Viviamo il tempo degli impostori culturali (un abbraccio a Repubblica)

La nostra stessa identità è ormai una maschera, solo che non ce ne rendiamo più conto

James Ensor, "L'intrigo", 1890

di Alfonso Berardinelli | 26 Agosto 2015 ore 16:36 Foglio

La scorsa settimana, ricevendo dalle mani del giornalaio il Venerdì di Repubblica, ho avuto un momento di commozione. Sulla  copertina ho letto questo titolo: “IL TEMPO DEGLI IMPOSTORI”, e non ho avuto occhi né testa per altro. Il mio pluridecennale attrito con questo giornale, così protagonistico nell’opinione nazionale di sinistra, è all’improvviso scomparso. Mi è sembrato che su quella copertina sventolasse la mia personale bandiera perché, se devo fare i conti con me stesso, l’idea che “il tempo degli impostori” sia stato esattamente il nostro, è un’idea che non mi è mai uscita dalla testa.

Mi accorgo subito però che il Venerdi di Repubblica scopre il problema a proposito di tutt’altro. Grazie alla perspicacia di Marco Cicala, che ha letto un romanzo di Javier Cercas intitolato appunto “L’impostore”, il problema sembrerebbe esteso a tutta la nostra vita. Quando  leggerò il romanzo, se lo leggerò, imparerò certo qualcosa di nuovo. Ma quello che al momento mi interessa non è quel libro, mi interessa il modo e la misura in cui il titolo di copertina ha direttamente a che fare  con quello “stato presente dei costumi degl’italiani” di cui si occupò Leopardi quasi due secoli fa.

L’impostore che ha attirato Javier Cercas è stato un superman della bugia: si era fatto passare per combattente antifranchista nella guerra civile del 1936, poi come oppositore nei lunghi anni della dittatura, infine come deportato in un lager nazista. I giornalisti ci hanno creduto, lo hanno esaltato e la sua fama è stata incredibilmente longeva. Insomma un impostore gigantesco.

E’ proprio questo che ai miei occhi lo rende meno interessante e che non giustifica abbastanza un titolo a effetto come “Il tempo degli impostori”. E’ inutile dire che un tale personaggio, un Picasso, un Maradona dell’impostura, come dice lo stesso Cercas, ci mostra come la verità possa essere tradita in ognuno di noi. In realtà, invece, tutti penseranno che tipi così sono assolute eccezioni e in quanto tali prima o poi verranno smascherati.

Più interessante è l’impostura socialmente diffusa, quella che può diventare perfino di massa, quindi invisibile, normale, accettata. E mi interessa l’impostura culturale: quella praticata anche inconsapevolmente da intellettuali di primo piano che quasi nessun altro intellettuale, per ragioni di quieto vivere o di buona educazione, proverà a smascherare.

Il fatto è che la cultura e la politica sono in se stesse delle maschere, sono un ingrediente primario nella costruzione della propria identità. La vita sociale e pubblica, per essere affrontate, esigono una costruzione apposita, un io in parte fittizio e l’esibizione di un’ immagine artefatta di sè. In società nessuno di noi può presentarsi nudo. Non si può fare, è una questione di pudore, di tatto, di rispetto per gli altri. La costruzione dell’io sociale è tuttavia un problema di misura, i cui limiti a  volte e sempre di più sono superati. L’io sociale diventa così un’impostura. Esibire capigliature da mohicani, look barbarici, sventolare bandiere rosse, sentirsi e mostrarsi comunisti o anarchici  in piena attività rivoluzionaria, guidare enormi fuoristrada ma non fuori strada, comportarsi come “creativi” senza saper creare, parlare come anticapitalisti avendo un quotidiano e disperato bisogno di merci superflue… sono tutte imposture, neppure più riconosciute come tali.

Quando naturalezza, sincerità, onestà e senso della misura non si capisce più che cosa siano e sono anzi disprezzate come “borghesi” e conformiste, allora chiunque può scegliere di apparire come crede e di sembrare quello che non è. Si tratta certo di cultura: cioè di coltivata impostura, di stilizzazione enfatica,  recita ininterrotta,  metodica finzione.

Fin qui siamo ai comportamenti di massa. Meno visibili e riconosciuti sono certi stili dell’impostura adottati dalle élite. I critici e  studiosi di letteratura che decenni fa recitavano da scienziati usando gerghi inutilmente astratti, erano degli impostori. Il poeta che usa un linguaggio ritenuto poetico, ma non sa né vedere né recitare sè stesso, è un impostore. Il credente che tratta Dio come un’arma e un alleato, è un impostore. Il politico che nasconde il suo io vorace e afferma di lavorare per il bene comune, è un impostore. Il filosofo che parla di principi primi e di cose ultime, ma non di come vive in loro compagnia, è un impostore… Forse sono un impostore anch’io. Recito la parte del critico perché mi viene spontanea, ma vorrei  essere solo lasciato in pace. Purtroppo non ci riesco. Gli impostori non mi lasciano in pace. E’ tutta colpa loro.

Categoria Cultura

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