Monti Lucretili, sulle tracce dei lupi

Dichiarato nel 1977 Riserva della Biosfera e nel 1980 Patrimonio dell’Umanità, è uno dei più imponenti ed estesi parchi naturali di tutto il mondo

LUPO NEL PARCO

08/04/2015 FRANCESCO SALVATORE CAGNAZZO (NEXTA) La Stampa

1-Rarissimi, certo, ma non ancora scomparsi, fortunatamente. Nella speranza che non siano mai minacciati dall’uomo. Lupi e orsi sono ancora presenti nel Parco Naturale Regionale dei Monti Lucretili, un’area naturale protetta della regione Lazio, a pochi chilometri da Roma, istituita nel 1989. Si trova sulla dorsale calcarea del pre-appennino laziale: tra le sue vette più alte il Monte Pellecchia (1368 m) e Monte Gennaro (1271 m). Ma lo scenario qui non è soltanto montano…

 IL LUOGO La ricchezza naturalistica di quest’area, infatti, risiede proprio nell’eccezionale configurazione del paesaggio, di tipo spiccatamente pre-appenninico, dove la vicinanza del mare ha concorso alla formazione e alla coesistenza di ambienti e di climi diversi, con relative differenze per paesaggi e fauna. Preziose le testimonianze provenienti dal Paleolitico Medio, le necropoli dell’età del Bronzo, ma anche le presenze preromane e romane, caratterizzate principalmente da resti di ville rustiche, tra le quali la più celebre è quella del poeta Orazio.

 NATURA L'intero territorio del Parco coincide con l'areale di caccia di una coppia di Aquila reale nidificante nelle aree dominate dagli aspetti rupicoli. Ma tra i predatori è riapparso anche il lupo, che si spinge fino ai rilievi prospicienti la pianura, nonché il gatto selvatico. Fino ad alcuni anni fa è stato osservato anche un esemplare di orso marsicano, mentre la macchia della fascia basale ospita popolazioni di istrice e tasso. Per quanto riguarda la flora, fino ai 600 metri si trovano lentisco, cisto, e mirto, mentre sulle sommità dei rilievi si incontrano interessanti specie botaniche come la Carlina acaulis e l'Iris sabina.

 IL CONSIGLIO Nell’area protetta si possono effettuare escursioni di varia difficoltà e trekking, grazie alla segnalazione sul terreno, a norma CAI, di 53 sentieri per oltre 230 km di percorsi. Per chi ha voglia di approfondire il discorso funghi, alcuni esperti micologi illustreranno le loro meraviglie attraverso articoli divulgativi e schede per farli conoscere a tutti, in particolar modo quelli della zona. Preziosi anche i consigli per prevenire gli avvelenamenti e per riconoscere quelli buoni.

 DINTORNI Un inedito trekking nel nome del lupo, magnifico simbolo della natura di questi luoghi intrisi di natura e storia: 120 km che collegano alcune tra le principali aree protette dell'Appennino. Il percorso parte dalla campagna romana fino al confine tra le due regioni, attraversando i Parchi Regionali dei Monti Lucretili e dei Monti Simbruini, le Riserve Naturali del Monte Catillo e di Zompo lo Schioppo, per arrivare, infine, al Parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise. Un itinerario accessibile a tutti gli escursionisti, che tocca vette, boschi, laghi e valli, raccontato anche nella guida “La via dei Lupi”.

2-i lupi. Intervista alla più esperta zoologa italiana di lupi, piemontese doc

REUTERS

23/12/2014

ELISABETTA CORRÀ

Francesca Marucco racconta i suoi venti anni di convivenza con i lupi con allegria e umiltà. Ma la sua storia professionale è prestigiosa: Francesca è la più esperta zoologa italiana di lupi, ha vissuto 8 anni negli Stati Uniti, con una robusta esperienza di ricerche sul campo in Montana, dove oggi è docente affiliata presso l’Università. Insegna però anche nell’ateneo di Torino, perché è piemontese doc e l’Italia deve a lei la coordinazione del Progetto Lupo Piemonte che ha consolidato il ritorno di questo predatore sull’arco alpino. Nel 1983 i lupi in Italia erano 200: la stima del 2012 è di 800 esemplari. Grazie alla normale dispersione tipica della specie, dalla fine degli anni ’90 i lupi sono apparsi in Valle Pesio (CN), Valle Stura (CN) e Parco Naturale del Gran Bosco di Salbertrand (TO). 

