Sky, Mediaset, Infront e la figura barbina della Lega calcio sui diritti tv

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Perché è fallita l’asta dei diritti tv della serie A di calcio? Di chi sono le responsabilità? E che cosa succede ora?

 Fernando Pineda, da www.formiche.net 11.6.2017

Perché è fallita l’asta dei diritti tv della serie A di calcio? Di chi sono le responsabilità? E che cosa succede ora? A queste domande risponde, in una conversazione con Formiche.net, Andrea Montanari, giornalista di Mf/Milano Finanza, che da anni segue anche gli aspetti economici e finanziari legati al calcio.

Montanari, un flop annunciato o a sorpresa?

Onestamente ce lo si poteva aspettare il flop. Le attese di Infront e della Lega Serie A, 1,2 miliardi che potevano arrivare a 1,4 miliardi con i diritti accessori e quelli esteri, erano davvero eccessive.

Perché eccessive?

Per una serie di ragioni. Innanzitutto il sempre minor appeal del campionato italiano che da anni non ha di fatto una storia interessante a parte le vittorie della Juventus. A ciò si aggiungano i bassi ascolti di tantissimi match di squadre minori e la scarsa affluenza media agli stadi, in costante calo e tra le peggiori dei principali campionati europei (poco più di 22 mila presenze allo stadio in media come la Francia). Il campionato a 20 squadre è un errore strategico: perde di interesse e di competitività. Questo è il grande errore di fondo.

Entriamo nei dettagli del bando?

Il bando era stato studiato in maniera non intelligente se così possiamo dire: il pacchetto D costava davvero troppo e pure il C, vista l’arretratezza tecnologica del Paese, era davvero costoso. Non dimentichiamo poi che in Italia da almeno 7-8 anni il pubblico che si abbona alle pay tv è sempre quello: al massimo 7 milioni di clienti, come si evince sommando i dati di Sky Italia, che oscilla tra i 4,7 e i 4,8 milioni di abbonati da parecchi anni e i due milioni (anche se non esistono dati certi e ufficiali, almeno nei comunicati di Mediaset) di Premium. Infine, non va trascurato un altro fattore: l’assenza di potenziali competitor reali a parte Sky e la stessa Premium. Su MF-Milano Finanza, lo scorso 6 aprile avevamo scritto che l’asta sarebbe potuta arrivare a un incasso di 800 milioni, poco più. Non certo alle cifre ipotizzate da Infront che ora rischia davvero una figuraccia.

Perché Mediaset non ha presentato una offerta?

Mediaset non ha presentato un’offerta in coerenza con l’esposta presentato alle Authority. Farsi avanti con un’offerta per il pacchetto B avrebbe voluto dire segnare un autogol anche se difficilmente l’Antitrust avrebbe poi accolto il ricorso del Biscione. Se avesse depositato una proposta avrebbe sconfessato la propria strategia che è quella di prolungare l’attesa anche perché comunque questa asta riguarda diritti di partite che si giocheranno tra un anno. Probabilmente però senza diritti tv Premium faticherà a sopravvivere e quindi potrebbe partecipare al bando di gara dell’Uefa per le immagini delle Champions League dove dal 2018 sono previste, di diritto, 4 squadre italiane.

E perché non si è materializzata un’alleanza con Vivendi come alcuni ipotizzavano?

L’alleanza con Vivendi non si è materializzata perché ancora le famiglie Berlusconi e Bolloré non hanno trovato la soluzione definitiva al rebus Premium. L’aver rimandato tutto a settembre – con l’assemblea di Mediaset prevista per il 28 giugno – forse significa anche attendere l’evoluzione, inevitabile, di questo possibile affare. Anche se da Cologno Monzese dicono che non ci può essere un’intesa con la controparte francese. Intanto però Premium perde soldi e obbliga il Biscione a correre ai ripari e ricapitalizzare.

Era davvero troppo bassa l’offerta di Sky?

L’offerta di Sky sul pacchetto per il satellite era superiore alla soglia minima, 200 milioni. L’altra offerta ovviamente è nettamente inferiore ma era ipotizzabile che arrivasse una proposta di quell’entità: le squadre del pacchetto D rappresentano solo il 27% dell’audience televisiva. Del resto se è stata fatta pretattica fino all’ultimo minuto era facile pensare che pure Sky agisse in questo modo per evitare di dover spendere troppo. Sapendo per di più che Tim non era della partita come come Rai e Discovery.

