Il Ponte? "Certo che si farà"

Non solo la promessa di Matteo Renzi. Perché battersi per collegare Sicilia e Calabria rimane sacrosanto. La storia di un’idea raccontata da un protagonista. Una rivoluzione per ambiente, cultura ed economia

di Francesco Forte | 06 Novembre 2015 ore 13:00

Matteo Renzi è stato chiaro nell'ultimo libro di Bruno Vespa parlando del Ponte sullo Stretto di Messina. "Certo che si farà", ha detto. Aggiungendo poi: "Prima di discuterne sistemiamo l’acqua di Messina, i depuratori e le bonifiche. Poi faremo anche il ponte, portando l’alta velocità finalmente anche in Sicilia e investendo su Reggio Calabria, che è una città chiave per il sud. Dall’altra parte dobbiamo finire la Salerno Reggio Calabria. Quando avremo chiuso questi dossier – prosegue Renzi – sarà evidente che la storia, la tecnologia, l’ingegneria andranno nella direzione del ponte, che diventerà un altro bellissimo simbolo dell’Italia.

Provochiamo. Se ci fosse il ponte sullo Stretto di Messina, la rottura dell’acquedotto comunale messinese non avrebbe effetti drammatici per i cittadini. L’acqua, con il completamento del bacino del Menta idrico e idroelettrico previsto per il 2016, potrebbe arrivare copiosamente a Messina da Villa San Giovanni col servizio idrico della società dello Stretto. Non solo con autocisterne d’emergenza ma soprattutto strutturalmente tramite una tubatura a fianco del ponte nella quale scorre l’acqua dell’Aspromonte. Sulla carta Messina e Reggio Calabria già costituiscono la “città metropolitana” dello Stretto, ma non lo sono nella realtà, dal punto di vista della unitarietà delle infrastrutture e dei servizi pubblici. A ciò non bastano i traghetti, che attualmente operano come servizio pubblico di merci, passeggeri e automezzi e treni, con sovvenzioni statali e inquinando l’ambiente marino e il terreno con i loro rilasci. Le tubature e i cavi telefonici connessi al ponte, il traffico automobilistico e ferroviario e l’elettrodotto, sono essenziali per dare vita al modello urbanistico integrato di città metropolitana dello Stretto nonché per lo sviluppo turistico e per i trasporti mediante il collegamento con la Sicilia.

I pedaggi sono la base economica con cui il ponte si potrebbe autofinanziare. Sono lieto che il ponte sullo Stretto sia tornato nel dibattito pubblico e parlamentare. Il progetto di cui si torna a parlare è quello voluto da Silvio Berlusconi, innovatore lungimirante. Sono soprattutto persone del nord d’Italia che hanno propugnato questa idea. Tutt’ora a battersi per il ponte è soprattutto un onorevole di Torino, Mino Giachino, un allievo di Carlo Donat Cattin, responsabile Trasporti di Forza Italia, che ha – come me – il chiodo fisso delle grandi infrastrutture. E una ragione c’è.

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Per quel che mi riguarda si tratta della teoria delle infrastrutture di Luigi Einaudi e di Benvenuto Griziotti, sviluppata da Vanoni con il suo piano lodato da Einaudi. Nella concezione di Einaudi le infrastrutture generano crescita. La tesi di Griziotti è che esse suscitano sviluppo anche perché trainano la domanda di lungo termine e contengono innovazione. Ugo La Malfa nel suo disegno di programmazione per il centrosinistra del 1961, basato sui tre squilibri, fra consumi privati e pubblici, su industria e agricoltura e su nord e sud – ha ripreso il tema, aggiungendovi la formazione del capitale umano mediante più spese per ricerca e istruzione e le retribuzioni legate alla produttività. Nel piano spuntavano anche gli incentivi all’industrializzazione. Ma in quel disegno “lamalfiano” non c’era il ponte sullo Stretto, che a me pare un grosso incentivo allo sviluppo industriale, dato che riduce drasticamente i costi dei trasporti, se è collegato alla modernizzazione ferroviaria e stradale. Il ponte è emerso nella programmazione economica dei socialisti e dei democristiani riformisti a metà anni 60, assieme alla teoria della città metropolitana.

