Un sistema per battere la povertà

Oggi quasi la metà delle famiglie in povertà assoluta non percepisce alcun trasferimento monetario.

Massimo Baldini, Paolo Bosi, Daniela Mesini e Emanuele Ranci Ortigosa La Voce  info 21.6.2016

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Oggi quasi la metà delle famiglie in povertà assoluta non percepisce alcun trasferimento monetario . Mentre un quarto della spesa assistenziale nazionale va a nuclei familiari con redditi nettamente superiori. Serve dunque un nuovo sistema di politiche per chi è in difficoltà. Risorse e resistenze.

Il piano del governo

La relazione al disegno di legge 3594, collegato alla legge di stabilità 2016 e relativo alle norme a contrasto della povertà, afferma la necessità di verificare le prestazioni assistenziali esistenti in relazione all’effettivo bisogno dei beneficiari, in un’ottica di maggiore efficacia ed equità. L’articolato delega il governo ad adottare provvedimenti legislativi per:

introdurre dal 2017 una nuova misura nazionale unica di contrasto alla povertà e quindi sostitutiva di quelle già esistenti;

razionalizzare su criteri di equità, appropriatezza ed efficacia le attuali prestazioni di natura assistenziale e previdenziale;

riordinare la normativa in materia di sistema degli interventi e dei servizi sociali.

La coerenza fra distribuzione sociale delle prestazioni assistenziali e condizione di bisogno economico delle famiglie è attualmente molto limitata. Basti pensare che quasi la metà delle famiglie in povertà assoluta e un terzo delle famiglie del primo decile Isee non percepiscono alcun trasferimento monetario. Questo mentre un quarto della spesa assistenziale nazionale va a famiglie con redditi superiori anche di tre o sette volte. Inoltre, disabili e non autosufficienti ricevono una indennità di accompagnamento di uguale ammontare, senza alcun rapporto con l’intensità del loro fabbisogno assistenziale. Su questo fronte, c’è anche un’assoluta prevalenza delle erogazioni monetarie e delle detrazioni fiscali nazionali (per un totale di 60 miliardi) rispetto alle prestazioni di servizi finanziati dai Comuni (neanche 7 miliardi).

Non si può sanare una situazione tanto carente affiancando nuove singole misure, per quanto valide, a quelle esistenti. Troppe timidezze e timori per perseguire le finalità dichiarate dal governo.

La proposta

Assumendo gli stessi obiettivi del governo e partendo dalla revisione critica delle misure esistenti, abbiamo provato a configurare un nuovo sistema di politiche per le famiglie in maggiore difficoltà, che ottimizzi l’efficacia sui bisogni, l’equità distributiva e l’efficienza nell’uso delle risorse. Prevede strumenti come:

un reddito minimo di inserimento, che per le famiglie in povertà unisce l’integrazione dei redditi fino alla soglia di povertà assoluta a progetti personalizzati di promozione e inserimento sociale e lavorativo;

un assegno per i figli, che, sostituendo le detrazioni fiscali per figli e gli assegni del nucleo familiare, fornisce sostegno economico – con prova dei mezzi – a famiglie con figli minori o studenti fino a 25 anni;

una dote di cura, che sostituisce l’attuale indennità di accompagnamento e assicura a tutte le famiglie con persone non autosufficienti o disabili un sostegno economico o di servizi, di entità rapportata alla intensità del fabbisogno assistenziale, senza alcuna selettività economica;

una pensione unica per invalidi, per dare sostegno economico progressivo, sempre sottoposto alla prova dei mezzi, alle famiglie con invalidi in condizione economica media o bassa;

un budget di inclusione, quale nuovo modello di presa in carico delle persone con disabilità e opportunità di vita autonoma, che mette a sistema tutti gli interventi.

Tali misure sono accompagnate da uno sviluppo quantitativo e qualitativo dei servizi territoriali per adeguarli alla loro nuova centralità e ai loro nuovi compiti. Tutto tramite finanziamenti aggiuntivi e liberazione di risorse comunali dedicate.

Inoltre, intervengono su tutte (universalismo) e solo le reali situazioni di bisogno socialmente riconosciute (economicità, efficienza della spesa), integrando risorse personali e familiari gravemente carenti e sostenendo potenzialità presenti nelle persone e nel contesto (welfare comunitario). Il sostegno è insomma proporzionato e appropriato al bisogno (equità sociale e efficacia).

Un sistema di questo tipo consegue il tendenziale azzeramento della povertà assoluta, ora al 7,2 per cento, e la concentrazione dei benefici sui più bisognosi per reddito (tavola 1). Certo, il numero dei beneficiari si contrae, ma le penalizzazioni medie sul reddito degli esclusi dai benefici, grazie alle salvaguardie eventualmente previste, risultano nulle fino al quarto decile Isee e modeste (fra l’1 e il 3 per cento) per i decili successivi. Il vantaggio sociale risulta quindi evidente.

Il costo a regime di questa riforma sarebbe di 79,8 miliardi, il 7 per cento in più di quanto già impegnato per il 2017 (tavole 2 e 3), da raggiungere con un percorso pluriennale, con tappe già configurate. Il costo aggiuntivo (5,5 miliardi) potrebbe essere coperto da ulteriori finanziamenti pubblici o anche, in tutto o in parte, con una scelta redistributiva più accentuata, prelevando una parte dei 7,5 miliardi di euro delle attuali erogazioni per contrasto alla povertà e sostegno alla famiglia che per gli attuali distorti criteri di selezione vanno alle famiglie, benestanti o addirittura ricche, dei quattro decili Isee superiori.

La riforma generale e coordinata proposta conseguirebbe dei significativi benefici sociali, con costi aggiuntivi contenuti. Come ogni cambiamento incontrerà resistenze. Toccherà alla politica gestirle per ricercare la maggior coerenza fra le finalità enunciate e le azioni poste in atto per perseguirle.

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