Perché la strategia delle emissioni zero non salverà l'ambiente

Alcuni investimenti pubblici sulla transizione ecologica sono desiderabili, ma non portano necessariamente ad aumentare la produttività. ecco in quali aree la Green Economy che può avere ricadute positive sul tessuto produttivo italiano

VERONICA GUERRIERI E GUIDO LORENZONI  24.6. 2021 ilfoglio.it

PIANO NAZIONALE DI RIPRESA E RESILIENZA PNRR RECOVERY FUND RECOVERY PLAN NEXT GENERATION EU EMISSIONI ZERO AMBIENTE TRANSIZIONE ECOLOGICA

Una caratteristica centrale del Piano nazionale di ripresa e resilienza è l’enfasi sugli investimenti pubblici. L’idea fondamentale, che viene dall’Europa, è che la spesa per investimenti porti al cosiddetto “debito buono,” ossia al debito che crea un deficit oggi ma aumenta la produttività dell’economia in futuro, aumentando così i redditi degli Italiani e le entrate fiscali. Questo però crea una certa tensione con un altro elemento del piano: l’enfasi sulla transizione ecologica, anch’essa fortemente voluta a livello europeo.

Su questo è opportuno essere realisti. Alcuni investimenti pubblici volti a ridurre le emissioni di anidride carbonica sono desiderabili, ma non portano necessariamente ad aumentare la produttività. Per esempio, dare sussidi per migliorare l’isolamento termico di abitazioni private riduce le emissioni, ma non ha effetti sulla capacità del paese di produrre reddito. Questo non vuol dire sottovalutare l’urgenza di questi interventi o i rischi dovuti al cambiamento climatico. Ma vuol dire non illudersi sulla capacità di questi investimenti di produrre un ritorno in termini di future entrate. Sono investimenti per proteggere il pianeta, non per rilanciare la crescita.

Ci sono però, per fortuna, altre aree di investimento nella Green Economy che possono avere ricadute positive sul tessuto produttivo italiano. In particolare, gli ultimi anni hanno visto formidabili innovazioni tecnologiche nel campo delle energie rinnovabili, con un ritmo simile a quello che vedemmo negli anni 90 nel campo dell’informatica. Per fare un esempio, il costo di produrre energia solare è sceso negli ultimi 10 anni del 90 per cento – da circa 350 dollari al megawattora a circa 35  – al punto tale da renderla competitiva con l’energia prodotta con combustibili fossili.

Questo può influenzare l’economia italiana in due modi. In primo luogo, è concepibile che il tasso di innovazione continui a procedere al punto da portarci a una situazione in cui l’energia diventi molto meno costosa di oggi e in cui la tecnologia di immagazzinamento dell’energia (batterie) diventi molto efficiente. Questo potrebbe rendere economicamente fattibili nuove innovazioni tecnologiche in una varietà di settori. Tanto per fare un esempio, con bollette più contenute, potrebbe crearsi un mercato di massa per cucine altamente robotizzate, ora troppo costose da usare per una famiglia media. Il ruolo dello stato in questo ambito dovrebbe essere solo di preparare il paese a questa potenzialità, investendo nelle infrastrutture necessarie a distribuire l’energia da fonti rinnovabili nel modo più efficiente (la cosiddetta rete intelligente), e lasciando agli animal spirits del capitalismo italiano l’esplorazione delle opportunità di innovazione che ne conseguono.

Purtroppo, l’esperienza recente mostra che il problema non è solo tecnologico e che lo stato può avere un effetto frenante invece che stimolante. Nelle ultime aste per la produzione di energie rinnovabili in Italia l’offerta è stata inferiore alla capacità assegnata, mentre in Spagna l’offerta è stata molto maggiore, con il risultato che il prezzo finale nelle aste italiane è stato più del doppio che nelle aste spagnole. La differenza sembra dovuta solo ai maggiori vincoli burocratici e autorizzativi che pesano sulla produzione in Italia.

C’è poi un secondo modo in cui l’investimento pubblico verde può stimolare la crescita. In particolare, è possibile che l’Italia giochi un ruolo più importante negli sviluppi tecnologici relativi alla produzione di energie rinnovabili. Il Piano, per esempio, prevede investimenti significativi nello sviluppo della produzione di idrogeno in Italia, un campo in cui vi è  molto interesse per soluzioni innovative. Lo sforzo tecnologico per rendere le fonti rinnovabili sempre più competitive ha un grande vantaggio rispetto ad altri modi di ridurre le emissioni di anidride carbonica. Un aspetto noto del problema del riscaldamento globale è che è un problema, appunto, globale. Ciò significa che se l’Europa riduce le emissioni contenendo i consumi, questo ridurrà la domanda mondiale di combustibili fossili, riducendone il prezzo, e aumentando così gli incentivi per altri paesi a usarne di più. Oppure rendendo più difficile, per paesi con istituzioni più deboli, la applicazione di regolamentazioni sulle emissioni, perché è più conveniente per le imprese in questi paesi trovare modi più o meno legali di eludere i controlli. Al contrario, lo sviluppo di tecnologie che rendono le energie rinnovabili più competitive tende a promuovere comportamenti più virtuosi, perché crea incentivi di mercato a abbandonare l’uso dei combustibili fossili.

Investire nel rendere le fonti rinnovabili accessibili e poco costose può quindi sia creare opportunità di crescita per l’economia italiana sia creare ripercussioni positive sulla lotta al riscaldamento globale. Sembra sicuramente il tipo di investimento pubblico verde da privilegiare

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