Lettere al Direttore Il Foglio 10.3.2016

Categoria: Rubriche

In un anno al Palermo assunti 4 allenatori. Il Jobs Act funziona! Confindustria ha ancora senso? La risposta è dentro di te, e forse non è sbagliata

1-Al direttore - In un anno al Palermo assunti 4 allenatori. Il Jobs Act funziona!

Giuseppe De Filippi

2-Al direttore - C’è una domanda, nell’animata battaglia confindustriale per la nuova presidenza, che nessuno sembra porsi, e di cui nessuno sembra preoccuparsi più di tanto: l’industria italiana, di qui a dieci anni, che fine farà? E quale ruolo saprà ritagliarsi nella bagarre di un agonismo competitivo sempre più sfidante e globale? Per troppi anni abbiamo vissuto alla giornata, senza una visione, una rotta, senza, soprattutto, una definizione della nostra identità industriale e commerciale; e così anno dopo anno abbiamo perso prima in gran parte l’industria alimentare, e dopo con l’euro (a prezzo di saldo)  moltissimi marchi pregiati del made in Italy. Eppure è evidente che è  grazie al manifatturiero se abbiamo ancora una bilancia commerciale estera che ci tiene con dignità a galla. Ma spesso, per usare un’espressione cara a Saint-Exupéry, l’essenziale è invisibile agli occhi. Certo, sembrerebbe, a quelli di Confindustria, che da troppi anni dimentica la sua missione originaria: promuovere presso il governo la definizione di una politica industriale che dia la rotta sui settori da sviluppare o meno, pungolandolo e incalzandolo ogni giorno, all’occorrenza, e chiedendo politiche coerenti con questa missione. Per continuare a essere, dopo 106 anni di storia, quel punto di riferimento nel paese che è stato, capace di coniugare la crescita civile con il benessere economico. Sono anni che il management di Viale Astronomia, da Innocenzo Cipolletta in poi, a volte indipendentemente dai presidenti e spesso in un’autoreferenzialità cristallizzata, si è progressivamente privato di competenze di politica economica e industriale, trasformandosi negli anni in una sorta di ufficio legale di supporto alla lobby imprenditoriale. Dai Merloni ai Lucchini, a poco a poco negli anni successivi, il ruolo manifatturiero di Confindustria si è sbiadito, complice anche l’ingresso delle vecchie aziende ex partecipate statali, per finire in un limbo indefinito dove viene esaltata la dimensione più politica, di volta in volta filo-governativa e acritica oppure decisamente antigovernativa (emblematica in questo senso la presidenza di Squinzi). La politica di disintermediazione dei corpi intermedi perseguìta con successo da Renzi in questo senso ha spazzato via le ultime resistenze, e ha posto Confindustria di fronte a un bivio: fare un piccolo “tagliando” di manutenzione ordinaria, e questo vuol dire accompagnare l’associazione industriale dolcemente verso il neoconservatorismo e la lenta decadenza che le si prospetta; oppure rilanciare il ruolo di una Confindustria non attore di un gioco politico dove sono gli altri a muovere le fila, ma di reale king maker dello sviluppo economico del paese, della sua necessaria internazionalizzazione, dei rapporti con l’Europa. Un’organizzazione, insomma, al passo con i tempi, con il cuore in Italia e gli occhi (agguerriti) nel mondo. Ecco perché la battaglia per la presidenza di Confindustria oggi non è una battaglia qualsiasi. E avere imposto il silenzio ai contendenti sui loro programmi, come hanno fatto i Saggi incaricati di auscultare il territorio, è a dir poco curioso e incomprensibile. In fondo, senza voler entrare nel merito della contesa, anche il paese ha diritto di sapere quale speranza può riporre sulla politica dell’uno o dell’altro, perché dalla vittoria dell’uno o dell’altro discende poi il futuro dei propri figli. E non è cosa di poco conto.

Vichy Alessio Ruffo

Tutto ben scritto e ben argomentato ma manca la vera domanda. Ha ancora senso oggi Confindustria? Direbbe il saggio: la risposta è dentro di te, e forse non è sbagliata.

3-Al direttore - Rousseau aveva auspicato una democrazia diretta, ma era un ginevrino e quando la Rivoluzione gli ha dato ascolto abbiamo avuto il Terrore. Contro Rousseau meglio Machiavelli, preferisco un principe astuto come volpe e forte come un leone, ma qui si prepara l’avvento dell’ultimo uomo, lo sciocco, che per smania di divenire servo si piega a ogni banditore che gli fa credere di essere lui il padrone. Come il cavallo vapore ha reso i flaccidi borghesi “todos caballeros” e le signorine ottomarzine amazzoni siliconate, così la disponibilità di apparecchi multimediali ha dato a tutti l’illusione di essere partecipativi. Chiedete a ognuno di questi signori, che tanto si vantano, che cosa è un codice binario e resteranno come pallide larve d’oltretomba. Da Bacone in poi il potere è conoscenza, chi non sa è servo di chi sa, come un tempo il debole era servo del forte e il povero servo del ricco. Chiamate come volete questo regime, ma in fin dei conti è sempre una “in cool eight”, o per dirlo,con i nostri maggiori  “sono sempre gli stracci che vanno per l’aria”.

Luca Sorrentino