Le difficoltà di definizione, cos’è il populismo?

Dalla Brexit e Trump, alle elezioni in Spagna e Austria, passando per il cambiamento del sistema politico italiano

Alberto La Malfa 6.10.2023 ilriformista.it lettura2’

I partiti populisti prosperano in tutta Europa. Con poche eccezioni, i sistemi politici hanno visto tali formazioni realizzare significativi guadagni elettorali e plasmare il discorso politico nazionale in tutto il continente. Dalla Brexit e la presidenza di Donald Trump, alle elezioni in Spagna e Austria, al cambiamento radicale del sistema politico italiano, fino alle elezioni di Rodrigo Duterte nelle Filippine. I titoli internazionali indicano un fattore comune: il populismo.

Per come è usato oggi, nella polemica politica e nella cronaca giornalistica, è un termine pressoché inutilizzabile, data l’indeterminatezza e l’enorme varietà di significati (tutti antipatizzanti) che gli vengono attribuiti. Si potrebbe definire una parola “pigliatutto”, che tira dentro, come se appartenessero alla stessa natura, cose vecchie e cose nuove, manifestazioni di protesta radicale dell’altro ieri e forme di rivolta elettorale di oggi o forse di domani: i populisti russi dell’Ottocento e i qualunquisti italiani dei tardi anni Quaranta del Novecento, le suffragette inglesi dell’età vittoriana, i costruttori di muri ungheresi al comando di Viktor Orbán e i ricercatori di nuove vie per l’Europa come i greci di Alexis Tsipras.

La difficoltà di definire il termine sarebbe data dal fatto che è un fenomeno che, come evidenzia il politologo Paul Taggart ha una capacità “camaleontica” di adattarsi a più circostanze.

Il convegno della London School of Economics del 1967 ha cercato di fornire le risposte ma senza successo identificando una pluralità di definizioni del fenomeno: qualche politologo lo definisce come una strategia politica, altri come un’ideologia e altri ancora come una mentalità. Con tutte queste definizioni fu pressoché impossibile descrivere i contorni teorici e quindi empirici in una definizione univoca, tanto che lo studioso Isaiah Berlin ha riassunto il dibattito sottolineando che, con la presunzione di individuare un tipo “puro” di populismo, gli studiosi correvano il rischio di sviluppare un “Complesso di Cenerentola”, ovvero l’insoddisfazione che deriva dal non essere capaci di trovare nella realtà oggetti che sono perfettamente conformi ai requisiti fissati della teoria.

In realtà, come lo definisce il Professore ordinario dell’Università di Firenze Marco Tarchi, il populismo è una mentalità caratteristica. Le mentalità sono modi di pensare e di sentire più emotivi che razionali”. Se l’ideologia è riflessione, auto-interpretazione, la mentalità è una predisposizione psichica” […] nelle quali prevalgono i sentimenti, gli umori e il carattere di un soggetto”. Il termine sembra calzare alla perfezione per un fenomeno effettivamente più emotivo che razionale.

Quindi si può identificare il populismo come: una specifica forma mentis, dipendente da una visione dell’ordine sociale alla cui base sta la credenza nelle virtù innate del popolo, il cui primato quale fonte di legittimazione dell’azione politica e di governo è apertamente rivendicata.

È chiaro che il populismo può assumere forme e livelli di intensità molto diversi che dipendono da: i differenti significati attribuiti alla nozione di “popolo”, le circostanze strutturali in cui si verifica e le caratteristiche dei suoi attori. Questo perché il popolo (così come l’élite) sono delle “comunità immaginate” il cui oggetto varia notevolmente da un attore populista all’altro e anche all’interno della visione predicata da un certo attore. E, l’inclusione nella comunità organica, implica anche l’erezione di una frontiera che possa escludere i “nemici” del popolo.

Alberto La Malfa

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