Troppi 900 contratti collettivi: il Cnel annuncia la revisione

Meno contratti di lavoro, ma di migliore qualità. Eliminando quelli “pirata”, che puntano al ribasso sui diritti, nei rapporti tra impresa e lavoratori, realizzando il cosiddetto dumping contrattuale

di Roberto Miliacca 18.4.2018 www.italiaoggi.it

Meno contratti di lavoro, ma di migliore qualità. Eliminando quelli «pirata», che puntano al ribasso sui diritti, nei rapporti tra impresa e lavoratori, realizzando il cosiddetto dumping contrattuale.

Il presidente del Cnel, Tiziano Treu, aprendo a Roma i lavori del convegno su «Relazioni industriali, linee guida per la contrattazione collettiva», organizzato dalla Confsal, ha annunciato l'inizio di una revisione, da parte del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, della massa di contratti collettivi nazionali esistenti, circa 900, cui si aggiungono i quasi 10 mila contratti decentrati o aziendali, in un'ottica di razionalizzazione. «Una volta si parlava di voler arrivare a 3-4 grandi contratti collettivi nazionali, ma passare da 900 a 4 credo sarà difficile», ha detto Treu. Ciò non toglie che occorre «mettere ordine, selezionare e valutare la qualità degli oltre 900 contratti esistenti, anche semplificandoli. Confrontiamo gli archivi del Cnel con quelli dell'Inps e del ministero del Lavoro per discutere insieme quali sono i criteri identificativi per i contratti buoni e per quelli meno buoni.

Anzitutto, vedere chi li stipula, cioè la rappresentatività dei soggetti, sia dei sindacati sia dei datori di lavoro». Il tema della qualità dei contratti è stato sollevato dal segretario generale Confsal, Angelo Raffaele Margiotta, che ha presentato la proposta del sindacato autonomo sul tema: «La risposta al dumping va cercata nella qualità dei contratti, qualità che non può discendere dalla rappresentatività sindacale, ma dalla capacità di far incontrare le esigenze del lavoratore con quelle dell'azienda. Qualità della contrattazione e pluralismo della rappresentanza sindacale devono procedere di pari passo», ha detto Margiotta.

«Valutiamo anche i contenuti», ha concordato Treu, «che è la cosa più delicata. La stessa Confsal ha posto un problema che anche noi abbiamo individuato qui al Cnel: di dare delle regole ai contratti collettivi e alle rappresentanze sia dei lavoratori sia dei datori di lavoro. Abbiamo bisogno, infatti, di regole più chiare e condivise, in un momento turbolento». Margiotta ha sottoposto alla politica (erano presenti i vicepresidenti del Senato, Maurizio Gasparri, e della Camera, Ettore Rosato, e la senatrice Nunzia Catalfo, responsabile Area Lavoro del M5S, e gli ex ministri del lavoro Cesare Damiano e Maurizio Sacconi), e alla comunità scientifica e alle parti datoriali, una serie di proposte. «È importante riportare il livello della contrattazione a livello intersettoriale, perché la maggior parte degli istituti, giuridici ed economici, che riguardano il lavoratore è trasversale.

Nei contratti prevediamo incentivi «professionalizzanti per il lavoratore, ma anche lo ''status di lavoratore in uscita'', per evitare che si passi da occupato e licenziato. Prevediamo, infatti, che ci sia un periodo in cui il lavoratore possa tentare di trovare una nuova occupazione, agevolato sia dall'impresa, sia dalle parti sociali. Passerebbe così dalla condizione di occupato a rioccupato e non licenziato». Nel dibattito è intervenuto anche Pietro de Biasi, responsabile Area Lavoro e Welfare di Fca Group, società automobilistica che non solo è uscita fuori da Confindustria ma ha deciso di avviare una contrattazione in proprio con i lavoratori, indipendente da quella nazionale.

«È quello che si fa in tutti i paesi del mondo, a parte l'Italia, dove anche l'ultimo accordo di febbraio ha ribadito la centralità del Ccnl su quello aziendale», ha detto de Piasi, ricordando come l'anomalia italiana è anche l'assenza di un salario minimo legale, «che consentirebbe di affrontare le nuove sfide del lavoro, proprio in un paese dove la fa da padrona il lavoro irregolare».

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