E se la spesa pensionistica italiana non fosse (così) esorbitante?La recente sentenza della Corte Costituzionale sul blocco

della rivalutazione pensionistica disposta dalla riforma Fornero, ha riportato all’attenzione il problema della esorbitante spesa pensionistica italiana,

di Antonio Carlo Scacco | 17 Giugno 2015 ore 14:49 Foglio

Riceviamo da Antonio Carlo Scacco e volentieri pubblichiamo:

La recente sentenza della Corte costituzionale sul blocco della rivalutazione pensionistica disposta dalla riforma Fornero, ha riportato all’attenzione il problema della esorbitante spesa pensionistica italiana, soprattutto nel confronto con gli altri Paesi avanzati. Quasi tutti i commenti partono da un dato di fatto: per le pensioni si spende troppo (e male). Ma è proprio vero? Limitiamoci alla prima parte di questa affermazione (l’aspetto quantitativo). Quale era l’importo della spesa pensionistica nel 2013? Prendiamo il dato dal miglior studio disponibile sull’argomento (il Bilancio sistema Previdenziale  Andamenti finanziari e demografici delle pensioni e dell’assistenza, disponibile qui),  recentissimo (l’ultimo è stato rilasciato il 15 aprile scorso) ed autorevole (curato da buona parte dei membri dell’ex Nucleo di valutazione della spesa previdenziale, l’eccellente organo consultivo del Ministero del lavoro dimessosi – o “dimesso” – per motivi oscuri nel giugno del 2012).

 La spesa pensionistica complessiva nel 2013 era pari a 247,9 miliardi di euro. Ma occorre fare attenzione: tale dato era comprensivo delle erogazioni riferite alla Gestione interventi assistenziali (GIAS). Questa Gestione è stata istituita con legge 88/1989 allo scopo di distinguere, all’interno del mastodontico bilancio dell’Inps, le erogazioni che traggono origine dalla contribuzione da quelle motivate solo da finalità assistenziali (“pensioni” sociali, “pensioni” ai rimpatriati dalla Libia, prepensionamenti eccetera: vedi Tabella). 

La separazione tra assistenza e previdenza trova fondamento nella Costituzione. L’articolo 38 al primo comma dice che “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale.” mentre il secondo si riferisce specificamente ai lavoratori: ”I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.”. I mezzi adeguati forniti in caso di vecchiaia corrispondono appunto alle pensioni in senso stretto, ossia collegate in qualche modo alla contribuzione versata dagli stessi lavoratori.  Ne segue, come è esplicitato in modo chiaro nello stesso Rapporto, che il dato corretto riferito alla spesa pensionistica per il 2013 è 247,9 – 33,3 (quota GIAS) = 214,6 miliardi di euro. Ossia, in rapporto al nostro Pil dello stesso anno: 214,6/1.618.9 = 13,26%.

Possiamo dire che la nostra spesa pensionistica è alta o eccessiva rispetto agli altri Paesi avanzati? Limitiamoci a quelli dell’area euro. I dati Eurostat del 2012 (ultimi disponibili) danno per la funzione “old age & survivors” queste percentuali di spesa in rapporto al Pil.

Quindi la nostra percentuale di spesa pensionistica, opportunamente riclassificata, sarebbe pienamente in linea con le percentuali di spesa dei nostri principali vicini. E’ tuttavia opportuno avvertire che i confronti in ambito internazionale sono quanti mai insidiosi. Per fare un esempio (ma se ne potrebbero fare molti altri) la funzione “old age & survivors” include le erogazioni annuali da parte dei datori di lavoro privato e pubblici in termini di TFR e TFS (un fenomeno peculiarmente italiano e che si può quantificare, per il nostro Paese, in una percentuale pari all’1,4/1,5% del Pil). Ma evidentemente tali erogazioni non sono pensioni propriamente dette ma erogazioni liquidate al lavoratore ogni volta che lascia il lavoro (e quindi non necessariamente collegate alla vecchiaia ma all’interruzione del rapporto di lavoro).

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