L’escalation penale sugli ecoreati produce malagiustizia. Parola di Pm

“Non distingue tra dolo e colpa, tra chi ha un incidente e si attiva per riparare e chi inquina per scelta criminale”,

di Alberto Brambilla | 14 Aprile 2015 ore 06:27

Roma.  Gli imprenditori, attraverso Confindustria, da tempo denunciano che il disegno di legge sui reati ambientali, in discussione alla Camera per la lettura definitiva – salvo modifiche impalatabili per le associazioni ambientaliste – introdurrebbe la fattispecie del disastro ambientale nel codice penale con effetti nefasti per l’economia. “Non distingue tra dolo e colpa, tra chi ha un incidente e si attiva per riparare e chi inquina per scelta criminale”, dice Confindustria. E l’imprenditore, già soggetto a una regolamentazione rigida, oltre ad assumersi il rischio aziendale (calcolato) si troverebbe ad affrontare anche quello (imponderabile) di subire indagini e sequestri. Preoccupazioni che trovano fondamento nella relazione del sostituto procuratore di Udine, Viviana Del Tedesco, contenuta nel Rapporto 2015 dell’associazione Italiadecide – “Semplificare è possibile: come le pubbliche amministrazioni potrebbero fare pace con le imprese” – presentato ieri alla Camera.

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 Del Tedesco è il pm che ha perseguito le società che avevano inventato un’emergenza ambientale inesistente al fine di ottenere sovvenzioni pubbliche per bonificare la laguna di Grado e Marano, in Friuli. Del Tedesco scrive che in fatto di norme ambientali sono gli imprenditori onesti a pagare lo scotto più alto a causa di una “produzione normativa ipertrofica”. “La confusione regna sovrana e il rinvio ad allegati dove si fa riferimento a soglie di contaminazione astrattamente considerati costringe ad avviare attività costose (es. analisi del rischio sui prodotti agricoli, ndr) per ottenere risultati  privi di utilità, se non dannosi, sotto il profilo della tutela sostanziale dell’ambiente e scientificamente errati”. La difficoltà ad adempiere a tutti gli obblighi è amplificata dalla produzione normativa che aumenta la possibilità di sbagliare col rischio di essere responsabili non per colpa specifica (con intenzione) ma anche per colpa generica (per non avere fatto qualcosa): “Si riduce sempre più la possibilità concreta di evitare il rischio di essere perseguiti a titolo di colpa e l’esercizio di qualsivoglia attività umana comporta assunzioni di responsabilità non controllabili con la conseguente mortificazione dell’iniziativa di ciascun soggetto (imprenditore), aumento dei costi di gestione e riduzione delle volontà virtuose. Più che fare le cose bene e in modo che funzionino in concreto, la preoccupazione principale di ciascuno è quella di ‘essere a norma’. Ma è in colpa colui che non sa nemmeno bene cosa deve fare per ‘essere a norma’? – si chiede Del Tedesco – La moltiplicazione delle norme tecniche mortifica il principio di certezza del diritto e il concetto di colpa viene dunque stravolto”.

Se nessuno sa esattamente cosa deve fare, chi vuole operare correttamente avrà difficoltà crescenti a farlo mentre chi si comporta in modo superficiale per trarne vantaggio è giustificato dal caos normativo. Le conseguenze per l’esercizio della giustizia sono altrettanto perverse. Del Tedesco aggiunge un concetto tipicamente rimosso dalla magistratura d’assalto: “L’ipertrofia delle norme penali previste nelle materie tecniche che sfuggono alle conoscenze del magistrato e affidate inevitabilmente ai consulenti, non esalta ma svilisce la magistratura che a sua volta, non potendo avere il controllo delle innumerevoli indagini nei più disparati settori, si burocratizza e non garantisce qualità. (…) Devolvere alla magistratura la valutazione di questioni tecniche significa aumentare i tempi delle indagini. Se invece di avere tante norme confuse ve ne fossero poche con obiettivi precisi, le indagini della magistratura sarebbero meno numerose, più mirate, meno costose e si risolverebbero in tempi ragionevoli garantendo alla collettività un servizio sostanziale”.

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