare se stessi in posizioni apicali, a prescindere dall’evidenza di un processo politico che, se proiettato davvero al futuro e non al solo presente, deve aggregare sul nuovo quel che c’è di buono del vecchio e non viceversa.

Enrico Zanetti, segretario nazionale di Scelta civica e viceministro all’Economia

Grazie della lettera, caro Zanetti. Ma credo che manchi un punto centrale, diciamo così, nel suo ragionamento: il centro, come direbbe Von Metternich, è un’espressione geografica senza alcun valore politico. O si sta da una parte o dall’altra. Se si sta al centro, oggi, si fa la fine dell’Asino di Buridano.

7-Al direttore - Sul Foglio di venerdì la penna affilata di Salvatore Merlo ha fatto a fettine Ncd. Nella sua requisitoria Merlo omette un elemento fondamentale: senza l’atto di coraggio compiuto da Alfano e da circa sessanta parlamentari che non condivisero la scelta del Cavaliere di ritirare la fiducia al governo Letta, la stessa linea politica del Foglio di questi mesi sarebbe stata impraticabile. Tutto sarebbe stato spazzato via e saremmo andati dritti a elezioni anticipate dall’esito imprevedibile. Allora se non si dà ad Alfano e a Ncd l’onore delle armi rispetto al nodo fondamentale costituito dalla governabilità, a mio avviso si fa una analisi dimezzata a rischio di faziosità. Ciò detto, come ricorda anche Merlo, al suo decollo Ncd incise in modo profondo sulla struttura politica di Forza Italia. Cosa è successo dopo? C’erano due possibili linee. Secondo l’ipotesi “movimentista” Ncd avrebbe dovuto mantenere la sua presenza al governo, ma concentrare la sua iniziativa nel marcare la  propria autonomia nei confronti del Pd e dello stesso Renzi e anche nello sviluppare una polemica serrata nei confronti di Forza Italia. Per far questo però Alfano avrebbe dovuto scegliere di fare fino in fondo il leader del partito collocandosi fuori dal governo. Secondo la linea “governista” invece Ncd doveva concentrare tutte le sue energie nel governo a partire dal suo leader. Ha prevalso questa seconda scelta. Ora questa linea ha avuto le sue luci, ma anche le sue ombre. Le luci sono costituite dall’aver assicurato una governabilità di alto profilo qual è quella del governo Renzi e indubbie conquiste programmatiche. Sennonché queste positive conquiste hanno avuto solo flebilmente il segno dell’Ncd perché se Renzi non ha dato vita al partito della nazione preferendo tenersi stretto un recalcitrante Pd certamente ha fatto sinora fino in fondo il “governo della nazione” realizzando provvedimenti in due direzioni: l’area di centro della società italiana e le fasce sociali più disagiate. In questo contesto, troppo a lungo Ncd ha poi accarezzato una missione impossibile: quella di costruire un centrodestra nuovo e diverso stando al governo con Renzi ma di lì preparando una alternativa proprio a lui. Questa ipotesi già di per sé assai difficile è saltata quando Berlusconi ha rotto il patto del Nazareno. Per noi è venuto quindi il tempo di prendere il toro per le corna e porsi un diverso obiettivo che è quello di aggregare una area di centro, distante dall’attuale centrodestra, distinto nettamente da un Pd contraddittorio, alleato lealmente con Renzi al governo, ma proteso ad avere una propria autonomia. In questo quadro penso che l’ultimo atto dell’Ncd “governista” sia stato quello costituito dal rimpasto di governo. Per evitare l’esito nefasto previsto da Merlo occorre una ripresa piena della iniziativa politica perché nessuno regala niente, specie in termini di spazio politico, anzi la minoranza dem vorrebbe i centristi “morti” per riuscire così a far fuori anche Renzi. Il centinaio di deputati e la sessantina di senatori che si richiamano alle varie sigle del centro che appoggiano il governo dovrebbero dare vita a un soggetto nuovo organizzato con le primarie per eleggere i gruppi dirigenti e che come leader scelga una personalità al di fuori dei vertici attuali. Un partito di cattolici e laici, senza concessioni all’integralismo apocalittico di Gandolfini. Proprio perché Ncd ha realizzato quello che poteva realizzare sul terreno del “governismo”, adesso deve riprendere una fase movimentista. Tutto ciò è possibile? Me lo auguro avendo la convinzione che per esorcizzare gli oscuri presagi vaticinati da Merlo bisogna fare un salto di qualità.

Fabrizio Cicchitto, deputato Ncd

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