La dittatura degli studenti che terrorizza i prof. nelle università. Il caso Kipnis e le “zone sicure” nei campus americani.

Così codici di condotta assurdi e intolleranti e l'ostilità generalizzata contro le opinioni e i punti di vista stanno diventando una paranoia pericolosa per la libertà di parola

Foto LaPresse

di Giulio Meotti | 17 Giugno 2015 ore 17:47

Roma. E’ un eufemismo dire che Laura Kipnis sia sempre stata dalla parte delle donne. Nel 2005 questa famosa femminista e docente alla Northwestern University scrisse un saggio, tradotto anche da Einaudi, dal titolo “Contro l’amore”. “Immaginate la forma di controllo sociale più efficiente possibile”; non si può ottenerla con guardie armate a ogni angolo di strada, ma convincendo gli individui a riconoscersi nella causa. Tramite quale droga possono essere condizionati? L’amour. Kipnis è contro la progettualità amorosa, contro la stabilità sentimentale, contro la convivenza, contro la coppia. Duecento pagine riassumibili in: “Il matrimonio è la tomba dell’amore”. Ma adesso Kipnis è finita vittima delle sue stesse idee. Ha scritto un saggio per il Chronicle of Higher Education in cui attacca la “paranoia sessuale” che domina nei campus, “il clima di santimonia” e “il femminismo sequestrato dal melodramma”. “Questo mi atterrisce. Quest’aria vagamente femminista di rettitudine. Il risultato? Il senso di vulnerabilità degli studenti è alle stelle”. Risultato? Gli studenti denunciano Kipnis presso l’amministrazione dell’università invocando il titolo IX, quello che proibisce la discriminazione su base sessuale.

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Sul Wall Street Journal si racconta come questo titolo IX sia diventato “uno strumento per sopprimere la libertà di parola nei campus universitari. Con un argomento che avrebbe fatto arrossire Stalin, l’università ha avviato un’indagine e sottoposto la signora Kipnis a quello che lei ha definito un ‘interrogatorio’”. E’ la dittatura degli studenti, la nuova forma di intimidazione nei templi della conoscenza americana ma non solo (basta guardare anche in Italia all’isteria studentesca sulla riforma della scuola, il riflesso condizionato del branco).

Un docente americano ha preso carta e penna e scritto per Vox un saggio dal titolo emblematico: “Sono un docente liberal e i miei studenti liberal mi fanno paura”. Scrive Edward Schlosser: “Vorrei che ci fosse un modo meno brusco per metterla, ma i miei studenti a volte mi spaventano, in particolare quelli liberal. Ferendo i sentimenti di uno studente, anche in un corso di istruzione che è assolutamente appropriato e rispettoso, un insegnante può adesso trovarsi in guai seri”. I commentatori di sinistra e di destra oggi in America stanno criticando la paranoia degli studenti universitari. In gioco c’è il soffocamento della libertà di parola, l’attuazione di codici di condotta assurdi e intolleranti, l’ostilità generalizzata contro le opinioni e i punti di vista che potrebbero causare agli studenti anche soltanto un accenno di disagio. In un saggio per il New York Magazine (ripreso dal Foglio), Jonathan Chait aveva descritto l’effetto raggelante che questo nuovo tipo di discorso ha sulle aule. Judith Shapiro, l’ex rettore del Barnard College, l’ha chiamata “autoinfantilizzazione”. Come racconta Judith Shulevitz sul New York Times, esiste oggi una nuova forma di politicamente corretto: “Si chiamano ‘spazi di sicurezza’, ovvero la convinzione, sempre più diffusa tra gli studenti universitari, che i loro atenei devono evitare punti di vista divisivi e dolorosi”. Molti i casi.

Un gruppo di studenti della Columbia University ha fatto scivolare un volantino “contro l’omofobia” sotto la porta di ogni stanza del dormitorio del campus. Il volantino diceva: “Voglio che questo spazio sia uno spazio più sicuro”. A Oxford gli studenti sono riusciti ad annullare un dibattito sull’aborto. Un gruppo di studenti dell’Hampshire College è riuscito a far annullare il concerto di una band soltanto perché aveva “troppi musicisti bianchi”. Il presidente dello Smith College, Kathleen McCartney, ha dovuto chiedere scusa agli studenti perché un professore, Wendy Kaminer, aveva difeso l’uso della parola “negro” nel capolavoro della letteratura americana “Le avventure di Huckleberry Finn”. Nel tumulto seguito, l’Associazione degli Studenti ha scritto una lettera al rettore dichiarando che “se lo Smith è pericoloso per uno studente, non è sicuro per tutti gli studenti”.

Qualche settimana fa, Zineb El Rhazoui, una giornalista franco-algerina di Charlie Hebdo minacciata di morte dagli islamisti francesi, ha parlato presso l’Università di Chicago ed è stata duramente contestata da associazioni di studenti dell’ateneo. Nei college progressisti d’America, era El Rhazoui ad aver bisogno di uno spazio sicuro. Ha dovuto parlare, infatti, nonostante fosse a migliaia di chilometri da Parigi, protetta dalle guardie del corpo. Mentre gli studenti pieni di sé sghignazzavano, come tante tricoteuse che stavano sotto la ghigliottina e battevano i piedi dalla gioia mentre erano investite dagli spruzzi di sangue che cadevano dalle teste dei condannati al patibolo.

Categoria  Cultura

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