LA POLEMICA REDDITO DI CITTADINANZA

Il reddito di cittadinanza proposto dai grillini  è una parata di stupidaggini. Assistenzialismo assurdo su una base di ignoranza abissale.. 

Un articolo di Giuliano Cazzola, Il Mattinale – 09/04/2015

Concordo con l’articolo di Renato Brunetta sul reddito minimo di cittadinanza. Io non sono <politicamente corretto> tanto da mettermi a fare dei giri di valzer – come è tentato di fare il Pd – con quelli del M5s soltanto perché loro, al Senato, hanno presentato un disegno di legge per l’introduzione del reddito di cittadinanza. In questo caso, oltre ad una permanente inconciliabilità con i <grillini> e con tutto quello che ha a che fare con loro, mi sento di esprimere un giudizio negativo anche sulla loro proposta. Non basta evocare una definizione cara alle <anime belle> che aspirano ad un nuovo welfare per riconoscere alla proposta, il merito dell’innovazione, salvo qualche aggiustamento da apportare strada facendo.

Il <reddito di cittadinanza> di fabbricazione <grillina> è un progetto che non ha né capo né coda. Vediamo perché.

Sul piano teorico, la proposta fa una gran confusione tra i concetti di reddito di cittadinanza, reddito minimo e salario minimo. A quanto è dato comprendere si tratterebbe di una prestazione inclusiva, destinata ad indicare un livello di reddito minimo a cui avrebbero diritto tutti coloro che sono privi di un reddito autonomo o ne percepiscono uno inferiore alla soglia indicata (780 euro mensili). Proviamo a dipanare la matassa. In altri paesi è previsto il salario legale minimo che costituisce il livello di retribuzione al di sotto del quale non si può andare nei rapporti tra privati. Ma l’obbligazione è a carico del datore di lavoro. Nella proposta del M5S l’integrazione tra il c.d. reddito di cittadinanza e quello percepito dal soggetto assistito sarebbe a carico di Pantalone. Se così fosse, vi sarebbe la corsa a stipulare <patti scellerati> tra datori e lavoratori allo scopo di denunciare retribuzioni inferiori e mettere a carico della collettività la differenza. Poi, un reddito tanto elevato per gli inoccupati scoraggerebbe la ricerca di un impiego ed incoraggerebbe il lavoro sommerso. L’Italia non ha la struttura amministrativa idonea per prendersi a carico non solo i disoccupati involontari (come prevede l’articolo 38 della Costituzione) ma anche gli inoccupati (si veda tanto per fare un esempio le difficoltà che incontra il programma europeo Garanzia giovani). Che senso ha poi prendere a riferimento i dati della povertà relativa che costituiscono un indicatore delle differenze piuttosto che delle effettive condizioni di indigenza.

Un altro aspetto discutibile riguarda i meccanismi riguardanti la <condizionalità>. In sostanza, anche in quei Paesi in cui è tutelata non solo la disoccupazione (ovvero la posizione di chi perde il lavoro, come in Italia), ma anche l’inoccupazione (stare ancora alla ricerca del primo impiego, come nei modelli anglosassoni), il soggetto tutelato non solo deve attivarsi, ma non può rifiutare quello che gli viene offerto dai centri per l’impiego. Ma qui casca l’asino. Oggi i centri per l’impiego e le agenzie intermediano il 4% degli inserimenti al lavoro, mentre le risorse destinate alle politiche attive sono molto modeste. Buoni ultimi vengono i problemi di copertura finanziaria. I “grillini” affermano che i 40 miliardi indicati da Renato Brunetta sono eccessivi? Prendiamo per buone le loro stime che, nel tempo, sono state considerate tra i 16 e i 19 miliardi l’anno, inizialmente messi a carico del taglio delle pensioni d’oro e di una patrimoniale.

Tocchiamo con mano il punto più elevato della demagogia di cui è intessuta la proposta, perché, anche spellando vivi i c.d. pensionati d’oro ed espropriando i beni dei <riccastri>, non si potranno mai ricavare risorse tanto rilevanti. Ma proprio qui trova conferma che la proposta è debole pure sul piano tecnico. C’è da presumere infatti che il <reddito di cittadinanza> vada a sostituire prestazioni ora vigenti, le quali hanno un costo. Perché allora non scomputare questi oneri dalla montagna dei 19 miliardi che nessuno riuscirà mai a scalare? Oppure perché non immaginare programmi inclusivi meno ampi e soprattutto mirati, tenendo come riferimento l’importo dell’assegno sociale? Ci vuole poco a capire l’assurdità della proposta: secondo il M5s il mercato interno si rimetterebbe in movimento attraverso una massiccia operazione di spesa assistenziale. Ma se così deve essere non sarebbe più utile agire sugli incentivi alla maggiore occupazione?

GIULIANO CAZZOLA

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