Non sputate sulla Fifa

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Qualche dubbio di stile sull’inchiesta eminentemente politica che ha travolto Blatter

di Lanfranco Pace | 05 Giugno 2015 ore 17:38

Ma davvero c’è da applaudire la giustizia stelle e strisce perché ha dimostrato di avere cultura palle e mezzi per colpire senza riguardi un santuario del malaffare? Davvero dobbiamo parlarne con la stessa ammirazione con cui seguiamo le loro straordinarie serie televisive? Sepp Battler è un satrapo, forse una carogna, certo antipatico e vendicativo, ma noi italiani, nel nostro piccolo, abbiamo l’obbligo di essere disincantati. Perché non esistono gli indifendibili e perché vaccinati da lustri d’eccezione giudiziaria. C’è un che di familiare nello spettacolo niente affatto edificante di malandrini che dimenticano anni di complicità per collaborare con la giustizia, di correi che vendono il loro risentimento come ravvedimento operoso. C’è aria di casa quando anche un general attorney mostra lo stesso sguardo sgranato di chi ha visto la Madonna della grotta, ricorda, diciamo, quelli di mafia capitale. Il Federal Bureau è vero fa sognare più della Guardia di finanza ma poi vengono fuori relazioni non proprio limpide con il giornalismo d’inchiesta, anche lì ci sono le Sarzanini e i Travaglio figli di un dio maggiore e molto ben disposto nei loro confronti: quelli del New York Times stavano in Svizzera pare per tutt’altre ragioni, ricevono l’imbeccata, lo spiffero e corrono all’Hotel Bauer du Lac alle quattro di mattina, chiedono di fare colazione ma a quell’ora il servizio non c’è, ma non scollano e restano nei posti d’onore per assistere alla prima retata. Infine che c’è di più italiano di un processo che si tiene direttamente sui media, tra allusioni, ammissioni e confessioni piagnuclose, fuori dalle aule di giustizia anche quando il sistema premia e incoraggia il patteggiamento?

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 Non ho idea di cosa possa aver spinto Blatter a dimettersi dopo essersi tanto sbattuto per farsi rieleggere per l’ennesima volta: riconosco però un certo che di made in Italy nel volerlo impiccare alla bramosia di potere, alla regia di trame occulte, in attesa che vengano momenti più eccitanti, il disvelamento di una sua personale implicazione in malaffare o di un illeggittimo arricchimento, in attesa insomma di una ciccia che forse c’è, forse no e comunque ancora nessuno l’ha tirata fuori. La Fifa, tutta la Fifa, dunque diventa l’archetipo di un sistema autogovernato, indipendente, immarcescibile e perciò inevitabilmente corrotto. Si dà il caso che manchino prove più corpose della tangente pagata dal Sudafrica a un alto funzionario per aggiudicarsi i Mondiali del 2010 e autorizzata da uno dei principali collaboratori di Blatter: dieci milioni di dollari sono poca cosa se ne girano quasi sei miliardi in un quadriennio, c’è rischio dunque che tutto finisca come dalle parti di Buzzi e Carminati. L’inchiesta è a tutt’oggi eminentemente politica, volta a spazzare una trama di alleanze e a sostituirla con un’altra. Per una volta è difficile non essere d’accordo con Putin che intravvede evidenti e corposi appetiti degli americani e degli inglesi. Nell’era Blatter il calcio è diventato fenomeno e affare globale, ha guadagnato alla causa Africa e Asia e Oceania, è uscito dall’ombelico continentale che senza i Drogba, gli Eto’o, i Touré sarebbe oggi una PlayStation per bianchi poveri.

I campionati del mondo sono stati di buon livello, successi organizzativi e televisivi innegabili a cominciare dal primo mai svoltosi in Africa. In generale non ha vinto l’Honduras o Trinidad e Tobago, come pretenderebbe la legge della corruzione universale. Hanno vinto i più forti sul campo, la Germania, prima ancora la Spagna. L’Italia, forse non la più forte del 2006, certamente quella che meglio interpretò il torneo. E prima ancora il Brasile. E’ corruzione aver dato all’Irlanda 5 milioni di dollari perché non protestasse troppo per quel gol di mano del francese Henry che le costò l’eliminazione dalla fase finale del Mondiale 2010? L’arbitro sbagliò in buona fede o no? L’Italia uscì malamente dai Mondiali del 2002 in Giappone e Corea per un tipo come Moreno o per suoi demeriti? E noi italiani ce l’abbiamo con Blatter perché lui ce l’aveva con noi e si rifiutò di premiarci a Berlino? A voler andare a caccia dietro ciò che appare si perde la ragione. Per essere un incrocio tra politica, diplomazia e soldi, la Fifa è molto meglio di come viene dipinta e ha fatto meno danni dell’Onu. Anche quella di Blatter. Trasparenza e collegialità non potranno fare di più e meglio di un vero boss. Che poi a sentire il nome di Platini, non avvertite appunto l’eco di quel tà-tà che conosciamo tanto bene?

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