Dal caos non ci si salva con la flat tax

Attenzione. La proposta del governo, così, non è sostenibile: serve concentrarsi subito sul nostro debito pubblico

di Marco Fortis 4 Giugno 2019 www.ilfoglio.it          

La seconda stima dell’Istat sul pil italiano del primo trimestre 2019 si è abbattuta sul governo gialloverde come una rasoiata. Infatti, vi è stata una revisione al ribasso del mini rimbalzo che aveva fatto inizialmente esultare l’esecutivo e che ha interrotto la recessione “tecnica” verificatasi negli ultimi due trimestri dello scorso anno. Abbiamo invece appreso dalla seconda stima Istat che la crescita congiunturale italiana nel primo trimestre 2019 è stata soltanto dello 0,1 per cento (non dello 0,2 per cento come indicato dalla prima stima). Ma, soprattutto, è stato comunicato che la variazione tendenziale del pil (rispetto allo stesso trimestre dell’anno prima) non era stata pari a più 0,1 per cento come inizialmente indicato ma è risultata per la prima volta negativa da tantissimo tempo a questa parte, pari a -0,1 per cento. Per la precisione, non c’era più stato un calo tendenziale del pil sin dal quarto trimestre del 2013, cioè quando stavamo ancora arrancando nell’austerità. Il tutto a fronte di una crescita economica tendenziale dell’Area euro nel primo trimestre di quest’anno ancora relativamente tonica, pari a più 1,2 per cento.

In sostanza, il governo gialloverde ha sprecato i margini di flessibilità che l’Europa gli aveva benevolmente concesso, pur in presenza di un atteggiamento inutilmente sprezzante verso Bruxelles da parte di Salvini e soci. Lo ha fatto varando misure demagogiche, assistenziali ed elettorali come quota 100, condoni vari e il reddito di cittadinanza, totalmente prive di capacità di spinta sulla crescita. Il rialzo dello spread ha fatto il resto, mentre la fiducia di consumatori e imprese si arenava progressivamente. Risultato: l’esecutivo ha causato una impennata dei conti pubblici senza varare alcuna misura realmente anticiclica e il nostro pil non sembra ormai più capace di crescere. La strada da perseguire, oltre a non abolire il super-ammortamento, sarebbe stata quella di concentrare tutte le scarse risorse disponibili su un piano di investimenti in opere pubbliche. Ma non è stato così. Nel frattempo, abbiamo perso verticalmente credibilità sui mercati e ci siamo resi per una seconda volta inutilmente ridicoli agli occhi del mondo dopo il drammatico 2011.

L’Italia, dunque, è ormai un caso a se stante in Europa. Non ci sono più i Pigs sulla gogna come otto anni fa. Oggi siamo rimasti soltanto noi italiani, per di più completamente isolati dal punto di vista diplomatico, ad essere giudicati poco credibili da Bruxelles, dalle agenzie di rating, dai mercati e dagli investitori internazionali. Intanto, mentre gli “esperti” dei partiti di governo non hanno ancora abbandonato il loro folle progetto di una uscita dall’euro e rincorrono iniziative deliranti come quelle dei minibot, è addirittura accaduto che i titoli di debito pubblico a breve termine della Grecia siano arrivati a pagare interessi inferiori ai nostri. In questo scenario pensare che un ministro del Tesoro debole come Giovanni Tria possa costituire un solido baluardo contro le eccentriche pretese di politiche economiche finanziate a piè di lista propugnate dai vari Salvini e Di Maio è come pensare di affrontare un imminente tsunami con un ombrellino da passeggio. I margini di manovra del governo sono ormai sempre più stretti al punto che si è perfino ipotizzato di poter barattare l’eliminazione degli 80 euro con la sterilizzazione dell’aumento dell’Iva.

La realtà è che si sono completamente inceppati i due motori della solida ripresa economica del nostro paese che aveva caratterizzato il periodo intercorso dal secondo trimestre del 2014 al secondo trimestre del 2018, cioè i consumi privati e gli investimenti in macchinari e mezzi di trasporto. In termini tendenziali, i consumi privati erano arrivati a toccare una crescita trimestrale massima anno su anno del 2,3 per cento nel terzo trimestre 2015 con il governo Renzi; poi, durante il governo Gentiloni il picco di crescita tendenziale dei consumi, ancorché un po’ rallentato, era stato ancora pari all’1,7 per cento nel primo trimestre 2017. Nel primo trimestre 2019 siamo ora invece crollati ad un misero più 0,2 per cento anno su anno.

Per quanto riguarda gli investimenti in macchinari e mezzi di trasporto, durante il governo Renzi la massima crescita tendenziale era stata del 14,7 per cento nel quarto trimestre 2016; e con il governo Gentiloni era stato toccato ancora un significativo più 12 per cento nel terzo trimestre 2017. Per contro, nel primo trimestre 2019 il dato tendenziale relativo agli investimenti tecnici è ora sprofondato ad un insignificante progresso dello 0,2 per cento, analogo a quello dei consumi.

Nel frattempo, con la crescita reale ferma e una inflazione debolissima, il pil nominale italiano nel primo trimestre 2019 è aumentato tendenzialmente solo dello 0,8 per cento rispetto all’anno prima. Il debito invece galoppa e a marzo 2019 risultava più alto del 2,1 per cento rispetto a marzo 2018. E mentre non c’è all’orizzonte nessun credibile piano di dismissioni da 18 miliardi di euro (come ipotizzato dal Def), incombe anche l’incubo di un possibile aumento dell’Iva. In questo caos è auspicabile che il governo in carica pensi a come l’Italia possa evitare che il suo rapporto debito/pil raggiunga nel 2020 il 135,2 per cento ipotizzato dalla Commissione europea nelle sue previsioni di primavera: cioè quasi 4 punti percentuali in più rispetto a come l’aveva lasciato a fine 2017 Padoan (che dopo sette anni di incrementi consecutivi lo aveva riportato finalmente a scendere dal 131,8 del 2014 al 131,4 del 2017).

All’Italia, dopo la Caporetto del pil, più che una non-finanziabile e non-sostenibile flat tax, serve ora urgentemente una linea del Piave sul debito pubblico.

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