Ma è stata o no una figuraccia della Lega?

E’ stata una figuraccia della Lega Serie A e della Federcalcio. Ma anche dei club che hanno provocato il commissariamento della Lega stessa per lotte intestine che non vogliono risolvere. Ma è anche un flop della “nuova” Infront targata Wanda del post-Bogarelli.

Perché?

Luigi De Siervo ha forse forzato la mano e alzato eccessivamente l’asticella visto che il campionato italiano ha sempre minor interesse. L’errore grave è stato quello di non aver valutato la situazione del mercato attuale e anche dell’economia nazionale. La crisi non spinge la gente ad abbonarsi alle offerte pay. Per cui non si capisce perché i network televisivi dovevano alzare la posta. Soprattutto quando poi esiste ancora una importante “pirateria” online. Il rinvio dell’asta a settembre dimostra che la Lega in sé è debole e che comandano sempre i soliti. E certifica che il campionato italiano e il sistema-calcio sono indietro anni luce rispetto a Inghilterra e Germania. Non trascuriamo, infine, il fatto che c’è tanta politica dietro al pallone e che anche a livello governativo poco è stato fatto per rilanciare il settore e lo sport nazionale.

Che fare ora?

Andrebbe commissariato il commissario della Lega Serie A. Non dimentichiamoci poi che l’asta del 2014, sui diritti 2015-2018, finita poi anch’essa con una classica soluzione all’italiana, la spartizione, oltre a essere finita nel mirino dell’Antitrust (multa complessiva da 66,3 milioni poi bocciata dal Tar e ora oggetto di ricorso da parte dell’authority) è finita pure nel mirino della magistratura di Milano.

Che colpe hanno le squadre di calcio? Si sono cullate troppe con gli incassi dei diritti televisivi?

Le squadre di calcio hanno un problema storico: non fanno e non sanno fare e programmare business. Eccezion fatta per la Juventus, i cui ricavi però dipendono per la gran parte dai diritti sportivi (oltre il 55%) e dalla plusvalenze derivanti dalla vendita dei calciatori, nessun club ha una politica industriale vera. Basti vedere le difficoltà dell’Inter del post Moratti con il “limbo” Thohir e il nuovo corso Suning o le perplessità che tuttora permangono, anche da parte dell’Uefa, sulla nuova proprietà cinese del Milan. Anche perché in quest’ultimo caso alla fine chi ha davvero in pugno il club è l’hedge fund americano Elliott che non ha alcun interesse nel mondo del calcio. Il problema credo che sia quello che in qualche modo ha individuato Claudio Lotito: troppi club e scarsa qualità dell’offerta calcistica e quindi del prodotto televisivo. Meno qualità in campo significa meno risultati e meno forza anche a livello internazionale. Anche se poi alla fine pare che a tutte le squadre vada bene così visto che pure la Juventus che un tempo era contraria alla linea-Tavecchio poi ora ha sostenuto il riconfermato presidente della Federcalcio. Manca, in sostanza, una politica vera del calcio che è un’economia importante per un Paese come il nostro.

E ora che succede? Davvero la Lega pensa a una sua tv? E’ possibile o è fantatelevisione?

La tv della Lega credo che sia il solito pannicello caldo: da anni circola questo progetto. Anzi già in teoria esisterebbe una offerta di 3 partite domenicali ma non si è mai saputo se il progetto sia partito e sia profittevole. Ma non trascuriamo il fatto che questa chimera della tv della Lega era già stata ipotizzata nel lontano 2003, al momento della nascita ufficiale di Sky, post fusione Tele+/Stream: si chiamava o si sarebbe dovuta chiamare Gioco Calcio. La presentò in pompa magna la buonanima di Gino Corioni, già vulcanico presidente del Brescia Calcio. Quel progetto che aveva in Franco Tatò, il famoso Kaiser della finanza italiana, il presidente fu davvero un flop colossale. Per cui credo che sia solo una bandierina da sventolare. Anche se già negli scorsi anni ci aveva provato Marco Bogarelli, l’ex plenipotenziario di Infront e uno degli uomini che ancora oggi conosce meglio di tutti il business dei diritti tv.

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