IN SVIZZERA SI PARLA DELL'ELEFANTINO

Categoria: Vetrina

Pubblichiamo la traduzione di un articolo di martedì 11 giugno

sul "Basler Zeitung", quotidiano svizzero pubblicato a Basilea, in cui si parla del Foglio e dell'elefantino.

L’Italia non è un paese dai contrasti netti. Se al Nord delle Alpi le cose sono sempre chiare – bianco e nero, giusto e sbagliato, morale e immorale – non è così nel Bel Paese. D’altro canto sono stati proprio pittori italiani del Quattordicesimo secolo a inventare il chiaroscuro, questa tecnica pittorica caratterizzata da un continuo mutare delle tonalità. E la inventarono, questa tecnica, in tempi in cui i loro colleghi europei nemmeno padroneggiavano ancora alla perfezione la prospettiva.

Un rappresentante per eccellenza di una visione del mondo in chiaroscuro è Giuliano Ferrara, direttore del quotidiano “Il Foglio”. Ferrara è uno di quegli italiani che liquidano tutto ciò che un visitatore del Nord pensa di aver sempre saputo sull’Italia, con un sorriso che non lascia scampo: tutto sbagliato, punto. Chi pensa che Berlusconi non sia altro che un corrotto e assatanato di sesso, che la Chiesa non sia altro che un collegio di pedofili reazionari, dopo un incontro con Ferrara si ritroverà o traumatizzato oppure illuminato.

Errori e passioni dell’Italia

Ferrara, 61 anni, 150 chili, una rada barba rossiccia, soprannome “elefantino”, ha condotto una vita che ben riflette passioni ed errori di questo paese e della sua storia: sua madre era il braccio destro del leggendario leader comunista Palmiro Togliatti; il padre dirigeva il giornale di partito “L’Unità”. Tra il sesto e nono anno di vita Giuliano e la famiglia vivono a Mosca. Al ritorno in Italia al ragazzo tocca per prima cosa imparare di nuovo l’italiano. Anni dopo diventerà segretario di partito a Torino, il fulcro del movimento operaio italiano. Nel 1982 rompe con i compagni: “Perché a un certo punto non ne potevo più del ‘noi’, quando intendevo ‘io’”, ricorda Ferrara.

Se c’è una cosa di cui sembra importargli decisamente poco è quella di fare bella figura. Gli spazi della redazioni del Foglio che si trovano in Trastevere, e dove lavorano 18 giornalisti, sono modesti. Solo Ferrara dispone di un ufficio tutto suo, una specie di caotico studio, dove i libri e i giornali arrivano fino al soffitto, e l’aria è satura del fumo acre di sigaro. Coricati a terra ci sono poi tre bassotti: due figli e la madre “il padre era un gigolò, che se l’è data a gambe”.

Un lungo cammino

Da leader operaio a intellettuale di spicco dell’area Berlusconi - un percorso non da poco. E ovviamente non sono mancati gli attacchi di vecchi compagni di strada, anche se a dire il vero, gli attacchi l’hanno più divertito che ferito. Lo scrittore Antonio Tabucchi, ricorda Ferrara, aveva pubblicato su “Le Monde” un terribile pamphlet nel quale affermava che Ferrara ai tempi del soggiorno a Mosca aveva ricevuto, nientemeno che dalle mani del capo di stato e di partito Leonid Breznev un’onorificenza. “Se i conti tornano, avrei dovuto avere sette anni, allora”.

Diversi decenni dopo, Ferrara è, tra il 1994 e il 1995, portavoce ufficiale del governo Berlusconi. “Sono amico personale di Berlusconi. E quando decise di entrare in politica gli offrii la mia esperienza”, dice Ferrara. Gli offrì il suo aiuto, anche se gli era venuto da ridere sentendo che Berlusconi voleva dare al suo partito il nome “Forza Italia”, cioè il grido che si leva dallo stadio quando gioca la Nazionale.