 

Il ponte sullo Stretto e la metropoli Reggio Calabria-Messina compaiono nel “Progetto 80” del ministero del Bilancio e della Programmazione economica nel periodo 1966-’69, in cui il ministri furono Gaetano Pieraccini del Psi ed Emilio Colombo, Dc.

Il “Progetto 80”, che costituiva le “Linee Preliminari del Programma Economico Nazionale 1971-’75”, veniva elaborato da un gruppi di economisti, giuristi, urbanisti del Centro studi e piani economici, diretto da Franco Archibugi, di cui io allora facevo parte. Promotore del progetto era Giorgio Ruffolo Segretario generale della Programmazione economica. Il “Progetto 80” fu terminato nel 1971, con ministro del Bilancio Luigi Preti e Mariano Rumor presidente del Consiglio. Ma il Consiglio dei ministri non lo approvò. Il ponte sullo Stretto e la relativa città metropolitana rimanevano dunque sulla carta. Il governo Colombo, succeduto nel 1970 al governo Rumor, con Antonio Giolitti ministro del Bilancio, nel 1971 li ripescò creando la Società dello Stretto Spa, con il compito di indire un concorso per i progetto del ponte; “aereo” o sotterraneo, stradale e ferroviario o solo l’uno o l’altro. Negli anni successivi, i governi del compromesso storico e di solidarietà nazionale non diedero attuazione alle gare, perché contrari alle grandi opere e, in particolare, al ponte avversato da architetti ambientalisti e dai Verdi, ideologicamente nemici “dello sviluppo neocapitalistico”.

 

Prevaleva per il sud la politica dell’industrializzazione forzata. Le infrastrutture “vanoniane” e i salari legati alla produttività “lamalfiani” erano passati nel dimenticatoio. Il progetto del ponte riemerse nel 1981 con il primo governo di centro sinistra degli anni 80, presieduto da Arnaldo Forlani, che, con ministro delle Partecipazioni statali Nicola Capria craxiano, creò la Società concessionaria dello Stretto di Messina, per il 51 per cento del gruppo Iri, e per il 12,25 per cento ciascuno di Anas, Ferrovie dello stato e regioni Sicilia e Calabria. Nel 1984 il presidente del Consiglio, Bettino Craxi, impegnò il governo a una rapida realizzazione del ponte, con il progetto basato su un’unica campata. Questo, in effetti fu discusso e approvato dal governo Craxi nel gennaio 1987. Allora, Romano Prodi presidente dell’Iri fu d’accordo. Il progetto definitivo è del 1992.

Il ponte sospeso è lungo 3,3 chilometri, con una sola campata. Il record finora, per questa tipologia, è di un ponte giapponese di 2 chilometri. Ma il Parlamento non lo approvava. Io lo avevo invece proposto, a scrutinio palese, con il consenso della maggioranza. Poi però, a scrutinio segreto, veniva bocciato. La società dei traghetti avrebbe perso la sovvenzione per questo servizio e avrebbe dovuto cercarsi un’altra attività. Nel segreto dell’urna alcuni la assecondavano. Il governo Berlusconi ha rilanciato il progetto nel 1994. Ma bisogna aspettare il nuovo governo Berlusconi del 2005 per l’appalto, vinto da Impregilo, con il progetto attuale e stradale e ferroviario, poi bloccato dal governo Prodi. Il costo del progetto è 4,694 miliardi di euro del 2002. Il successivo governo Berlusconi ha ripreso il progetto, poi definitivamente bloccato dal governo Monti nel 2012, con l’argomento che il costo era salito a 6,6 miliardi a causa dell’aumento del tasso di interesse e quindi probabilmente si sarebbe dovuto accrescere il contributo pubblico, in precedenza previsto già nella rilevante cifra di 1,8 miliardi per quindici anni. Ma metà della sovvenzione pubblica era coperta dal contributo della Comunità europea per le grandi opere di interesse europeo. Inoltre, lo stato avrebbe risparmiato sia il contributo alle società di traghetti per il trasporto di merci e passeggeri nello Stretto, sia quello alle Ferrovie per il trasporto dei treni sui traghetti. Il tasso di interesse in euro era alto alla fine del 2011. Ma quando Monti bloccò il progetto esso stava scendendo, perché la Banca centrale europea aveva iniziato la sua politica monetaria non convenzionale, basata sull’acquisto massiccio di obbligazioni garantite e aveva abbassato il suo tasso di riferimento. Alla fine del 2012, questo era oramai a zero.

