L’Oktoberfest del multiculturalismo

Quotidiani in arabo, lezioni di islam e abiti “modesti” nelle scuole. Dietro il modello di accoglienza della Germania c’è la radice di un trauma culturale. Henryk Broder: “I tedeschi sono dogmatici sull’euro e vuoti sull’identità”

di Giulio Meotti | 18 Settembre 2015 ore 20:41

Roma. “Senza sminuire l’enorme divario culturale tra la Pomerania e il Punjab, in Germania la legge fondamentale è la nostra, non importa quanto sacro sia il Corano”. E’ stato abbastanza eccezionale il commento sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung di Michael Martens, per il quale la Germania dovrebbe far conoscere ai migranti le “regole costituzionali” del paese che così generosamente li sta accogliendo. Martens parla della “più grande sfida dopo la Seconda guerra mondiale” e sostiene che i migranti devono accettare la parità uomo-donna, la libertà religiosa e di espressione, “e chi rifiuta questi punti di vista è meglio che lasci presto il nostro paese”. La column di Martens è emblematica del trauma culturale che l’ondata di migranti sta generando in Germania. Intanto a Monaco di Baviera, una delle città che più hanno assorbito il fenomeno migratorio, si apre fra poco l’Oktoberfest. E un appello-provocazione di alcuni islamici rivolto al Consiglio comunale di Monaco ha chiesto la cancellazione dell’evento conosciuto in tutto il mondo, definito “intollerante e anti islamico, che offende tutti i musulmani sulla terra” a causa del “consumo di alcol” e della “pubblica esibizione di nudità”.

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La risposta della Germania è tutta all’insegna del multiculturalismo. Nel land della Saar, l’anno scolastico inizia con un progetto pilota per l’insegnamento della religione islamica. Le scuole elementari di Saarbrücken e Völklingen offriranno corsi di islam, definiti “una grande opportunità per i bambini musulmani di trovare la loro identità musulmana in una società altamente secolarizzata”. Lo stesso ha fatto il Baden-Württemberg, dove il ministro della Cultura Andreas Stoch (Spd) ha parlato di “contributo importante per una convivenza pacifica fra le diverse fedi”. Il primo a perorare la causa dell’introduzione dell’islam a scuola fu Wolfgang Schäuble quando era ministro dell’Interno.

Una iniziativa governativa di venti milioni di euro ha portato alla creazione anche di quattro centri di teologia islamica nelle università pubbliche tedesche, fra cui Tubinga e Francoforte. La settimana scorsa sono usciti due inserti in arabo per aiutare i migranti arrivati in Germania. L’iniziativa è stata lanciata dai quotidiani Bild e Berliner Schwesterzeitung. “Oggi un inserto in arabo, che potrà semplificare l’arrivo a Berlino per i profughi”, si legge sulla Bild. E nelle scuole vicine ai centri di raccolta dei migranti si affaccia un po’ di sharia. Una scuola ha inviato una lettera ai genitori delle alunne per avvisarli di non lasciare che le loro figlie indossino “camicette o gonne corte”. Si tratta del Wilhelm-Diess-Gymnasium di Pocking, in Baviera. “I cittadini siriani sono prevalentemente musulmani e parlano arabo”, si legge nel documento della scuola spedito a casa dei genitori. “I rifugiati sono segnati dalla propria cultura. Visto che la nostra scuola è proprio accanto a dove hanno dimora, vestiti modesti dovrebbero essere indossati come forma di rispetto, al fine di evitare ‘problemi’. Camicette e pantaloncini corti o minigonne potrebbero portare a ‘malintesi’”.

Come decifrare questa risposta tedesca? “Io non so spiegarmelo”, dice al Foglio Henryk Broder, editorialista della Welt, ex Spiegel, l’“Hitchens tedesco” come è stato definito in America, intellettuale ebreo corrosivo e autore di bestseller. “Sembra che la Germania sia determinata a scomparire dalla storia. Dal 1945, i tedeschi hanno vissuto nel terrore di essere puniti per quello che avevano fatto i loro padri e nonni. Da allora sono isterici con qualsiasi cosa che echeggi identità. Esiste un abisso fra i media e l’opinione pubblica e il sentimento reale della popolazione. La Germania oggi vede la questione profughi come la possibilità di essere moralmente riabilitata. I tedeschi sono estremamente dogmatici sull’euro e sulle regole economiche in Europa, ma sono totalmente assenti e deboli sul dibattito culturale o identitario. E’ incredibile”. E’ come in un fortunato titolo di Henryk Broder, “Hurra, wir kapitulieren!”. Evviva, ci arrendiamo!

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