Mostra nVenezia. L'ultimo film di Clint Eastwood: poca azione, molto piacere

“Cry Macho” (ma è solo un gallo). Attore, regista, produttore, compositore per le musiche aggiunte: ancora controvento il novantenne Clint

MARIAROSA MANCUSO 17.9. 2021 ilfoglio.it lettura3’

La Mostra del cinema di Venezia è stata un successo

Solo Clint Eastwood poteva mettere la parola con la “M” nel titolo di un film. In controtendenza con qualsiasi cosa, come ha fatto sempre nella vita. Il copione di “Cry Macho” circola da così tanto tempo a Hollywood che fu offerto perfino a Robert Mitchum. A 58 anni Clint pensava di essere troppo giovane per il ruolo. Ora ne ha 91, e ha deciso che poteva provarci: attore, regista, produttore, compositore per le musiche aggiunte.

Siccome le polemiche scoppiano a prescindere dal film – ormai di cinema a cena e in tv parla solo chi non entra in una sala da anni, quindi non resta influenzato da stupidi dettagli – precisiamo che Macho è un gallo da combattimento. Appartiene al tredicenne Rafa, che vive in Messico con la madre. Il padre texano rivuole con sé il ragazzino. Siccome Clint, che lavorava per lui nei rodei, gli deve un favore, il nostro eroe parte in missione verso il Messico. Obblighi familiari non ne ha più, non lavora da che un incidente gli ha rovinato la schiena.

“Il buono il brutto e il gallinaceo”: così il New York Times titola la recensione di A. A. Scott, uno dei critici ancora innamorati di Clint qualsiasi cosa faccia. Su Deadline Pete Hammond certifica “puro piacere”. Altri storcono il naso: non c’è abbastanza azione. D’accordo, dalle esasperanti lentezze di Sergio Leone i tempi e i ritmi sono cambiati, il cinema va più veloce. Ma volete concedere a un novantenne qualche momento per riprendere fiato, mentre sgomina i cattivi e sfugge alla polizia che vorrebbe riportare il figliolo rapito alla madre messicana? (salta e corre molto più di voi in palestra).

Qualcuno con un po’ di memoria storica ricorderà la noia patita con gli spaghetti western: si potevano contare i fili di lana del poncho, e magari provare a farne uno uguale. Mentre Clint Eastwood nelle pause sul set studiava e imparava il mestiere, la critica tutta sosteneva che l’attore avesse due espressioni: con il cappello e senza cappello. Senza cappello, e con un taglio di capelli ridicolo anche per gli anni 70. diventò “quel fascistone dell’ispettore Callaghan”, diretto da Don Siegel (altro regista considerato di destra, la violenza coreografica diventerà “patrimonio della sinistra” molti anni dopo – grazie a Mattia Feltri per aver fornito il quadro concettuale). “Dirty Harry” indagava sul caso Scorpio, lo stesso maniaco che a San Francisco tra i 60 e i 70 uccideva le ragazze (e terrorizzava i ragazzini come David Fincher, che sullo stesso caso girò “Zodiac”).

Più di recente, con “Richard Jewell” (cronaca di un clamoroso errore giudiziario, l’agente che trovò la bomba alle Olimpiadi di Atlanta fu accusato di averla fabbricata e piazzata lui) Clint Eastwood fu accusato di ledere l’onore delle giornaliste tutte. Colpevoli di offrire sesso per aver notizie dalla procura – in Italia le carte vengono passate direttamente, non serve la corruzione. Urla e strepiti: ma quanti giornalisti corrotti e corruttori si trovano nella storia del cinema, perché non potrebbe farlo anche una donna? (troppo stupida per pensarci? non è discriminazione?).

Il nostro eroe novantenne ne ha passate tante, l’accusa di girare un film con un minorenne che guarda a un gallo come figura paterna nonché esempio di maschilità potrebbe essere l’ultima (solo perché neanche lui è eterno). Però, se volete vedere qualcosa per spettatori adulti, c’è il suo primo film: “Play Misty for me” (“Brivido nella notte”). Tema: la femminilità tossica. Convinta che un certo brano le sia dedicato, dopo una sveltina con il D. J. la stalker crede che sia amore. Non sente ragioni, lo assilla, lo segue munita di coltello. Meno male che la casa sta in alto sulla scogliera.

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