Oggi Francesca presiede il LIFE WOLFALPS, il programma di monitoraggio dei lupi sulle montagne italiane nel più ampio quadro delle normative europee. Allieva del “grande” Luigi Boitani, il padre della conservazione dei carnivori in Italia, Francesca ha scritto per le edizioni Il Piviere un libro suggestivo Il lupo. Biologia e gestione sulle Alpi e in Europa (2014), un tracking scientificamente rigoroso e anche ispirato - con splendide fotografie - nel silenzio delle foreste e dei boschi dove vivono, cacciano e si riproducono i lupi. Perché Canis lupus è l’animale simbolo del confine frastagliato e sempre contraddittorio tra l’umano e il selvaggio, tra Natura e Cultura. 

Il tuo è un libro specialistico e però molto accessibile, ricco di consigli pratici per chi vuole saperne di più e magari si avventura in montagna sognando l’incontro con questo animale unico. 

Il mio intento era riuscire a far capire cosa è il lupo a varie tipologie di persone, che ne sono appassionate pur non conoscendolo come specie: ambientalisti, cacciatori, allevatori, escursionisti. Però ho voluto anche dare il mio contributo allo sviluppo di una “cultura del selvatico” qui in Italia. In Nord America gli animali selvaggi sono vissuti come specie da apprezzare, ma a distanza. Da noi, in zone molto antropizzate, abbiamo l’idea del lupo come peluche o del predatore da eliminare. Questo è un momento in cui si parla molto del terrore per il lupo, ma il lupo nei nostri boschi si è reinsediato da decenni senza nessun attacco documentato alle persone. E se poi pensi al numero dei visitatori delle montagne, l’evidenza statistica della sua non pericolosità è chiara. Il lupo, poi, è molto difficile da vedere, anche per lo sguardo esperto di un biologo. Si tiene alla larga il più possibile da noi umani. 

Tu spieghi che tutte le popolazioni di grandi carnivori sono transfrontaliere. Perché quello che sta accadendo in Veneto è cruciale per il destino dei lupi italiani? 

In Veneto come in Piemonte purtroppo è passato un messaggio fuorviante. La gente dice, il lupo mi è passato davanti alla porta di casa. Capisco che possa fare effetto, ma se conosci la specie sai che non devi temerlo. La ricolonizzazione naturale delle Alpi occidentali è il frutto dell’espansione della popolazione di lupi presente nell’Appennino; tra queste due zone c’è un corridoio ecologico costituito dall’Appennino ligure lungo cui i lupi si spostano, mantenendo aperta la possibilità di incroci genetici. Ma ancora più importante è la nuova connessione tra i lupi delle Alpi occidentali e la popolazione dinarica della Slovenia, documentata con due coppie riproduttive in Veneto e anche in Friuli. Si tratta di una occasione irripetibile di arricchimento genetico per il lupo italiano, la riunificazione di due subpopolazioni è un avvenimento che non si verificava da 150 anni. In Veneto assistiamo ad un fenomeno sostanziale per migliorare la eterozigosità totale della specie, cioè la sua diversità genetica. Senza contare che il ritorno del lupo testimonia la riqualificazione ecologica delle Alpi. 

Ma il lupo è un simbolo, rappresenta la parte non domesticata della natura umana. È per questo che lo amiamo e odiamo in egual misura? Uno dei tuoi maestri, Luigi Boitani, sostiene che per descrivere l’uomo si usano le stesse parole che funzionano per il lupo. 

Da un punto di vista culturale, il lupo è il complesso di istinti ferini che non riusciamo mai a dominare completamente. Suscita sempre una opinione, non lascia mai indifferenti. Il lupo spesso diventa anche l’incarnazione di cambiamenti sociali ed economici traumatici, ad esempio l’abbandono della campagna e di conseguenza il rinselvatichimento. In Italia, e in Piemonte, sui lupi si sono concentrate le angosce di un mondo in transizione. Il nostro stile di vita è sempre più dipendente da supporti tecnologici che mediano il rapporto con la realtà e fanno perdere il contatto con il selvatico. Ormai lo immaginiamo come nei cartoni animati. E poi la domesticazione del lupo, che ha portato al cane, ne ha fatto una specie molto vicina, forse troppo vicina a noi. Il lupo ha una vera famiglia, non è un solitario come la lince. I giovani vanno in dispersione, come i ragazzi che escono di casa a venti o trenta anni. Si va a formare un nuovo branco!

Nel libro dici che in tempi di crisi economica diminuisce la tolleranza per i carnivori. Un black out nell’intendere la ferocia e la competizione? 

