Pericolosi paradossi verdi

nel 2014 il costo per lo stato delle energie rinnovabili ha toccato i 15,8 miliardi di euro – di cui 13,4 di puri incentivi pubblici – e ha quindi superato per la prima volta il costo complessivo delle importazioni di gas naturale pari a 14,8 miliardi.

di Alberto Brambilla | 27 Aprile 2015 ore 20:07

L’Italia ha seguito quasi alla perfezione l’oneroso esempio della rivoluzione verde tedesca, la “Energiewende”, con effetti paradossali. Ispi Energy Watch, blog collettivo del think tank milanese coordinato da Massimo Nicolazzi (già Eni, Lukoil e Centrex Europe) sulla base dei dati del Gestore dei servizi energetici (Gse), ha calcolato che nel 2014 il costo per lo stato delle energie rinnovabili ha toccato i 15,8 miliardi di euro – di cui 13,4 di puri incentivi pubblici – e ha quindi superato per la prima volta il costo complessivo delle importazioni di gas naturale pari a 14,8 miliardi. Gli autori ammettono che il paragone è ardito (il costo di una materia prima non ha nulla a che fare con un incentivo di qualsiasi natura) e che l’effetto è il risultato di una particolare congiunzione rara (sussidi al massimo, consumi degli idrocarburi in calo perdipiù a prezzi ridotti).

Ma il divertissement dimostra che l’Italia paga un prezzo inferiore per sostenere la sua dipendenza energetica dall’estero di quanto faccia per gonfiare le rinnovabili. Sapere che il consumo di energia generata da fonti di nuova generazione cresce, col fotovoltaico in testa, potrà essere motivo d’orgoglio per i movimenti ambientalisti. Ma spingendo l’analogia un po’ più in là scopriamo che i soli incentivi corrisposti al solare (30,7 centesimi per kWh) sono sette volte il prezzo del gas naturale (2,5 centesimi di euro per kWh) e quindi l’aggravio eccessivo dei costi si scaricherà sulla bolletta elettrica che invece di alleggerirsi significativamente per effetto del costo inferiore degli idrocarburi avrà uno sconto di appena l’1,1 per cento nel prossimo trimestre dell’anno, secondo l’Autorità per l’energia (Aeegsi).

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 La doccia di sussidi alle rinnovabili, diventata paradigma europeo, ha portato l’Italia a raggiungere gli obiettivi dell’agenda europea 2020 – 17 per cento di consumo da fonti alternative – già nel 2013, con un anticipo di sette anni sulla scadenza, secondo dati Eurostat pubblicati lo scorso marzo. Non è un bene. Non solo l’Italia non ha creato una filiera nazionale – gli impianti italiani sono fatti per la maggior parte con materiale importato dall’estero, Cina e Germania – ma ha anche deciso di rendere quasi anti-economica la produzione di energia da gas naturale. Enel ad esempio ha avviato la chiusura degli impianti a fine corsa o considerati onerosi, e programma di riconvertire 23 centrali ad altro uso.

Tuttavia ci sarà ancora bisogno delle centrali termoelettriche per garantire la modulazione dell’energia – che le rinnovabili per loro natura non permettono – e per supplire all’intermittenza del solare e dell’eolico, inefficaci in giorni di pioggia o bonaccia. Gli operatori tradizionali invocano anch’essi compensazioni per i soldi persi, con chemi di remunerazione della capacità produttiva. E se, come segnala l’Ispi, gli incentivi pubblici “verdi” si stanno mangiando il mercato, finiremo col dovere offrire una stampella di stato anche al gas, dopo averlo umiliato. Il governo Berlusconi, di centrodestra, con il cosiddetto “salva Alcoa”, aveva dato il la al meccanismo scellerato nel 2010. Il governo di Matteo Renzi, di centrosinistra, l’anno scorso ha provato a rimediare tagliando con effetto retroattivo gli incentivi forniti ai produttori fotovoltaici che avevano in alcuni casi creato delle posizioni di rendita approfittando  della generosa remunerazione sul capitale investito. Ma i risparmi finanziari finora realizzati, utili a ridurre la bolletta delle piccole imprese, sono esigui rispetto alla mole dei sussidi e lo schema di incentivazione – al di là del solare – andrà rivisto per premiare le tecnologie più efficienti.

 COMMENTI

Giovanni • 2 ore fa

Quello sulle "energie verdi" o alternative è un discorso che in Italia specialmente, non si può affrontare con la necessaria serenità. Quasi sempre si trasforma in rissa ideologica con ben pochi contenuti scientifici. Fotovoltaico. E' effettivamente conveniente? E' cosi "green" come si vuole a tutti i costi considerarlo? Studiosi alquanto preparati sostengono che un pannello fotovoltaico non restituirà mai l'energia impiegata per costruirlo. Vale a dire che considerando le varie fasi della costruzione di un pannello dal vetro, al lamierino, al fondo in plastica o legno, alla circuiteria elettronica, ai chip fotovoltaici, ai connettori, all'assemblaggio finale compiuto da macchine e da operai e aggiungendo a tutto questo, dopo 18 o 20 anni di uso l'obbligatorio (per legge) smaltimento come rifiuto speciale e calcolandone quindi l'energia totale assorbita per la costruzione dell'oggetto e quella prodotta dall'oggetto stesso durante il suo uso, il risultato è nettamente deficitario. Si fa notare che fra l'altro il rendimento di un pannello FV con gli anni scende gradatanebte e che dopo 11/12 anni si sarà intorno al 60%. Si fa notare altresì che i panneli rendono maggiormente a temperature basse. Vale a dire che l'ambiente ideale per la resa di un pannello sarebbe quello con una temperatura non superiore ai 10/13 gradi ma contemporaneamente un forte irraggiamento solare. Condizioni quindi corrispondenti ad un paesaggio montano. Un po' meglio va considerata, a quanto pare la resa delle pale eoliche che però riescono ad essere produttive in presenza di venti superiori agli 80 Km e costanti per almeno 3 ore, Se questi dati fossero veri significherebbe che stiamo sprecando un sacco di denaro e che si sta ingannando la gente. Una ultima considerazione: un paio d'anni fa una circolare ONU di cui pochissimi hanno dato conto, metteva in allarme riguardo ai danni per la salute e per l'ambiente derivanti dalla fabbricazione e manipolazione dei chip di silicio dei pannelli FV.

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