Non solo Biancaneve. La lunga storia di accuse a Walt Disney, dall'antisemitismo al razzismo

Con 26 Premi Oscar su 59 candidature Disney non è solo la personalità più premiata della storia del cinema, ma probabilmente anche la più discussa

Adalgisa Marrocco5-5-2021 huffpost.it lettura4’

Razzista, antisemita, suprematista bianco, sessista, ora finanche (postumamente) “reo” di aver promosso l’immagine di un bacio non consensuale. Con 26 Premi Oscar su 59 candidature Walt Disney non è solo la personalità più premiata della storia del cinema, ma probabilmente anche la più discussa e bersagliata dagli alfieri del politically correct.

In principio furono I tre porcellini. Nel 1933 il cartone animato, il cui successo consentì a Disney di realizzare Biancaneve e i sette nani, costituì un vero e proprio caso cinematografico. In origine il Lupo, nella scena in cui si traveste da venditore di spazzole, indossava una maschera da mercante ebreo. Dopo l’uscita la scena fu modificata, ma era tardi: le accuse di antisemitismo verso Disney erano già montate.

Non aiutarono nel 1938, proprio all’indomani della terribile Notte dei Cristalli, le voci secondo le quali il cineasta avesse ricevuto nei suoi Studios Leni Riefenstahl, regista tedesca che firmò diversi film di propaganda nazista. Neal Gabler, critico cinematografico e primo biografo ad aver avuto completo accesso agli archivi Disney, cita questo episodio nel suo libro Walt Disney: the Triumph of the American Immagination affermando che il regista e produttore “era una persona molto tollerante nel privato. Il fatto che questa tolleranza fosse estesa alla vita lavorativa è argomento di discussione, ma gli ebrei che hanno lavorato con lui hanno sempre trovato difficile credere che fosse antisemita”.

In un’intervista rilasciata nel 2006 alla CBS, Gabler tornò sull’argomento: “Walt Disney antisemita? Si fece questa nomea perché, negli anni ’40, si lasciò coinvolgere da un gruppo chiamato Motion Picture Alliance for the Preservation of American Ideals (Alleanza Cinematografica per la Preservazione degli Ideali Americani), organizzazione antisemita e anticomunista. Sebbene Walt di per sé, a mio parere, non fosse un antisemita, diventò alleato di persone che lo erano”. Disney si allontanò dalla Motion Picture Alliance negli anni Cinquanta ma, sottolinea Gabler, “quella reputazione gli rimase appiccicata. Non fu mai in grado di liberarsene”.

 

E se si parla di razzismo disneyano, una delle immagini che vengono subito in mente è quella dei corvi di Dumbo che, neri e dal grottesco accento, sono stati identificati come caricature dei lavoratori delle piantagioni. Essi cantano, fra l’altro, “lavoriamo come schiavi” e il loro capofila è chiamato Jim Crow, come le omonime leggi che crearono e mantennero la segregazione razziale negli Usa.

Si narra inoltre che, a proposito di Biancaneve, la scena in cui i nani si mettono uno sopra l’altro fu bollata da Disney durante una riunione privata con l’espressione “una pila di ne**i”. Per non parlare de I racconti dello zio Tom (Song of the South, 1946): il film (recentemente bandito anche dalla piattaforma Disney+) è stato definito da Bob Iger, attuale presidente esecutivo della Walt Disney Company, un esempio di “razzismo imbarazzante”. Lo stesso Walt Disney, all’uscita del film, si trovò a rispondere alle accuse di revisionismo mosse dai comitati civili antisegregazionisti.

“Walt Disney non era un razzista”, sostiene da sempre il biografo Gabler, “né pubblicamente o privatamente ha mai fatto osservazioni denigratorie sui neri o affermato una qualsivoglia superiorità bianca. Come molti bianchi americani della sua generazione, tuttavia, non era sensibile sulle tematiche razziali”.

Eppure la lista degli addebiti continua. Mary Poppins? Razzista anche lei, almeno stando all’opinione dell’accademico Daniel Pollack-Pelzner. Nel 2019, dalle pagine del New York Times, il professore condannò la scena del celeberrimo film in cui Julie Andrews balla sui tetti con lo spazzacamino Dick Van Dyke. Secondo Pollack-Pelzner, il volto di Andrews ricoperto di fuliggine ricordava il blackface, cioè un trucco teatrale particolare usato in passato dai caucasici per ritrarre attraverso stereotipi gli afroamericani. Ancora in epoca recentissima, Disney+ ha deciso di proibire ai minori di sette anni alcuni dei suoi classici - tra cui il suddetto Dumbo, Gli Aristogatti, Peter Pan e Robinson nell’isola dei corsari - per contenuti discriminatori.

Arriviamo, infine, al capitolo sessismo. “Visti oggi, i tre grandi classici del filone delle principesse Disney – usciti nel 1937, 1950 e 1959 – possono sembrare terribilmente retrogradi. Perché i personaggi sono ossessionati dall’aspetto di Biancaneve? Come mai Cenerentola non ha nessun hobby o talento? E perché la bella addormentata non fa niente se non pungersi e aspettare di essere salvata?”, si legge in un articolo del 2016 apparso sul Washington Post a firma di Jeff Guo.

Guo prosegue citando le linguiste Carmen Fought e Caren Eisenhauer, autrici di un’analisi di tutti i dialoghi del filone Disney sulle principesse, sottolineando che “il punto non è solamente come sono rappresentate le principesse. È anche necessario prendere in considerazione i mondi che le principesse abitano, chi li comanda, chi detiene il potere e, infine, chi parla. In molti casi, le principesse sono superate dagli uomini nei loro stessi film, in termini di battute”.

A riaprire il dibattito sul cineasta, scomparso nel 1966, giunge in questi giorni il San Francisco Gate. Il quotidiano californiano ha pubblicato un articolo che trae spunto dall’ultima novità arrivata in casa Disneyland e, in particolare, nel californiano parco di Anaheim, che ha appena riaperto i battenti dopo un lunghissimo lockdown. La nuova attrazione legata alla favola di Biancaneve, Snow White’s Enchanted Wish, ha debuttato tra effetti speciali, emozioni, luci e suoni. Ma c’è un “ma”, rappresentato dal bacio con cui il Principe Azzurro sveglia Biancaneve dall’incantesimo della regina malvagia. “Il bacio del vero amore”, si legge nell’articolo, viene dato “senza il consenso di Biancaneve, mentre dorme” e “non si può parlare di vero amore se qualcuno non sa cosa sta succedendo. Non abbiamo già stabilito che il consenso è un tema rilevante nei primi film Disney? Che insegnare ai bambini che non va bene il bacio se entrambe le persone non sono d’accordo?”.

Per le autrici dell’articolo ”è difficile capire per quale motivo Disneyland nel 2021 abbia scelto di aggiungere una scena con un’idea così antiquata di ciò che un uomo può fare ad una donna”. Si potrebbe, scrivono, pensare ad un finale alternativo. Quello attuale è “una favola a lieto fine ma non una lezione di vita”.

E intanto, a quasi cinquantacinque anni dalla sua morte, le polemiche su Walt Disney non conoscono titoli di coda.

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