Atletica e doping. Se tutti bevono la pozione magica di Obelix, ha ancora senso vietarla?

Categoria: Sport

Secondo un'inchiesta del Sunday Times e della televisione tedesca Ard, un terzo dei medagliati olimpici d’atletica sarebbe dopato

di Giovanni Battistuzzi | 04 Agosto 2015 ore 11:00

COMMENTA 2 |   | 

Roma. E venne il giorno che anche l’atletica scoprì di aver perso la sua verginità. Perché una squalifica per doping ci può stare, fa parte del gioco, ma un’inchiesta che mette in dubbio un terzo delle medaglie mondiali e olimpiche tra il 2001 e il 2012 è altra cosa, un colpo basso a tutto il movimento. “Vista la gravità delle affermazioni sarà necessario aprire immediatamente un’inchiesta”, ha detto il presidente della Wada (World AntiDoping Agency), sir Craig Reedie. Il carrozzone dei benpensanti, degli idealisti dello sport a pane e acqua si sono già messi in moto e giubilano per quanto scoperto dal Sunday Times e dalla televisione tedesca Ard.

ARTICOLI CORRELATI  Dannato Froome  Froome non piace, quindi è colpevole. La caccia all'uomo al Tour e le inconsistenti accuse di doping I giornalisti, grazie alla consulenza di due esperti dell’antidoping (Robin Parisotto e Michael Ashenden), hanno analizzato il database di un decennio di analisi sangue-urine – circa 12 mila esami ematici di 5 mila atleti – realizzate dalla Iaaf, l’Associazione internazionale delle Federazioni di atletica leggera, scoprendo che le prestazioni di un terzo dei medagliati nelle prove di durata e resistenza (145 medaglie, 55 d’oro) sarebbero il risultato di assunzione di sostanze dopanti. E così il mondo dell’atletica si risveglia come quello del ciclismo il 18 luglio 1998 quando al Tour de France un’intera squadra, la Festina, venne arrestata dopo il ritrovamento nella macchina del massaggiatore di centinaia di dosi di prodotti illeciti, dall’eritropoietina agli anabolizzanti.

Aspettando l’inchiesta ufficiale dell’agenzia mondiale antidoping e della federazione internazionale (che dovrà appurare l’effettiva bontà dell’inchiesta giornalistica), viene alla mente il film Asteria e Obelix alle Olimpiadi, quando l’intera formazione dei Galli venne squalificata per aver utilizzato la pozione magica preparata dal druido Panoramix. Sembra che lo sport sia arrivato a decretare nuove regole non scritte: chi vuole ottenere qualche risultato di rilievo deve ricorrere a qualche “fluido magico” per migliorare le proprie prestazioni. E da quello che emerge dalle pagine del Sunday Times il numero di chi si affida alla chimica non è marginale.

“Mai visto un insieme di valori del sangue così spaventosamente anomalo”, ha dichiarato Robin Parisotto. C’è poco da aggiungere: se un terzo delle medaglie presenta valori ematici sospetti, non è più possibile parlare di casi isolati, ma è necessario riconsiderare l’intero sistema sportivo. Ha dunque ancora senso parlare di sport pulito se il ricorso a sostanze proibite è così diffuso? O forse sarebbe meglio riconsiderare la nostra stessa idea di sport? In questi anni abbiamo assistito, specialmente in quelle discipline cosiddette “di fatica”, a una caccia alle streghe per scoprire e smascherare medici e santoni del doping, della chimica prestata allo sport. Nessuno però ha messo in discussione questo mondo, nessuno che abbia indagato sulla nostra necessità di osservare – comodamente da casa – prestazioni sempre più sensazionali, lamentandoci nel caso queste non arrivassero.

Lo sport vive di sponsor e televisione, di maxi eventi e grande pubblico; gli sportivi sono icone, testimonial, attorno a loro c’è un divismo che ha bisogno di sempre nuove imprese. E per un Lance Armstrong, un Asafa Powell, una Marion Jones che hanno avuto la sfortuna di essere stati pizzicati, altri sono stati più accorti o fortunati. Il mercato farmaceutico sopravviverà sin tanto le telecamere continueranno a riprendere le loro gesta. La domanda dunque non è se ha ancora senso parlare di sport pulito, ma se siamo disposti a rinunciare alle dirette e ai grandi record. La scelta è semplice: continuare a godere di medaglie e imprese “truccate” in un ambiente truccato, che trova una sua omeostasi a livelli più alti, oppure rinunciarvi?

Categoria Sport

COMMENTI

1-      guido valota • 2 ore fa

Quel che per noi spettatori, sportivi dilettanti e anche semiprofessionisti è 'doping', per un professionista e/o sopra certi livelli è parte integrante e necessaria della preparazione esattamente come l'allenamento. Nella realtà hanno perfettamente ragione i pro, ci ascoltano parlarne e capiscono che non capiamo, ma legge e consuetudine storica hanno finora prevalso sulla realtà e ancora per molto prevarranno. Sempre meno, a un punto di equilibrio sempre più vicino alla rottura degli schemi come dimostrano i regolari annullamenti postumi di risultati nel ciclismo. Per inciso, non è che il ciclismo sia più cattivo degli altri sport; è che i carichi allenanti possibili nel ciclismo sono di gran lunga superiori a quelli di quasi tutti gli altri sport e gli si avvicina solo lo sci di fondo (guarda caso, a proposito di casi doping). Nella corsa ci si rompe prima qualcosa nel sistema muscolo-scheletrico.

In un mondo perfetto vedrei bene il farmaco libero sotto controllo del medico che informa l'atleta di costi e benefici, cioè rischi e vantaggi. Che stia all'atleta decidere cosa fare della propria vita. Arriva il controllo e verifica solo che l'atleta utilizzi quanto concordato col medico nel loro protocollo riservato: se salta fuori che l'atleta fa di testa sua, squalificato. Naturalmente questa è utopia pura in un sistema di regole, tra le quali il giuramento di Ippocrate, che sono lontane anni luce dal poter ammettere una procedura di questo tipo. Comunque il doping fa male a chi non lo fa. Quel che fa veramente male è lo sport (specialmente di endurance) a livello agonistico per periodi prolungati. Tanto fa bene a livello fitness-motivazionale, quanto produce conseguenze negative a livello prestazionale: nel tempo, progressivamente almeno pari ai benefici e poi li supera

Categoria sport.

COMMENTI

2-      Fabrizio Giudici • 2 ore fa

"O forse sarebbe meglio riconsiderare la nostra stessa idea di sport? [...] [G]li sportivi sono icone, testimonial, attorno a loro c’è un divismo che ha bisogno di sempre nuove imprese."

... per cui, per me, la soluzione inevitabile è semplice: non guardare più niente che abbia a che fare con lo "sport", perché non è più sport. Come tutte le cose false, non merita nessun interesse.