Livellamento e condiscendenza, così si distrugge il senso dell'educare

Le diseguaglianze cognitive sono ferite per la società aperta. Occorre invertire la rotta e non considerare “un attentato alla ‘libertà di scelta'” qualsiasi tentativo di avvicinare qualcuno a un determinato orizzonte di valori

SERGIO BELARDINELLI 08 GEN 2022 lett2’

Il miglior libro per capire il nazionalismo di oggi è stato scritto nel 1960

Essendo l’uomo un animale culturale, ne consegue che quando si parla di scuola, di educazione o di formazione venga sempre presupposta una determinata tradizione, e quindi il riconoscimento di determinati valori: la conoscenza, l’impegno, la curiosità, la tolleranza, il rispetto, tanto per citarne alcuni. Ciò significa, tra le altre cose, che il compito degli educatori è in primo luogo quello di aiutare le generazioni più giovani a comprendere, ad accettare e ad appropriarsi di tali valori in uno spirito che ovviamente sappia anche migliorarli e, se necessario, metterli addirittura da parte. Questo almeno è quanto dovrebbe accadere in una società aperta. A differenza delle società chiuse, dove educare equivale a una sorta di automatismo tale per cui chi viene dopo non ha altra scelta che seguire in tutto e per tutto le orme di chi l’ha preceduto, le società aperte sono contrassegnate da una pluralità di opzioni non soltanto sul piano politico, ma anche su altri piani, da quello estetico a quello etico e religioso. Di qui la tendenza a misurarsi continuamente con la propria tradizione, ad avere con essa un rapporto, diciamo così, critico, che rende i processi educativi più difficili, meno scontati, ma proprio per questo molto più importanti, al fine di evitare, certo, che la tradizione diventi opprimente ma anche che la critica diventi in qualche modo vandalica, che cioè si trasformi in un semplice processo di negazione o di emancipazione dalla tradizione stessa. Invece dobbiamo purtroppo constatare che, salvo rare eccezioni, la scuola sembra aver abdicato a questa sua funzione critica e formativa.

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