Berlusconi e Ferrara; il self made man al qual piace veder ballare giovani fanciulle poco vestite, e l’uomo di pensiero che legge Martin Heidegger in tedesco. Ma di che cosa parleranno mai quando si trovano insieme? Berlusconi non ha complessi d’inferiorità nei confronti degli intellettuali, assicura Ferrara. Sa però riconoscere le doti intellettuali di una persona, così come sa riconoscere un buon calciatore. “E se uno ha cultura e sa scrivere allora gli dice: ‘Lei è bravo tanto quanto Van Basten’”. A Ferrara questo piace.

Certo, per essere un capo di stato, serio, autorevole, il suo amico è troppo uomo privato: “Ama le donne e il calcio, è un narciso – e ha sempre il fuoco nel bassoventre”. La sinistra odia Berlusconi, perché ha rinnovato il paese – e perché è il classico uomo che s’è fatto da sé. “Quelli di sinistra amano invece l’establishment, le grandi banche, la Confindustria, le pensioni, in altre parole: lo status quo”.

Quando Berlusconi, a metà anni Novanta, entra in politica, i due grandi partiti di allora, quello democristiano e quello socialista, erano stati da poco risucchiati nel gorgo di Tangentopoli. “Da un giorno all’altro tutto era cambiato, e proprio in quel momento arriva Berlusconi. Arriva e rimane per vent’anni. Un vero record per gli standard italiani. Vent’anni durante i quali ha vinto, perso, rivinto, e riperso ancora”. Ovvio che in quanto tycoon, aveva a cuore la salvaguardia della sua ricchezza. Ma per Berlusconi è sempre valsa anche la regola che: la libertà imprenditoriale che rivendicava per sé, doveva essere riconosciuta anche a qualsiasi altro cittadino.

Quello che Ferrara trova terribilmente noioso dei corrispondenti stranieri è la loro presunzione quando si tratta di Berlusconi. “Provi a immaginare se da un momento all’altro scomparissero in Gran Bretagna i Labour e i Tories. Berlusconi lo si può solo comprendere, se non si dimentica che che quando arriva lui, l’Italia, politicamente parlando, andava ricostruita da zero”.

Dopo due anni Ferrara si dimette da ministro ed esce dalla politica. “D’altro canto, con un passato da comunista, non avrei mai potuto entrare nella cerchia ristretta degli adepti” spiega sorridendo. I talk show “Otto e Mezzo” e “Radio Londra”, lo fanno invece entrare nelle case di milioni di italiani. Ma tutto questo non gli basta. “Avevo tempo, e così ho deciso di fondare un giornale, un giornale, a essere sinceri, del tutto inutile”.

I soldi riesce a racimolarli da imprenditori milanesi o sardi, vicini a Berlusconi. Anche l’ex moglie del Cavaliere, Veronica Lario, scuce una certa somma e resta a tutt’oggi proprietaria del 38 per cento delle quote. Ferrara decide di chiamare il giornale “Il Foglio”, e in effetti, all’inizio si componeva giusto di quattro pagine, o meglio quattro lati di un foglio piegato in due. Oggi le pagine sono sei.

Se si vuol dar credito ad art-director e altri direttori di giornali, Ferrara ha sbagliato tutto quello che si poteva sbagliare. Il suo è una colata di piombo, senza foto, senza gli alleggerimenti grafici, che vanno tanto di moda. Ciò nonostante Il Foglio vende 14 mila copie e riesce, per il rotto della cuffia, a non finire in rosso.

Un prodotto per buongustai

Nei suoi ormai 18 anni di vita, Il Foglio è diventato una lettura obbligatoria per ogni anticonformista che si rispetti: un prodotto per buongustai. Un giornale che riserva la stessa puntigliosa attenzione alle notizie provenienti da dietro le mura vaticane, e al ritorno del direttore d’orchestra James Levine sul palcoscenisco della New Yorker Carnegie Hall; un giornale che racconta e discetta, con la stessa serietà e dovizia di particolari, su ogni sfogo dell’economista di fama mondiale Paul Krugman e la Premier League britannica.

