Rinuncia alla vetta per i compagni

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«Così Tamara è nella storia». L’altoatesina Lunger si è fermata a 70 metri dalla cima. Il racconto del compagno di cordata Simone Moro: «Sul Nanga Parbat era stremata, si è sacrificata per noi»

Tamara Lunger, 29 anni, con Simone Moro, 48

di Cristina Marrone Corriere della Sera 5.4.2016

A volte il successo di raggiungere la cima di una montagna, o l’insuccesso di non farcela passano da grandi scelte, fatte di saggezza e coraggio. Arrivare in vetta può essere più semplice di trovare la forza di tornare indietro, a un passo dal successo. Ci vuole coraggio a rinunciare ad essere la prima donna al mondo a raggiungere un Ottomila nella stagione invernale quando alla cima mancano appena 70 metri, quando basta uno sforzo di mezz’ora, dopo aver trascorso 80 giorni tra i vari campi del Nanga Parbat in attesa della finestra di bel tempo, affrontando venti gelidi e temperature cha hanno toccato i -50°. Tamara Lunger, 29 anni, l’atleta altoatesina compagna di scalata di Simone Moro, lo ha fatto. In cima l’attendevano la fama, la gloria di essere la prima, contratti pubblicitari. Ma lei stava male, aveva lo stomaco sottosopra era disidratata e stanca. Certo, la vetta l’avrebbe raggiunta, mancava davvero poco perché ha salutato con la mano il pachistano Ali Sadpara, il primo a conquistare la vetta in quell’eroico 26 febbraio 2016, seguito dallo spagnolo Alex Txicon e da Simone Moro. Ma la discesa? Che cosa sarebbe successo? Ce l’avrebbe fatta? Lei ha scelto di girarsi verso valle e rientrare al campo 4. Con il suo gesto, la sua rinuncia, ha permesso agli altri di arrivare al successo, senza mettere in pericolo la sua vita e la loro vita, tralasciando il proprio ego per assicurare la sopravvivenza di tutti.

Il malore all’alba

Tamara aveva cominciato a stare male già all’alba, ha vomitato la colazione appena uscita dalla tenda. Ha sofferto molto il freddo e la mancanza di acclimatazione. «In una sola notte abbiamo raggiunto i 6.300 metri — ricorda Simone Moro — quindi con un’acclimatazione ridicola. Il suo malessere era prevedibile ed aggravato dal gelo e dalla stanchezza. Abbiamo preso molto freddo: per molte notti abbiamo dormito in quattro su due materassini perché gli altri due erano stati portati via dal vento. Inoltre le prime quattro ore di scalata le abbiamo fatte tutte all’ombra: c’erano -34° con un vento che soffiava a 45 km all’ora, significa che la temperatura percepita era -58°». In queste condizioni tutti erano stanchissimi. Tamara si è fatta forza per tutta la giornata. Simone non l’ha lasciata un attimo. L’ha incitata ad ogni passo: «Mancano 200, metri, mancano 150 metri» e l’ha spronata a tenere duro. Infine è arrivata la chiamata dal campo base: «Solo 100 metri». È a quel punto che Tamara si è guardata dentro: «Ho capito che quel giorno, nelle mie condizioni, poteva costarmi la vita. Temevo mi attendessero in vetta, ero molto lenta. Avrei rallentato troppo la discesa di tutti, sarebbe stato un suicidio. Con il buio avremmo rischiato di perdere la via, di non trovare le tende. Ho sentito una voce interiore che mi diceva: se vai in cima non torni a casa. Così ho deciso». E ha sussurrato: «Simone, se arrivo in cima dovrete aiutarmi a scendere». Poi se ne è andata, quando ormai sembrava fatta. Anche questo è fare cordata.

Il gesto coraggioso

Con la sua scelta coraggiosa Tamara ha evitato di rallentare la discesa ai suoi compagni di scalata mettendoli in pericolo: «Non ci ha chiesto di fare qualcosa che per noi sarebbe stato molto difficile: con il suo gesto ha salvato la sua e la nostra vita perché un soccorso a quelle altitudini, stravolti come eravamo, sarebbe stato impossibile. Invece lei ha preferito tornare indietro da sola, sulle proprie gambe, senza rischiare di metterci in difficoltà. Una decisione coraggiosa, che pochi al mondo avrebbero saputo prendere, che vale anche più della cima. Per me è come se fosse salita con noi. Da maestro mi inorgoglisce che abbia imparato un valore che da sempre cerco di trasmettere: l’importanza della rinuncia e dell’attesa. Io ci ho provato tre volte in inverno a scalare il Nanga Parbat e mettendo insieme tutti i tentativi, su quella montagna ci sono rimasto un anno della mia vita. A Tamara dico quello che il grande Cassin diceva a me: «Devi aspirare a diventare una vecchia e brava alpinista». E la giovane altoatesina è entrata nella storia, anche rinunciando alla vetta.

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