Simone Weil: il dramma dell'uomo di oggi è la perdita della patria

Perduto il passato, inautentico il presente, pauroso il futuro, l'uomo vive alla giornata rinchiuso nel suo piccolo io, ha smarrito le grandi fonti dei valori: Dio, Natura, Patria, Famiglia, Scuola, Lavoro.

 di Gianfranco Morra 12.8.2017 da www.italiaoggi.it

Tempi duri e crudeli i nostri. Perduto il passato, inautentico il presente, pauroso il futuro, l'uomo vive alla giornata rinchiuso nel suo piccolo io, ha smarrito le grandi fonti dei valori: Dio, Natura, Patria, Famiglia, Scuola, Lavoro. Sente il dramma di questa mancanza e aspira ad un recupero, ma per ora per lo più in chiave intenzionale e superficiale.

Fra le cose che aspira a ritrovare è la Nazione, il luogo dove è nato (nascor) e dove riposano i suoi padri (Patria da pater): lingua, religione, costumi, tradizione. Mentre lo Stato è un organismo artificiale, la Nazione è una realtà capace di fornire identità e creare solidarietà. E un «plebiscito di tutti i giorni» (Renan), che insegna i doveri e dentro di essi difende i diritti. La Nazione, scriveva l'europeista Mazzini, «non è un territorio, è un'idea; le molte nazioni devono accordarsi con gli scopi dell'intera Umanità, ma solo rimanendo Patrie distinte».

Simone Weil lo ha capito a fondo: il vero dramma dell'uomo d'oggi non è la alienazione economica, ma la mancanza di Patria, lo «sradicamento»: la perdita della radice che lega l'uomo alla terra e alla tradizione. Il postmoderno sente il bisogno di recuperare la Nazione, contro la globalizzazione anonima e l'internazionalismo proletario: «Non la religione, ma la rivoluzione è l'oppio del popolo» (L'enraciment, 1943).

Di questo bisogno di ritrovare la Patria abbiamo prove sicure: l'uomo attuale è «glocale», è «globale» in quanto partecipa alla universalità dell'economia, del consumo e della cultura; ma è anche «locale», in quanto riscopre il «mio paese», il dialetto e il folklore. E cerca di farlo conoscere anche in settori economici come la produzione alimentare e il turismo.

Quanto sta avvenendo tra i cittadini europei, subito degradato a «populismo» e «razzismo», è in realtà la reazione a una Europa che ha affogato le nazioni nella melassa infetta di politica, burocrazia e tecnocrazia. Non vogliono nessun nazionalismo, meno ancora guerra, ma solo il recupero della identità e della autonomia delle singole nazioni, che sono anteriori e reali rispetto al monstrum fictum chiamato Unione europea, dove il più delle volte non c'è né unione, né Europa.

Usano anche il termine «sovranismo» per rivendicare alle nazioni il primato decisionale rispetto a quegli organismi sovrannazionali, che finiscono per distruggerne l'autonomia e la continuità storica. Due grandissimi uomini di Stato l'avevano capito assai bene: Churchill: «Unione, ma di tante personalità nazionali»; e De Gaulle: «Europa, ma solo delle patrie».

In forme non di rado rozze e confuse, la nostalgia della Nazione è viva in ogni paese europeo, dove ha prodotto nuovi movimenti e partiti. L'uomo, tanti lo hanno detto dagli stoici all'Illuminismo, è anche cittadino del mondo. Ma prima ancora è figlio della sua terra. L'Unione europea deve essere una convivenza tra le nazioni, non la cancellazione delle loro sovranità.

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