La logica del mercato. Il sistema politico. Il sistema economico.

I due volti di Pechino. La Cina non è una terza via tra capitalismo e socialismo

Rainer Zitelmann 29.1.2021 linkiesta.it lettura5’

La dittatura cinese non può essere presa a modello da nessuna persona di idee liberali, ma la sua economia è un sistema misto: ha progressivamente abbracciato i

principi del libero mercato, ha introdotto la proprietà privata e ha gradualmente ridotto l’influenza dello Stato. E ha ancora un forte bisogno di ulteriori riforme

LaPresse

Nella sua risposta al mio articolo su Milton Friedman e la Cina, Beppe Facchetti dà l’impressione che io consideri la Cina come una “terza via” tra capitalismo e socialismo. Ritengo questo un fraintendimento. Qualsiasi analisi sulla Cina deve fare una chiara distinzione tra due aspetti:

Il sistema politico.

Il sistema economico.

Dal punto di vista politico, la Cina è una dittatura e quindi non può essere presa a modello da nessuna persona di idee liberali. Un partito continua a governare da solo e i diritti democratici primari, come la libertà di stampa, sono assenti.

Dal punto di vista economico, la Cina è un sistema misto – come la maggior parte delle economie del mondo. Nessun paese ha un sistema puramente capitalista, nemmeno gli Stati Uniti. Nei paesi che chiamiamo capitalisti, lo Stato gioca un ruolo che considero troppo grande. Questo è vero sia in Europa che negli Stati Uniti. Allo stesso modo, non ci sono sistemi puramente socialisti – anche un’economia pianificata, come quella della Corea del Nord, contiene elementi di proprietà privata e alcune caratteristiche del libero mercato, seppur molto deboli.

Nel mio libro “La forza del capitalismo”, ho sviluppato una teoria che permette di capire lo sviluppo economico di qualsiasi paese. Questa teoria afferma che:

La maggior parte dei sistemi nel mondo sono sistemi misti e contengono sia elementi di capitalismo che di socialismo.

Se si vuole capire lo sviluppo economico, ciò che conta è come la relazione tra Stato e mercato cambia nel tempo. Ci si può immaginare una bilancia su cui stanno due elementi, “Stato” e “mercato”. Se aggiungiamo più “Stato” – che è quello che è successo in Venezuela dagli anni ’80 e in particolare quando Hugo Chávez prese il potere nel 1999 – causiamo il declino economico. Se aggiungiamo più mercato, come sta facendo la Cina dall’inizio degli anni ’80, favoriamo una crescita economica e creiamo più prosperità per tutta la popolazione.

Per illustrare meglio ciò che intendo, vorrei citare alcuni fatti sugli sviluppi della Cina che non sono molto conosciuti in Occidente

Tra il 1958 e il 1962, 45 milioni di cinesi morirono di fame come risultato del più grande esperimento socialista della storia. Mao chiamò questo esperimento il “Grande balzo in avanti”, ma per la Cina fu un’esperienza tragica e disastrosa.

Oggi la Cina è la prima nazione esportatrice del mondo, davanti a Stati Uniti e Germania. Soprattutto, mai prima nella storia così tante persone sono sfuggite alla povertà in così poco tempo come negli ultimi decenni in Cina. Tra il 1981 e il 2015, il numero di poveri in Cina è sceso da 878 milioni a meno di 10 milioni.

Quella cinese non è una “terza via”

È opinione diffusa che il successo della Cina sia basato su una “terza via” unicamente cinese, un modello politico ed economico che occupa uno spazio intermedio tra capitalismo e socialismo. Secondo questa interpretazione, la Cina ha successo perché lo Stato continua a giocare un ruolo importante nell’economia cinese. Ma questa interpretazione è sbagliata.

Infatti, il successo della Cina fornisce una chiara prova del potenziale insito nel capitalismo.