Ho cominciato a lavorare in Piemonte nel 2000; nei primi dieci anni il clima era buono per il lupo, nonostante la sua popolazione stesse crescendo. Poi negli ultimi 3 o 4 anni, ho assistito ad un cambiamento di atteggiamento. La causa è la strumentalizzazione politica del lupo, usato come icona di alcune categorie sociali in cerca di rappresentanza. I mezzi di informazione, da parte loro, si sono concentrati sugli attacchi dei predatori. Perciò è fondamentale produrre dati scientifici solidi su cui costruire programmi gestionali basati sulla logica, non sull’emotività. In Piemonte è appena partita nell’ambito del programma LIFE WOLFALPS una analisi di “human dimension”, cioè una indagine per capire come il lupo sia vissuto dalla gente e dalle categorie economiche interessate dalla sua presenza. L’ultima ricerca di questo tipo risaliva al 2002.

Tu scrivi che la tendenza dell’uomo è di eliminare ogni paura, ma che “il timore che suscita un bosco di notte è da preservare perché é il fascino della natura intatta”. Gli americani la chiamano wilderness. Abbiamo bisogno della wilderness e del lupo per crescere nella nostra coscienza ecologica? Il tuo advisor in Montana, Dan Pletscher, ti disse che la frontiera ce l’abbiamo noi sulle Alpi, che cosa intendeva? 

Pletscher è una persona illuminante, è lui che mi ha insegnato a guardare la big picture, il contesto in cui vive una specie. Certo, qui in Italia e in Europa non abbiamo più gli spazi del Nord America, sicuramente però possiamo avere il lupo e i carnivori in ecosistemi ancora funzionanti. Quando Dan mi ha detto - in uno Stato che è poco più esteso dell’Italia con all’epoca, però, solo 800mila abitanti - in Montana non c’è più posto per il lupo, io gli ho risposto, ma stai scherzando ! L’ho invitato in Piemonte e negli anni a venire abbiamo scritto insieme su riviste scientifiche di come le Alpi siano davvero la frontiera, perché stiamo spingendo gli animali selvatici a vivere al limite, in ciò che è rimasto dei loro habitat divorati dalla nostra avanzata. Eppure il lupo ha risposto in modo imprevisto alla pressione antropica. Quando in Nord America si fanno le Analisi di selezione dell’habitat sul lupo, per capire le zone selezionate per la riproduzione e la predazione, le aree in quota non vengono neppure inserite nei modelli, perché i lupi scelgono sempre i fondovalle. Lo stesso lavoro sulle Alpi dà esiti completamente diversi. I lupi italiani preferiscono l’alta montagna, pur di evitare paesi e strade, non hanno nessun problema a salire ai tremila metri: i siti di rendez vous, dove si trovano le tane con i cuccioli, sono a misura di camoscio, quanto ad altezza e difficoltà di accesso. Le Alpi sono quindi un insostituibile laboratorio sul futuro, per capire fino a che punto possiamo convivere con i carnivori. Dobbiamo però mantenere anche delle zone dove la natura fa il suo corso. Rinunciare ai lupi e agli spazi selvaggi sarebbe una catastrofe non solo per il Pianeta, ma per noi uomini. Lo dico in senso antropologico e culturale. 

E la Val di Susa è una “sink” di questo laboratorio, come dite voi biologi “un inghiottitoio di lupi”. I lupi ci stanno benissimo, ma i numeri sulle perdite tra incidenti stradali e bracconaggio sono inquietanti. 

In Val di Susa abbiamo 2 branchi. In 12 anni sono stati ritrovati 17 lupi morti per investimento sia di treno che di auto; la gente pensa che se ne sono morti 4 - è il caso dei cuccioli travolti tutti insieme nell’ultimo incidente della valle - allora vuol dire che ce ne sono 2000. Niente di più sbagliato: in Italia ogni branco conta 4-5 individui. Il danno è enorme. Bisognerebbe anche interrogarsi sul pericolo che corrono gli automobilisti, quando si scontrano con lupi, e anche caprioli e cervi, che attraversano le strade asfaltate. Il fatto è che una soluzione sperimentata ci sarebbe, e cioè costruire i “green bridges”, sovrappassi che consentono ai carnivori di muoversi nel loro territorio senza passare per autostrade e viadotti, ponti che riducono la frammentazione degli habitat. La Croazia li ha messi dappertutto e funziona. Quando ci son state le Olimpiadi di Torino abbiamo pensato che gli investimenti in infrastrutture fossero una occasione per costruirne anche in Val di Susa, ma non è stato così. 

Dal Trentino al Veneto assistiamo ad un confronto tra uomini e predatori sempre più radicale. Che cosa significa gestire i lupi su scala biologicamente realistica? 

