Il libertinismo da tre soldi e l’inarrestabile avanzata dei “nuovi diritti”

Che il gesuita scaltro, quando cerca nuove strade per evangelizzare un mondo che ha cambiato addirittura la propria identità sessuale sia ignaro di tutto ciò, forse non è esatto

di Maurizio Crippa | 26 Maggio 2015 ore 13:43

Milano. Lo sguardo attonito del primate d’Irlanda Eamon Martin, mentre borbotta in tv qualcosa come “dobbiamo prendere atto che la realtà sociale è cambiata”, dovrebbe suggerire qualcosa. Ad esempio sul ritardo di alcuni decenni degli uomini di chiesa nel passare dalla constatazione che qualcosa stava cambiando a domandarsi che cosa, e perché. L’effetto palla di neve con cui i “nuovi diritti”, per stare larghi definibili Lgbt, stanno travolgendo quel che resta dell’impianto sociale e legale giudaico-romano-cristiano è così rapido che davvero può dare l’impressione che sia un fenomeno recente. O che molto dipenda dal repentino arretramento della chiesa dalla sua Maginot dei criteri non negoziabili e persino dall’avvento di “un gesuita scaltro e non judgemental” (copyright Giuliano Ferrara). Ovviamente non è così. La lotta è di lunga durata. E’ pure vero che la chiesa cattolica si interroga da decenni sulle conseguenze della rivoluzione un tempo sessuale e oggi giuridica. Il problema è che nel suo mainstream la chiesa ha insistito soprattutto sulle cause morali – e su una critica tutta esteriore alla licenziosità dei costumi: Augusto Del Noce spiegava decenni fa che considerare la pornografia un male morale e non un problema filosofico si sarebbe rivelato un errore disastroso – e sulla difesa di un ordine giuridico immutabile perché basato sul diritto naturale. Molto meno – a parte appunto isolati pensatori come Del Noce – la chiesa ha pensato che le radici del mutamento risiedessero in qualcosa di più profondo. Finché il libertinismo – inteso come forma atea e legibus soluta della libertà individuale – è stato un fenomeno delle classi aristocratiche, la chiesa ha pensato di poterlo arginare. Dopo la fine dei grandi messianismi atei, la società tecnologicamente avanzata ed economicamente opulenta ha reso i termini di quel libertinismo – prevalenza delle passioni e dei desideri sulla morale religiosa, individualismo, assolutizzazione dei diritti, strumentalità del corpo – a disposizione di tutti. Dal punto di vista filosofico tutto ciò che pertiene ai diritti Lgbt è un perfezionamento di quei campi semantici.

Che il gesuita scaltro, quando cerca nuove strade per evangelizzare un mondo che ha cambiato addirittura la propria identità sessuale sia ignaro di tutto ciò, forse non è esatto. Basterebbe riprendere i giudizi pertinenti in materia del filosofo uruguayano Alberto Methol Ferré (è morto nel 2009), ben noti a Bergoglio quando era pastore in Argentina. Proprio riprendendo tesi delnociane Methol Ferré osservava gli effetti che la cultura materiale ed economica stavano producendo sulle classi popolari latinoamericane, del resto nemmeno particolarmente opulente. Sosteneva che l’ateismo libertino con il suo contenuto di “edonismo agnostico, consumismo sessuomane… il circolo eterno del piacere del potere e del potere del piacere” si era trasformato in “fenomeno di massa”. E che questo libertinismo di massa era ultimamente “alleato di un potere conservatore”: inteso, alla del Noce, come una società “di consumo tecnologica” i cui meccanismi funzionano indifferentemente dalla morale (e pure dalla democrazia). Più nessun ateismo messianico a ipnotizzare le masse, solo un principio di piacere indistinto a parcellizzarne desideri e consumi. E’ la logica del nichilismo, ma non è solo quella. Il nichilismo che era un’idea per filosofi da molto tempo si chiama edonismo ed è prassi di consumo di massa, dei ragazzini che Oscar Wilde non sanno manco chi fosse, ma vanno a frotte a Pére Lachaise davanti alla sua tomba a baciarsi in un selfie per sfidare quelli che perseguitano l’amore che non osa dire il suo nome. O delle masse che non hanno mai sentito parlare di gender theory ma vivono come neuroni in uno stato di diritto all’instabilità sessuale e nell’indeterminazione spazio-temporale di ogni rapporto interpersonale. Il nichilismo è una funzione socio-economica creata non solo dall’immoralità dei tempi, ma dalla struttura sociale. Forse un minimo di lettura marxiana della realtà farebbe bene anche ai preti.

Categoria Cultura

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