Un errore rimuovere il fascismo dalla storia. Giudizio di Walter Veltroni

"Il fascismo non è stato un semplice incidente della storia, un regime autoritario che governava contro il popolo. Il fascismo ha goduto di un ampio, diffuso, radicato consenso nel Paese"

30 Agosto 2021 Andrea Cangini ilgiornale.it lettura2’

«Il fascismo non è stato un semplice incidente della storia, un regime autoritario che governava contro il popolo. Il fascismo ha goduto di un ampio, diffuso, radicato consenso nel Paese. Rimuoverlo e cancellare l'analisi veritiera e onesta della sua natura ha reso fragili le basi della nostra democrazia». Uno storico revisionista? Un politico postfascista? No, a mettere nero su bianco questo giudizio è stato un uomo politico notoriamente di sinistra ed inequivocabilmente antifascista: Walter Veltroni. Analisi corretta, il resto ne consegue.

Aver rimosso dalla storia nazionale il ventennio fascista e aver impiegato quasi mezzo secolo per riconoscere, con lo storico Claudio Pavone, che tra il 43 e il 45 l'Italia fu dilaniata da una vera e propria «guerra civile» ha impedito allo spirito della Nazione di metabolizzare il trauma subìto e al corpo di cicatrizzarne le ferite. Non c'è, dunque, da stupirsi se nel pieno della peggior crisi sanitaria, economica e geopolitica del dopoguerra il dibattito pubblico italiano si sia incagliato sulle parole di un viceministro accusato di mussolinismo, sul giudizio di uno storico dell'arte riguardo le foibe, sulla carnevalata di un dirigente politico in divisa del Terzo Reich. È quel che accade quando non si fanno i conti con la Storia. Con la propria storia nazionale e con la dimensione tragica della Storia universale. Il primo è un problema tipicamente italiano, il secondo riguarda un po' tutte le democrazia occidentali. Anche e soprattutto gli Stati Uniti, patria non a caso della «cancel culture», da Obama in poi emblematicamente impegnati a ritirarsi dal mondo (e perciò dalla Storia). Il motivo è chiaro. È chiaro sin dai tempi del precipitoso disimpegno dalla Somalia che la principale potenza globale non ha più la forza morale e la tenuta sociale per sopportare la morte di propri soldati in guerra. Come se la guerra per uno Stato e la morte in guerra per un militare non fossero più eventualità possibili. Ne consegue che, come ha ricordato con amara rassegnazione Ernesto Galli della Loggia sul Corriere di sabato, gli americani hanno appaltato a società private di contractor attività belliche da sempre in capo agli eserciti nazionali. E persino peggio ha fatto l'Italia ribattezzando «pace» la guerra. Ipocrisie che rendono insostenibile, perché ufficialmente privo di senso, qualsiasi sacrificio collettivo.

Rimuovere i traumi nazionali, tacere la dimensione tragica della Storia, sostituire le «analisi veritiere» con rappresentazioni di comodo: sono questi i tre errori capitali che impediscono alla società Italiana di maturare e ad un Occidente tornato bambino di arrestare la propria, innegabile, decadenza.

Solo gli utenti registrati possono commentare gli articoli

Per accedere all'area riservata