Gli argomenti finanziari per il blocco del progetto diventano sempre più deboli col passare del tempo. Infatti, l’Italia ha perso il contributo comunitario per i finanziamenti dell’opera. Lo stato è gravato da una causa per danni per rottura del contratto da parte della società concessionaria del ponte. Un governo guidato da criteri di finanza pubblica conforme al mercato che ritenesse questo progetto troppo costoso per l’erario, potrebbe ridurre il contributo statale, lasciando libera la società concessionaria di finanziarsi diversamente. E invero ora il tasso di interesse di mercato si è di molto ridotto, mentre il Quantitative easing (allentamento quantitativo) della Banca centrale europea consente l’acquisto di titoli obbligazionari di società pubbliche o para-pubbliche. Al tasso di interesse del 6 per cento i ricavi capitalizzati al presente dei pedaggi per il ponte, per una concessione ventennale, che inizi a operare fra otto anni sono, nell’ultimo anno, lo 0,17 per cento del loro valore effettivo. Al tasso di interesse del 3,5 salgono allo 0,35. Inoltre costi capitalizzati di un euro di lavori di costruzione del ponte durati 8 anni, al tasso del 6 per cento aumentano nell’ultimo anno a 1,79 mentre al tasso del 3,5 aumentano solo all’1,36. In realtà lo stop era ed è dovuto alla ostilità per le grandi opere, sorrette da deboli motivazioni ambientaliste.

 

Si sostiene che il ponte, con l’altezza di 400 metri delle Torri che lo sorreggono, deturpa il paesaggio. Ma esso, come ognuno può vedere è, in sé, una creazione artistica che piuttosto crea una nuova magia nel paesaggio. Mi piacerebbe che i fari di notte lo illuminassero, a turno, con luci di colori diversi e che si facessero concorsi per dipingere murales sulle sue fiancate. Dal lato di Reggio metterei, all’inizio del ponte, di fianco alle Torri, la copia dei due Bronzi di Riace. Sul lato di Messina, invece, le statue di Lentisco e Simmaco, i due atleti messinesi che avevano vinto le Olimpiadi, uno nella lotta libera e l’altro nella corsa. La notte i fari, con colori diversi, possono illuminare il ponte. Secondo gli ambientalisti, il fatto che le navi debbano passare sotto il ponte, nel canale centrale, ove è garantita una altezza di 65-70 metri turberà i pesci, che nuotano nello Stretto. Ma i traghetti che ora li infastidiscono e alterano la flora e la fauna marina, con le loro polluzioni, diminuiranno. Questo nessun miope  ambientalista è in grado di notarlo, ovviamente. Il ponte è in realtà un beneficio per l’ambiente, anche dal punto di vista del risparmio energetico.

 

E’ anche possibile prevedere che ci sarà un grande afflusso di turisti per ammirarlo. La Tav diventerà d’obbligo da Salerno a Palermo. La viabilità siciliana avrà nuovo impulso. La città metropolitana Messina-Reggio diventerà una grande realtà urbanistica, economica, culturale, turistica, terziaria. La ’ndrangheta calabrese e la mafia siciliana perderanno il controllo del loro territorio, perché il ponte genererà mobilità e modernità. Lo perderanno, il controllo, anche i politici clientelari, i bottegai e gli intellettuali, gelosi delle loro aree di influenza. La Germania dell’Est, che era il “Mezzogiorno tedesco”, si è sviluppata e industrializzata con le due politiche, fra loro interdipendenti delle infrastrutture e dei salari legati alla produttività locale e aziendale. Il ponte significa “libertà di scelta”, ovvero civiltà del 2000.

Categoria Economia

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