“Pensavo a qualcosa di snello” spiega Ferrara. “I fatti nudi e crudi, la gente li apprende dalla televisione. A me interessa invece cavalcare la notizia, non esserne dominato”. E in effetti, Ferrara con il Foglio si muove assai più agilmente delle corazzate “La Repubblica” e “Corriere della Sera”. Strada facendo il giornale ha anche trovato imitatori: giusto qualche settimana fa è nato in Francia un giornale simile, dall’eloquente nome “L’Opinion”.

Il Foglio non conosce tabù: anche se la linea del giornale è fondamentalmente cattolica e liberista, non mancano mai voci fuori dal coro. L’anarchico Adriano Sofri, negli anni Sessanta e Settanta leder del movimento della sinistra radicale Lotta Continua, ha avuto per anni una rubrica sul Foglio: i pezzi li mandava dal carcere.

Il sogno di ogni giornalista, avere un giornale secondo i propri gusti, sembrava dunque essersi avverato. Con il Foglio Ferrara aveva in mano uno strumento per portare avanti, e ai livelli più alti, le sue battaglie culturali. Ciò nonostante, decide di tornare, seppur solo per un breve periodo, una volta ancora nell’arena politica. “La società secolarizzata sta correndo il pericolo di perdere il suo valore fondante, e cioè la difesa della vita sin dal concepimento” spiega con fare da professore. “Io sono contro l’aborto. Ma diversamente dalla chiesa, non voglio che venga vietato per legge”. Secondo lui nessuna donna e nessun medico devono essere perseguiti per aver praticato l’aborto: “Una legge siffatta sarebbe contro la morale cristiana”. La posizione di Ferrara è presto detta: massima libertà di scelta a ognuno dunque, ma anche una sempre più necessaria opera di sensibilizzazione dell’opinione pubblica su questo argomento.

Per questo, nel 2007 si era presentato alle elezioni con il partito “monotematico” “Lista Pazza”. Un’avventura elettorale, una crociata anti abortista soprattutto, che non gli ha portato tanti nuovi amici. Tutt’altro. A Bologna lo volevano addirittura linciare. “A un certo punto mi sono ritrovato da solo di fronte a duemila femministe, assistenti sociali e altri radicali, infuriati. Mi volevano ammazzare. Ma io ho tenuto lo stesso il mio comizio e poi me la sono data a gambe”. Giusto il 0,35 per cento dei voti riuscì a ottenere la Lista Pazza. “Un magnifico flop”  ammette divertito Ferrara.

La colonna di Ratzinger

E ora basta chiacchiere. E’ tempo di andare a pranzo. Ed è un’esperienza curiosa vedere Ferrara percorrere i pochi metri che separano la redazione dalla trattoria “Checco er Carettiere”: ad accompagnare questo signore dall’imponente stazza, sono tre piccoli bassotti che lui tiene al guinzaglio.

Mentre usciamo dalla redazione, Ferrara racconta che di tanto in tanto davanti alle finestre del suo ufficio aveva visto passare Bendetto XVI, seduto in una grande Mecedes, fiancheggiata a sua volta da una colonna

di forze della sicurezza in moto. Che enorme differenza con l’attuale Papa Francesco, che si sposta con una Volkswagen.

A Ferrara Papa Francesco piace, tanto quanto gli piaceva prima Papa Benedetto. “Il fatto è che noi romani siamo papisti. E per questo amiamo ogni Papa” spiega. Certo, il nuovo Pontefice è molto diverso dal suo predecessore. Ferrara non ha dubbi: “Ratizinger è stata la persona in assoluto più intelligente che abbia mai incontrato, ma Francesco è tutt’altra cosa”. “Il suo papato segna la fine del Concilio Vaticano Secondo: questo Papa non è stato coinvolto nella lotta tra le due grandi scuole di pensiero sulla modernizzazione della chiesa”. Dopo il Concilio, in Vaticano si era venuto costituire  “un nutrito gruppo di intellettuali”, studiosi che non facevano altro che litigare. Con Francesco è salito al Soglio Pontificio un outsider, e con il suo arrivo sono cessate anche le dispute. Il che, secondo Ferrara, non può che far bene alla chiesa. E poi, aggiunge: “L’unica cosa che, dall’alto dei miei 61 anni, mi potrebbe oggi ancora veramente stupire sarebbe un miracolo”.