IL DOCUMENTARIO DI SACHA JENKINS, “LOUIS ARMSTRONG’S BLACK & BLUE”, DEDICATO ALLA VITA DEL TROMBETTISTA PIÙ FAMOSO DEL MONDO È DA VEDERE E RIVEDERE

- IL REGISTA SI MUOVE BENISSIMO TRA LA RICOSTRUZIONE DELLA SUA CARRIERA DI MUSICISTA, QUELLA DI VIAGGIATORE E L’ARMSTRONG AL CENTRO DELLA POLEMICA SUL PERSONAGGIO

18.10.2022 dagospia.com lettura3’

DA "ZIO TOM" (UN NERO AMMAESTRATO DAI BIANCHI). STREPITOSA LA PARTE SULLA MARIJUANA, CHE ARMSTRONG USAVA COME MEDICINA E CALMANTE… - VIDEO

Marco Giusti per Dagospia “A quei tempi la polizia prima ti pestava, poi ti chiedeva chi sei”, racconta Louis Armstrong a Orson Welles che lo sta intervistando in tv. “E oggi pensi che sia tanto diverso?”, gli risponde ironico Welles. E’ solo una della tante gemme racchiuse in questo stupendo documentario di Sacha Jenkins dedicato alla vita del trombettista più famoso del mondo, “Louis Armstrong’s Black & Blue”, passato alla Festa del Cinema di Roma ma in arriva su Apple tv dal 28 ottobre.

Del resto è questo un Festival che ha la caratteristica che ritroviamo tutto o quasi dopo pochi giorni in streaming o in sala. Meglio così. Perché il documentario sulla vita di Satchmo è da vedere e rivedere più volte. Sia per ascoltare la musica sia per ascoltare quello che Armstrong dice. Fissato per la raccolta di articoli e testi che lo riguardavano, Armstrong aveva ritagliato chilometri di giornali riempiendo album su album. Per non parlare di lettere, sue e di fan. Ma nel suo studio, con una serie di registratori, aveva inciso su nastro osservazioni sulla sua vita e i suoi lavori. Meticolosamente.

 

Senza contare le sue quattro autobiografie che in momenti diversi della sua vita aveva scritto lui stesso alla macchina da scrivere. Al punto che con tutto questo ben di Dio, Sacha Jenkins è riuscito a ricostruire un paio d’ore ricchissime su tutto quello che Armstrong aveva attraversato nel secolo scorso, partendo dal quartiere più povero di New Orleans. Genio musicale indiscusso, pioniere della primissima ora nel farsi largo in un mondo popolato da bianchi, è stato il primo afro-americano a avere il suo nome scritto prima del titolo di testa di un film, Armstrong è stato anche un personaggio controverso per la cultura rivoluzionaria nera a cavallo tra gli anni ’50 e ’60.

Col suo faccione sorridente, gli occhi strabuzzanti, i denti a tastiera di pianoforte, è stato spesso visto come uno “zio Tom”, un nero ammaestrato dai bianchi, per certi intellettuali neri del tempo. In un momento in cui c’era bisogno di esporsi in prima persona e non potevano essere accettati comportamenti ambigui. Eppure, e questo il documentario di Sacha Jenkins lo spiega bene, è proprio la figura così complessa, popolare, succube di Armstrong, a rappresentare tutta la sofferenza del popolo nero.

Perfino il suo modo di suonare alla tromba l’inno americano, “The Star-Spangled Banner”, che anticipa la versione suonata con la chitarra elettrica da Jimi Hendrix, racchiude dentro di sé tutta la sofferenza e l’orgoglio di quello che avevano vissuto e patito milioni di cittadini afro-americani. E se il suo comportamento ufficiale in tv o negli show è quello del personaggio popolare che deve piacere a tutti, a cominciare dai bianchi del sud, i suoi discorsi “seri” sull’America sono estremamente pesanti e duri contro il governo e, ad esempio, il presidente Eisnhower.

Armstrong è incapace di fare sconti, di non dire quello che pensa. E lo dice in giro per il mondo, dall’Egitto alla Russia, dalla Germania all’Italia, dove verrà almeno tre volte, l’ultima per cantare a Sanremo (ma nel film non si vede), mentre si vede lui con Papa Paolo VI (“Avete figli?, chiede il papa a lui a sua moglie Lucille. “No, ma ci diamo dentro”, risponde) e le foto di quando venne nel 1959 per uno show della Rai e cantò addirittura con Claudio Villa. Promosso a ambasciatore del jazz, Armstrong prese seriamente il suo ruolo, mostrandosi fantasista e showman prima che grande musicista, ma come viene ben spiegato nel film da una serie di star del jazz, era quasi impossibile suonare la tromba come lui (chiudere in Do…).

Devo dire che Sacha Jenkins si muove benissimo tra la ricostruzione della sua carriera di musicista, quella di viaggiatore e l’Armstrong al centro della polemica sul personaggio da Zio Tom. Cosa che gli dava moltissima noia e che proprio non capiva. Ossie Davis, grande attore nero degli anni ’60 e ’70, ricorda che capì quanto Armstrong rappresentasse per tutti i neri la tristezza di secoli di torture e di sofferenze. Strepitosa anche la parte sulla marijuana, che Armstrong usava come medicina e calmante e che si portava sempre con sé in tour. Ne riparliamo. Dal 28 ottobre su Apple tv.

Solo gli utenti registrati possono commentare gli articoli

Per accedere all'area riservata