Non siamo all’altezza della complessità di cui credevamo di avere il controllo

Utopie negative, generi letterari e catastrofi reali

di Alfonso Berardinelli 5.4. 2020 ilfoglio.it lettura 3’

In queste prove generali per la fine del mondo; in questo film in cui siamo tutti protagonisti e noi italiani più di altri; in questo scenario nel quale tutto è realtà e niente è finzione e che ci mostra come potrebbe finire il nostro mondo; come cioè il gigantesco, planetario “sistema complesso”, il più complesso che conosciamo perché lo abbiamo voluto, inventato e realizzato noi, può implodere per l’intervento di una variante esterna imprevista ma non imprevedibile; una variante in apparenza minima che riesce invece in poco tempo, appena un mese, a mettere in moto un effetto domino che demolisce la “normalità” delle società umane a cominciare da quelle più produttive, più organizzate e ricche; in questo hors-d’oeuvre di un’apocalisse niente affatto mitica in cui una sola causa provoca innumerevoli effetti non ancora immaginati e tutto può cambiare per l’homo sapiens alle soglie del postumano; ecco, sarebbe un bene se noi provassimo scientificamente, con l’aiuto di tutte le nostre scienze, a riflettere per migliorare le nostre capacità di previsione e di decisione, perché evidentemente la nostra mentalità, immaginazione e cultura non sono all’altezza della complessità di cui distrattamente credevamo di avere il controllo.

La storia fisica del nostro pianeta e la storia dell’umanità hanno visto nel loro passato altre catastrofi. Questa è però la più globale, la prima globalizzata e la più veloce. Né guerre più o meno “mondiali” né fenomeni di degrado ambientale avevano interessato uno spazio sociale così ampio da non avere confini, in un tempo così breve da superare le nostre capacità di reazione. Abbiamo costruito canali meravigliosi per incrementare la velocità di comunicazione e di scambio. Ma la velocità è un medium neutro, non è né buono né cattivo: dipende da quello che si comunica e ci si scambia. Questa volta il virus non è stato informatico ma microbiologico e sanitario. Come si diceva una volta, non c’è niente al mondo che non sia contagioso.

Dell’ultimo secolo, dall’inizio del Novecento in poi, le ragioni per riflettere sulla falsa linearità dei nostri progressi non sono mancate. Era da qualche decennio, soprattutto dopo la fine della Guerra fredda e della sfida nucleare fra Occidente “libero” e Oriente “comunista”, che ci eravamo un po’ distratti. Nel mezzo secolo precedente la catastrofe e le conseguenze delle due guerre mondiali spinsero Karl Kraus a scrivere Gli ultimi giorni dell’umanità, Oswald Spengler Il tramonto dell’Occidente, Johan Huizinga La crisi della civiltà, Horkheimer e Adorno Dialettica dell’illuminismo e Orwell 1984. In seguito fu il pericolo atomico a far pensare a una possibile fine del mondo di cui Günther Anders negli anni Cinquanta si dichiarò “specialista” concependo un’opera come L’uomo è antiquato, finché poi Barry Commoner, con Il cerchio da chiudere, teorizzò che la futura ecocatastrofe non sarebbe stata governabile solo con la scienza e con la tecnica, ma modificando la logica capitalistica dello sviluppo. Su tutto questo abbiamo imparato a scherzare, proteggendoci dai pessimismi più radicali con l’ironia. Ma l’ironia è un’arma temibile, può essere usata anche contro chi, per scaramanzia, si rifiuta di nominare il male di cui sta morendo. Ci sono situazioni (pare che ci siano) in cui incrociare le dita, fare scongiuri e ripetere che deprimersi fa male, sono cose che servono a poco. Questa volta non c’è scampo neppure per chi avrebbe tutti i mezzi per costruirsi intorno e addosso bunker e fortificazioni di sicurezza. Anche i potenti e i ricchi si ammalano.

Catastrofi e apocalissi non sono solo cupe utopie negative, generi letterari, ideologici, cinematografici. A quanto pare, a volte è la realtà a essere ironica con noi, non si lascia addomesticare neppure dalla nostra onnipotente e onnipresente estetica dello show che must go on. Come dice ironicamente Auden in questi due versi: “The Inevitable is what will seem to happen to you purely by chance. / The Real is what will strike you as really absurd”.

Oggi la realtà in cui siamo scivolati all’improvviso nel corso di un mese ci sembra irreale. Ma sembra irreale anche la nostra cara normalità di due mesi prima, quando sognavamo un bel sogno fissando ipnotizzati il display dei nostri telefoni immaginando che là fuori non potesse succedere altro. Penso ai popoli monoteisti che hanno la Bibbia come testo sacro. Come fanno a non credere che esistono anche i “castighi di Dio”?

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