La pornografia della rettitudine

E’ in corso una lotta contro la libertà in cui basta dichiararsi offesi per ottenere l’accerchiamento pubblico di qualcuno. La grande eccitazione è data dal proibire, punire ed eliminare parole, pensieri, opere e persone in nome della correttezza suprema

di Annalena Benini 110.7.2020 ilfoglio.it  lettura 2'

In questa ubriacatura di indignazione di tipo adolescenziale priva di pensiero critico, in cui si mette in mostra la propria virtù accusando altri di essere (o essere stati almeno una volta, e quindi per sempre) razzisti, sessisti, omofobi, colonialisti, maschilisti, suprematisti, irrispettosi e abietti, e dunque meritevoli di cancellazione, l’intimidazione in atto non ha nessun interesse per la verità.

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Chi lancia pietre contro J.K. Rowling che perseguita i transgender, contro Woody Allen che è stato trasformato in un mostro, contro Spike Lee che ha difeso Woody Allen, contro Salman Rushdie che ha firmato la lettera degli intellettuali liberali insieme a J.K.Rowling che è indegna, contro Quentin Tarantino che ha messo troppa violenza sulle donne nei suoi film, contro Abramo Lincoln che era un razzista, è interessato solo alla squalifica di colui a cui si rivolge, e alla punizione con la lista nera della cancel culture. Puntare il dito contro qualcuno fa sentire migliore l’accusatore, il quale è anche impaziente di mostrare il proprio lato più corretto, per mettersi al riparo da qualunque sospetto di indegnità. Ma è così evidente come tutti si sentano in pericolo.

E’ la “pornografia della rettitudine” (serissima definizione della comica statunitense Sarah Silverman): spaventoso fenomeno in cui l’eccitazione è data dal denunciare e dallo svergognare (prima di ottenerne la cancellazione) chi sembri aver violato questo tipo di integrità autoritaria con i pensieri, le opere d’arte, le parole. “La questione sta tutta qui. Quali parole usare”, scriveva Amos Oz, e la pornografia della rettitudine è sempre più entusiasta di appiattire, impoverire, proibire, punire, eliminare parole, pensieri, opere d’arte e persone in nome della perfetta uguaglianza e della correttezza suprema.

“Rifiutiamo qualsiasi falsa scelta tra giustizia e libertà, che non possono esistere l’una senza l’altra”, hanno scritto Salman Rushdie, Martin Amis, Margaret Atwood, Gloria Steinem e tanti altri, con coraggio. In questa vera lotta contro la libertà, basta dichiararsi offesi e a disagio per ottenere l’accerchiamento pubblico di qualcuno. Chi ha paura, chiede subito scusa, pubblicamente, per non aver saputo scegliere immediatamente la parte giusta (anche se la pornografia della rettitudine, non essendo interessata alla sostanza del discorso, non è mai abbastanza soddisfatta nemmeno delle scuse: il trionfo è dato dall’epurazione). Chi ha molta paura, rinuncia a dire ciò che pensa. Rinuncia a scriverlo, a metterlo in un film, in un libro, in un’opera, in un personaggio di fantasia. Dopo un po’, rinuncia a dirlo a se stesso. Quando tutto questo finirà, perché di certo finirà, molti avranno rinunciato anche a pensare, senza nemmeno accorgersene.

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