Sotto Mao, lo Stato aveva una presa onnipotente sull’economia cinese. Quello che è successo negli ultimi decenni può essere riassunto in poche frasi: la Cina ha progressivamente abbracciato i principi dell’economia di libero mercato, ha introdotto la proprietà privata e gradualmente ridotto l’influenza dello Stato.

Per i principali politici ed economisti cinesi, il 1978 ha segnato l’inizio di un intenso periodo di viaggi all’estero per carpire preziose informazioni da attuare in patria. Le delegazioni cinesi fecero più di 20 viaggi in più di 50 paesi tra cui Giappone, Thailandia, Malesia, Singapore, Stati Uniti, Canada, Francia, Germania e Svizzera. Rimasero colpite dai successi economici di altri paesi asiatici.

Durante la sua visita a Singapore, Deng Xiaoping fu impressionato dall’economia locale, che era molto più dinamica di quella cinese. Tuttavia, questo entusiasmo per i modelli economici di altri paesi non ha portato a una conversione istantanea al capitalismo, né la Cina ha immediatamente abbandonato la sua economia pianificata in favore di un’economia di libero mercato. C’è stato invece un lento processo di transizione, a partire dai tentativi di concedere maggiore autonomia alle imprese pubbliche, che ha richiesto anni, anche decenni, per maturare, e che si è basato su iniziative dal basso verso l’alto tanto quanto su riforme dall’alto verso il basso, guidate dal partito.

Più proprietà privata e mercati più liberi

Molto prima che il divieto ufficiale di praticare l’agricoltura privata fosse revocato nel 1982, in tutta la Cina sono nate iniziative guidate dai contadini per reintrodurre la proprietà privata. Il risultato fu estremamente positivo: la gente non moriva più di fame e la produttività aumentava rapidamente. Nel 1983, il processo di de-collettivizzazione dell’agricoltura cinese era quasi completo. Il grande esperimento socialista di Mao, che era costato milioni di vite, era finalmente finito.

Inizialmente, la crescita della proprietà privata in tutta la Cina era spinta da un numero crescente di piccoli imprenditori che creavano aziende, a cui era permesso di impiegare solo un massimo di sette persone. In seguito furono create le Aree Economiche Speciali. Si trattava di zone in cui il sistema economico socialista era sospeso e gli esperimenti capitalisti erano permessi. La proclamazione ufficiale dell’economia di mercato al Quattordicesimo Congresso del Partito Comunista Cinese nell’ottobre 1992 – un passo che sarebbe stato impensabile solo pochi anni prima – ha rappresentato una pietra miliare sulla strada verso il capitalismo.

Per capire la dinamica delle riforme cinesi, è cruciale notare che solo in parte sono state avviate “dall’alto”. Gran parte degli accadimenti sono avvenuti spontaneamente. Le principali innovazioni istituzionali sono state promosse non negli uffici centrali del partito, ma da innumerevoli funzionari anonimi che hanno agito a livello locale, e in molti casi contro le regole.

Quale strada prenderà ora la Cina?

Nonostante tutti gli sviluppi positivi che la Cina ha fatto registrare negli ultimi decenni, molto resta ancora da fare. La Cina ha un forte bisogno di ulteriori riforme.

 

Non solo vorrei vedere il capitalismo guadagnare ancora più terreno in Cina, ma spero anche che la Cina diventi uno Stato di diritto e democratico. Certo, al momento non ci sono segnali che il paese voglia andare in questa direzione. E purtroppo, lo stato in cui versa oggi la democrazia in Europa e negli Stati Uniti non la rende esattamente una proposta attraente per i cinesi. Il fallimento dei governi in Europa e negli Stati Uniti nel combattere la pandemia Covid-19 dà ai governanti cinesi un sacco di nuovi argomenti per proclamare la superiorità del proprio sistema. In Europa e negli Stati Uniti, lo Stato è troppo forte dove invece dovrebbe essere debole (cioè, nel regolare l’economia) e troppo debole dove dovrebbe essere forte (cioè, digitalizzazione, infrastrutture, sicurezza interna ed esterna e prevenzione delle epidemie).

 

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