I piani di gestione faunistica devono essere integrati con i dati di presenza del predatore. L’Italia ha aderito alla Convenzione di Berna e alla Direttiva Habitat dell’Unione Europea e questo significa che il nostro Paese ha abbracciato il ragionamento sotteso a questi strumenti normativi: l’areale attuale dei lupi è una soglia minima sotto cui non si può scendere, ma è altamente auspicabile per la sopravvivenza della specie che questo spazio possa espandersi e che aumenti la connettività tra le popolazioni esistenti. Insomma, il range potenziale del lupo è più ampio di quello attualmente occupato e costituisce un valore ecologico in sé che, in prospettiva, deve essere salvaguardato anche sulla base di scelte politiche di conservazione. Una gestione efficace dei lupi in Italia deve adattarsi continuamente ai cambiamenti socio-economici, non può essere statica, e deve fondarsi su parametri di popolazione e distribuzione monitorati con continuità. Bisogna sempre tener presente che questi animali non sono gestibili all’interno di aree predefinite: un lupo va dove vuole, ha un territorio di almeno 250 Kmq. Tutto necessita di compromessi. Quando si arriva alla decisione, ci si trova per forza di cose ad un tavolo in cui ci sono le necessità e i bisogni di tutte le categorie coinvolte dalla presenza del lupo. La buona notizia è che in Italia stiamo andando nella direzione di uno stretto dialogo tra biologi e politici, in modo da definire piani di intervento sempre più descrittivi della realtà al suolo. 

Nel libro descrivi un certo tipo di turismo di montagna, invasivo ed ad alta intensità di strutture, come una delle minacce alla sopravvivenza del lupo nel nuovo millennio. A quali criteri dovrebbe corrispondere un turismo davvero sostenibile? 

In Piemonte il turismo di montagna sia in inverno che in estate è in forte aumento, si organizzano escursioni ovunque. E cresce anche il turismo motivato dall’ambizione di intercettare un grande carnivoro. Questo funziona solo se gestito in modo eco-sostenibile, ovvero con particolare attenzione a non disturbare e impattare sulla specie. L’utilizzo totale del territorio innesca disquilibri. In Piemonte bisogna individuare bene le zone di riproduzione del lupo durante l’estate, le aree critiche dove i lupi fanno la tana per i cuccioli, stabilirvi un accesso limitato da giugno a dicembre, e non farci passare sentieri. Le tende e il campeggio libero hanno un impatto tremendo se sono troppo frequenti e distribuiti ovunque, la notte è l’unico momento in cui gli animali sono tranquilli; occorrono campeggi controllati. Ci vuole poi tanta consapevolezza e rispetto da parte del turista. Vedere un lupo è evento rarissimo; può darsi che mentre passeggi nel bosco lui sia sopra di te che ti guarda con un dislivello di soli 50 metri, e non senti assolutamente nulla. 

In Italia la prima causa di morte del lupo rimane purtroppo il bracconaggio. 

Nel periodo 2010-2012 sono stati rinvenuti morti 21 lupi in Piemonte, ma potrebbero essere di più perché le carcasse sono molto difficili da recuperare, il ritrovamento è generalmente casuale. L’atto di bracconaggio più subdolo e spregevole contro il lupo è l’avvelenamento, perché non si limita ad uccidere il predatore, ha ricadute terribili su tutta la fauna selvatica, l’ecosistema e la catena alimentare. Qualche giorno fa nella Val di Lanzo sono stati ritrovati 4 grifoni avvelenati, indizio di un progetto criminale sicuramente non indirizzato direttamente a loro. I bracconieri oggi usano sostanze facilmente reperibili come i rodonticidi e gli anticoagulanti, ma in provincia di Cuneo uccidono anche con la stricnina e il cianuro, veleni proibiti in Italia e quindi immessi di contrabbando. Il boccone tossico è una minaccia anche per i turisti e i loro cani. Nel progetto LIFEWOLFALPS che io coordino prevediamo la costituzione da qui al 2018 di 2 squadre analoghe al Gruppo Antidoto del Gran Sasso che a Novembre saranno addestrate per setacciare due settori geografici, le Alpi Occidentali e le Alpi Orientali. Stiamo anche partendo con i corsi di formazione per operatori alpini dal Piemonte al Trentino che ci consentiranno entro giugno del 2015 di avere un censimento veramente completo e dettagliato dei lupi sull’intero arco alpino. Il backstage del lavoro di noi ricercatori è dar corso al suggerimento contenuto nel testo della Large Carnivore Initiative for Europe della IUCN. Il lupo non è una presenza causale o contingente dei boschi qui attorno, è al contrario parte irrinunciabile della nostra identità ecologica di europei. 

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