La dittatura della patente. E su Draghi, più Tronti meno Montanari

giovane invitava i giovani ad ascoltare Mahler e a leggere Musil.

al direttore Claudio Cerasa 27.7.2021 ilfoglio.it

Al direttore - C’era pure pronto il libro alla festa di Articolo Uno, “Come abbiamo sconfitto Draghi”.

Giuseppe De Filippi

Al direttore - Sul green pass la Confindustria ha ragione. Il contagio in occasione di lavoro (e quindi anche in itinere) è considerato infortunio e regolato da norme (articolo 2087 c. c.) che impongono al datore l’adozione di tutte le innovazioni della scienza e della tecnologia (anche se non sono state ancora recepite dalla legge), per garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori. Tanto che il datore risponde dell’infortunio anche nei casi di rischio fortuito, forza maggiore, colpa non grave del lavoratore. La scoperta dei vaccini e la loro possibilità di impiego sono sicuramente riconducibili a quelle innovazioni a cui il datore deve attenersi. Nei confronti dei dipendenti che non si vaccinano (il contagio costituisce infortunio anche se contratto sui mezzi di trasporto da casa al lavoro e viceversa) l’imprenditore si troverebbe a dover rispondere, penalmente e civilmente, dei danni gravi che i renitenti potrebbero subire o trasmettere a loro colleghi (si sono registrati 147 mila infortuni da Covid-19 e 500 decessi). Si pensi che, fin dall’inizio della pandemia, a quanti, ai controlli effettuati all’ingresso dello stabilimento, avevano più di 37,5 gradi di febbre, non è stato consentito di entrare. La stessa cosa capita a qualunque cittadino ove sia previsto il controllo della temperatura. Il green pass potrebbe poi essere un avvio della soluzione del problema dei trasporti. Da tempo, chi vuole entrare nelle principali stazioni dell’Alta velocità è tenuto a mostrare, dallo smartphone o in forma cartacea, il possesso del biglietto. Sui bus del trasporto urbano vi è un lettore ottico dell’abbonamento che funziona anche se il tesserino è chiuso in un portafoglio o in una borsa. Sono tutte procedure – ormai abituali, per centinaia di migliaia di persone di tutte le età – che potrebbero essere estese, in breve, anche alla verifica del green pass.

Giuliano Cazzola

Nessuno ti obbliga a prendere la patente. Ma se non hai la patente non puoi guidare. Immagino che per molti di voi questa sia una dittatura” (sintesi geniale sul tema green pass, copyright Angelo Santoro, su Twitter)."

Al direttore - Auguri a Mario Tronti per il suo novantesimo compleanno. Auguri al teorico dell’operaismo, che da giovane invitava i giovani ad ascoltare Mahler e a leggere Musil. Auguri all’intellettuale dissacrante e innovativo, vicino a ogni posizione critica del marxismo dogmatico. Auguri allo studioso del pensiero politico moderno, che ha occupato quasi un trentennio del suo insegnamento universitario. Le sue eresie, è vero, non sempre hanno pagato. Il tentativo di introdurre Carl Schmitt nel discorso della sinistra italiana è durato lo spazio di un mattino. Né, più in generale, l’idea di un uso rivoluzionario della grande cultura borghese ha avuto migliore fortuna. Tuttavia, Tronti resta una inesauribile miniera di riflessioni mai banali sulla crisi delle democrazie liberaldemocratiche in un’epoca in cui tutto è rimesso in discussione: equilibri planetari, sovranità statali, blocchi sociali, modelli di sviluppo, modi di formazione della coscienza individuale e collettiva. Egli ha scritto di sé, e di quello che considerava il suo tempo, il Novecento: “Noi, nostalgici abitanti del secolo”. E ha consigliato, al suo mondo di appartenenza, di coltivare la dimensione della memoria, invece di abbandonarsi a una subalterna demonizzazione del passato: “Si poteva non fare quello che è stato fatto. Ma si poteva anche fare quello che non è stato fatto”. Credo che abbia ragione, ma senza fare torto alla sua costante e premurosa attenzione per il presente, in cui continua ad avere i piedi ben piantati. Infatti, Tronti è uno dei più acuti osservatori della realtà nazionale. Lo dimostrano i suoi ultimi interventi pubblici. Nulla a che spartire con quelli che “il governo attuale è il più oligarchico e antipopolare dell’Italia repubblicana” (copyright di Tomaso Montanari), o è “il governo dei padroni, dei banchieri e del privilegio” (copyright di Marco Revelli). Tronti, al contrario, in più di una circostanza ha affermato di sentirsi rassicurato nel vedere in buone mani le ingenti risorse messe oggi a nostra disposizione dall’Ue. Le buone mani sono ovviamente quelle di Draghi, e non quelle “del Conte uno, bis e, per nostra fortuna, non ter” (Il Riformista, 12 maggio scorso). L’obiettivo prevalente adesso deve essere quello “della ripresa economica e sociale del paese nel dopoguerra pandemico. E quello di incardinare le famose riforme, non solo perché ce lo chiede l’Europa ma perché sono necessarie all’Italia e all’Italia che lavora. Dopo, si potrà tornare in sicurezza alla normale dialettica politica tra sinistra e destra. Ho sempre apprezzato di più la figura del conservatore illuminato che quella del riformista confuso. Meglio avere un avversario forte che cercare un alleato debole. Questo ti spinge in basso, quello ti porta a salire di livello nella tua azione, ti fa prendere coscienza delle tue insufficienze, ti costringe a coltivare nuove idee e ad approntare gruppi dirigenti all’altezza per realizzarle” (ibidem). Grazie per queste sue parole sagge e intelligenti, prof. Tronti. Lei è di un’altra categoria.

Michele Magno

A proposito di Montanari Tomaso. Notevole ieri una scambio di tweet tra Montanari (storico dell’arte, attivista) e Bonaccini (governatore dell’Emilia-Romagna, Pd). Montanari scrive: “Anche solo la voce di Wikipedia autorizza a definire Draghi un figlio di papà (socialmente): ‘Mario Draghi frequenta il liceo classico dell’Istituto Massimo di Roma retto dai gesuiti. Mario ha per compagni di classe Luigi Abete, Luca Cordero di Montezemolo’”. Risposta di Bonaccini: “Scusi e quindi? Io sono figlio di un camionista e di una operaia. Verrò giudicato in base a come amministro la regione Emilia-Romagna o per la famiglia in cui sono cresciuto (e della quale vado orgoglioso)? Roba da matti”. Replica di Montanari: “Le sfugge (come alla dirigenza del suo partito) che esiste un conflitto di classe, dall’alto contro il basso. Che i ricchi non vogliono le stesse cose dei poveri. E che questo governo oligarchico è espressione dei ricchi. La visione di Draghi è frutto della sua biografia”. Montanari ha ovviamente il diritto di criticare Draghi e ha ovviamente anche il diritto di accusarlo di essere un figlio di papà (e ha ragione a sostenere che dire figlio di papà è un modo come un altro per identificare con disprezzo la provenienza di una persona da un contesto sociale privilegiato). Quel che risulta curioso credere è che a sinistra esista ancora qualcuno convinto che (a) per combattere la povertà sia necessario combattere anche la ricchezza, che (b) un Parlamento che vota all’80 per cento la fiducia a un presidente del Consiglio sia un Parlamento che esprime una visione oligarchica del mondo e che (c) una torta per essere redistribuita non abbia bisogno di qualcuno che si preoccupa di crearla. Più Tronti, meno Montanari.

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