Altro che Consulta. La lezione di Modigliani sulla bancarotta delle pensioni italiane

34 Paesi occidentali sono riuniti nell'Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), la spesa media per le pensioni è all'incirca pari al 9,5%. in Italia la spesa pensionistica è infatti pari a circa il 15,5% del pil (più basso il Pil o più alta la spesa?)

di Marco Valerio Lo Prete | 11 Maggio 2015 ore 13:59 Foglio

Nei paesi più sviluppati del pianeta, 34 dei quali sono riuniti nell'Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), la spesa media per le pensioni è all'incirca pari al 9,5% del prodotto interno lordo. Il paese che spende di più sulle pensioni pubbliche è il nostro; in Italia la spesa pensionistica è infatti pari a circa il 15,5% del pil. Nel 2013, la spesa totale per pensioni in Italia ammontava a 247,9 miliardi di euro. L'invecchiamento demografico è destinato a far salire questa voce di spesa ovunque, ma l'Italia parte con un netto vantaggio, si fa per dire.

Considerata l'importanza - anche quantitativa - del tema in discussione, non è strano che da giorni si discuta animatamente di una sentenza della Corte costituzionale che riguarda proprio le pensioni. La Consulta, presieduta da Alessandro Criscuolo, ha dichiarato infatti l'illegittimità costituzionale di una norma del decreto Salva Italia approvato dal governo Monti nel dicembre 2011. Con quel decreto il governo aveva bloccato la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici in base all'inflazione, per gli anni 2012 e 2013, escludendo soltanto i trattamenti che erano fino a tre volte la pensione minima di circa 500 euro mensili. Quella misura – è tornata a spiegare oggi l'allora ministro Elsa Fornero, ribadendo quanto scritto nella relazione di accompagnamento al decreto di allora – fu concepita all'apice della crisi finanziaria per ottenere risparmi di breve termine oltre a quelli di lungo termine che invece sarebbero stati assicurati dalla riforma delle pensioni.

Dopo questa sentenza della Consulta, milioni di cittadini che si sono visti congelare gli scatti sulla pensione per due anni, hanno diritto a vedersi restituire quanto trattenuto due anni? Probabilmente sì, anche se il Governo - appoggiandosi a precedenti decisioni della Corte costituzionale - sta tentando in queste ore di modulare una risposta e già nei prossimi giorni potrebbe proporre delle norme che rispettino la sentenza, garantendo allo stesso tempo la perequazione solo per i trattamenti più bassi. Questo anche perché una restituzione totale potrebbe arrivare a costare quasi quanto un punto di pil, circa 13 miliardi di euro secondo alcune stime, con un forte impatto negativo sull'equilibrio delle finanze pubbliche.

La sentenza, oltre ad agitare l'esecutivo che è ora in cerca di risorse, ha riaperto il dibattito su chi sia davvero il pagatore di ultima istanza delle attuali pensioni. E quindi pure il pagatore di ultima istanza di questa recente sentenza. Franco Modigliani, unico premio Nobel per l'Economia di origini italiane, nato a Roma nel 1918 e scomparso negli Stati Uniti nel 2003, dedicò molti dei suoi ultimi interventi proprio al regime pensionistico italiano, suggerendone una radicale riforma in particolare nel suo sistema di finanziamento. Modigliani, che abbandonò l'Italia dopo le Leggi razziali sotto il fascismo e nel 1946 prese la cittadinanza americana, è considerato all'ingrosso un economista di impostazione "keynesiana", per la costanza con cui considerò e approfondì alcune intuizioni dell'autore della "Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta". Uno dei suoi contributi più originali fu quello sulla teoria del Ciclo vitale del risparmio, teoria per la quale vinse anche il Nobel nel 1985, e così sintetizzata sull'Enciclopedia Treccani: "Un modello di scelte del consumatore basato sull'idea che le persone esprimano nel tempo una decisa preferenza per la stabilità del flusso dei consumi. I consumatori risparmiano parte del loro reddito da destinare ai consumi al termine dell'età lavorativa. Questa semplice idea è alla base della teoria del ciclo di vita: per il Modigliani si risparmia quando si è giovani, quando cioè si dispone di un reddito, per poter sostenere le spese da vecchi. È questo il ciclo vitale del risparmio: positivo nell'età lavorativa, negativo nella fase del pensionamento. L'aspetto originale della teoria è nell'isolamento dei fattori che spiegano il risparmio aggregato di una nazione. Tra questi il principale è costituito dal tasso di risparmio di un paese, tanto più elevato quanto maggiore è il tasso di crescita di lungo periodo del reddito totale e, al contrario, nullo qualora il paese non cresca. Ciò avviene perché un aumento della crescita comporta che i risparmiatori (i più giovani) percepiscano redditi più elevati degli anziani che hanno invece un risparmio negativo".

Le ricadute per il sistema pensionistico sono molte. Modigliani, in uno dei suoi ultimi interventi, chiarì perché secondo lui il sistema italiano, finanziato con il metodo "a ripartizione", dovesse per esempio evolvere in un sistema "a capitalizzazione". Nel sistema italiano a ripartizione, i lavoratori di oggi pagano i contributi non per se stessi quando diventeranno inattivi, ma per gli attuali inattivi. Con un'operazione di evidente trasferimento intergenerazionale, il reddito dei giovani di oggi diventa un reddito per i più anziani di oggi. Nel sistema a capitalizzazione, invece, i contributi dei lavoratori di oggi si accumulano per costituire un capitale che viene investito e può generare il reddito necessario per il momento in cui i giovani saranno invecchiati. Modigliani, nel 2000, scriveva che considerata "la crescita dell'aspettativa di vita e la diminuita crescita economica, sia demografica che della produttività", il sistema a ripartizione in Europa - e in special modo in Italia dove le prestazioni sono particolarmente generose - era a rischio "bancarotta". Se i lavoratori di oggi diventano sempre meno, e in più rischiano di generare meno reddito, il trasferimento a favore agli attuali inattivi diventa infatti sempre più oneroso.

Chi sottolinea il carattere iniquo della decisione della Consulta – che per tutelare un cosiddetto "diritto acquisito" dei pensionati odierni aggrava il fardello che pesa sulle spalle dei lavoratori, e dei giovani in particolare – non fa altro che ricordare questa china presa dal welfare italiano. Sottolineando uno dei limiti intrinseci dei sistemi pensionistici finanziati "a ripartizione". Sulle problematicità delle possibili soluzioni torneremo prossimamente.

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