CECILIA ROBUSTELLI “LA CRUSCA” FA A PEZZI LE DISCUSSIONI SULLO “SCHWA” E LA MODA DEL GENERE NEUTRO

“SE SI ELIMINANO LE DESINENZE SCOMPAIONO I COLLEGAMENTI MORFOLOGICI E IL TESTO DIVENTA UN MUCCHIETTO DI PAROLE DELLE QUALI NON SI CAPISCE PIÙ LA RELAZIONE.

2.12.2021 dagospia.com lettura4'

IL GENERE GRAMMATICALE VIENE ASSEGNATO AI TERMINI IN BASE AL SESSO. LA PERCEZIONE SOCIALE DI CIÒ CHE COMPORTA L'APPARTENENZA SESSUALE RAPPRESENTA UN PASSAGGIO SUCCESSIVO…”

Giordano Tedoldi per "Libero quotidiano" «Grande è la confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente». Se aveva ragione Mao, sotto il cielo della grammatica italiana la situazione è più che eccellente, è sublime. Tutto merito della discussione sullo "schwa", discussione che pare sia approdata al massimo dello sforzo dialettico: un gran casino. Nuovi contributi sulla questione arrivano con regolarità preoccupante, anzi, eccellente: ultimo quello dell'insigne Cecilia Robustelli, ordinaria di linguistica italiana all'università di Modena e Reggio Emilia. La professoressa Robustelli è da anni collaboratrice dell'Accademia della Crusca: la Cassazione, per così dire, della lingua italiana.

Ed è anche in disaccordo sull'adozione dello "schwa" (e, lo dichiariamo subito, anche noi). Vediamo l'argomento di Robustelli: «L'italiano si può rendere più inclusivo, ma le proposte per farlo devono rispettare le regole del sistema lingua, altrimenti la comunicazione non si realizza, e la lingua non funziona». E ancora: «La funzione primaria del genere grammaticale in un testo è permettere di riconoscere tutto ciò che riferisce al referente, cioè all'essere cui ci riferiamo, attraverso l'accordo grammaticale. Se si eliminano le desinenze scompaiono tutti i collegamenti morfologici, e il testo diventa un mucchietto di parole delle quali non si capisce più la relazione».

IL GENERE Dunque, lo schwa, nella sua aspirazione di essere inclusivo, è piuttosto, secondo Robustelli, amorfo: invece di arricchire il significato, lo impoverisce. Non sta alla grammatica caricarsi di pesi impropri: «Il genere grammaticale viene assegnato ai termini che si riferiscono agli esseri umani in base al sesso. Il genere "socioculturale", cioè la costruzione, la percezione sociale di ciò che comporta l'appartenenza sessuale, rappresenta un passaggio successivo».

Al contrario, rileva la linguista, si ha la sensazione che «il termine "genere" venga spesso usato con il significato di "sesso" e questa confusione complica il ragionamento, già di per sé complesso».

Dunque occorre distinguere tra il genere grammaticale e il genere in senso, direbbe Robustelli, "socioculturale". Questo secondo non può essere espresso da una mera desinenza, la quale, peraltro, per necessità morfologica e strutturale (e noi aggiungeremmo anche estetica), non può essere sostituita da un simbolo, come, in passato, si tentò di fare, fallendo, con l'asterisco, né con soluzioni foneticamente confusionarie o innaturali, come quando si provò a introdurre la desinenza in "-u."

Ma queste sono nostre opinabili considerazioni, torniamo alla professoressa Robustelli, la quale afferma che con l'introduzione dello schwa «si eliminano gli accordi tra le parole e si mina l'intera coesione testuale: e questo è un fatto grave». Perché, citando Elias Canetti, la lingua è fatta per l'uomo- si intenda: la specie umana -, e non l'uomo per la lingua (altra nostra chiosa), e dunque, e qui è Robustelli a parlare: «quando si cambia qualcosa in una lingua ci si deve innanzitutto chiedere se quel cambiamento funziona per assolvere allo scopo che un sistema linguistico deve compiere, cioè la comunicazione».

E ancora: «spesso le proposte ingenue sono animate da buone intenzioni ma irrealizzabili nella realtà della lingua italiana. Piuttosto di affidare alla grammatica il compito irrealizzabile di comunicare nuovi generi o la decisione di non accettarli, perché non intensificare la discussione sul loro significato e approfondire le ragioni che ne motivano la richiesta di riconoscimento sociale? È il discorso il luogo adatto a questo scopo, non la grammatica»

Per quanto ci riguarda, qui scattano i fantozziani 92 minuti di applausi. Brava Robustelli! Ma la professoressa ha ancora qualcosa da aggiungere sul fatto che lo schwa in realtà depotenzia l'indicazione del genere, e in particolare quello femminile, mentre è «fondamentale nella lingua italiana nominare donne e uomini con termini maschili e femminili e usare al femminile anche i termini che indicano ruoli istituzionali e professionali di genere femminile se sono riferiti a donne».

E questa «non è soltanto una posizione femminista: è una posizione da linguista, perché se non si attribuisce alle donne il titolo femminile, si trasgredisce ai principi di accordo e assegnazione di genere che invece permettono di riconoscere, disambiguare e anche valorizzare le donne, dando inoltre un'immagine della realtà conforme a quella che è ora, non 50 anni fa». Tutto ciò la professoressa Robustelli lo ha dichiarato alla "agenzia DIRE": e non vediamo dove avrebbe potuto dire meglio.

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