Banche, i veri obiettivi di Renzi dopo i salvataggi

Dopo le Popolari, il governo riforma le Bcc. L'obiettivo: spingerle a consorziarsi in un soggetto unico. E il premier studia un fondo in difesa dei risparmiatori.

di Francesco Pacifico | 07 Dicembre 2015 lettera43

C’era una volta il risparmio degli italiani.

Intoccabile, quasi una religione laica, pilastro dell’Italia repubblicana tutelata dalla Costituzione.

E venerato dai partiti, non fosse altro perché quei soldi un tempo nascosti sotto il materasso finivano per finanziare il welfare e le grandi opere attraverso l’acquisto di Bot e Cct. 

AZIONISTI IN GINOCCHIO. Ora i fallimenti pilotati di Banca Etruria, Banca Marche, CariFerrara e CariChieti rischiano di mettere in ginocchio i 132 mila piccoli azionisti che hanno visto in pochi giorni bruciare risparmi per 3,5 miliardi e trasformarsi in carta straccia i loro titoli.

E infatti Matteo Renzi studia un piano per dare l’ultimo colpo al bancocentrismo italiano e ai suoi due baluardi rimasti: una raccolta del risparmio spesso opaca e farraginosa, un sistema di controllo che pone gli istituti alla mercé di soggetti incontendibili (le Fondazioni, per esempio) e di potentati locali.

POCO SOSTEGNO ALLO SVILUPPO. Chi ha parlato con il premier dice che Renzi reputa un ostacolo allo sviluppo l’incapacità delle banche di sostenere i consumi delle famiglie (riattivando la domanda interna) e gli investimenti delle imprese.

A maggior ragione dopo che il grosso dei soldi del Quantitative easing messi in circolazione dalla Banca centrale europea non è servito, come sperava Mario Draghi, ad accelerare la dinamica dei prestiti, ma ha finito per sostenere il debito sovrano e i conti degli stessi istituti.

POCA LIBERTÀ DI MOVIMENTO. Per completezza d’informazione va detto che la politica finge di non vedere che le banche - per quanto sempre più restie a fare il loro lavoro naturale, e cioè prestare i soldi prendendosi tutti i rischi del caso - hanno sempre minore libertà di movimento proprio per le regole di contabilità volute dagli Stati e dalla Bce in prospettiva dell’Unione bancaria e dell’introduzione del bail in, il meccanismo in base al quale in caso di fallimento di una banca sono i correntisti a pagare in prima battuta.

L’unico Paese che si oppone, non a caso, è la Germania, che non vuole trasferire la vigilanza delle sue indebitatissime Landsbank alla Banca centrale europea.

La guerra tra banche e governi prosegue

Fatto che la guerra, non soltanto in Italia, tra banche e governi va avanti.

E in quest’ottica molto è stato fatto da Palazzo Chigi con la riforma delle banche popolari, l’autoriforma delle Fondazioni e il decreto che ha salvato Banca Etruria, Banca Marche, CariFerrara e CariChieti.

Ma adesso Renzi studia l’aggressione finale contro quello che al Corriere della sera ha definito il «Moloch del risparmio».

VERSO LA RIFORMA NEL 2016. Il primo obiettivo di questa strategia è quello di spianare la foresta pietrificata delle Banche di credito cooperativo.

Come già avvenuto per le sorelle maggiori, le Popolari, il governo all’inizio del 2016 è pronto ad alzare il tetto minimo di possesso azionario e vuole far saltare il voto capitario, per spingere queste realtà a consorziarsi in un soggetto unico come avvenuto negli anni scorsi in Francia con il Credit Agricole.

Per la cronaca, il settore nicchia perché vorrebbe tutelare gli interessi dei vari territori.

Ma il governo, dopo aver aspettato invano per un anno un’autoriforma, ora ha intenzione di accelerare su questo dossier.

UN SESTO DELLA RACCOLTA. Così diverrebbe contendibile (cioè che può essere conteso tra più acquirenti sul mercato) un sistema che controlla con i suoi 4.450 sportelli un sesto della raccolta italiana e può diventare - una volta unificato - un pericoloso concorrente delle banche tradizionali, vista la sua predisposizione a offrire denaro a famiglie e imprese.

Anche per questo si starebbero valutando dei paletti contro le concentrazioni azionarie, per evitare conquiste estere.

DIFESA DEI RISPARMIATORI. Altro provvedimento allo studio del governo è il fondo in difesa dei piccoli risparmiatori, che da gennaio con l’introduzione delle regole bail in sono chiamati a rispondere in solido dei fallimenti bancari.

Innanzitutto anche in questo caso il grosso del conto lo pagano gli stessi istituti, che finanzieranno per l'80% il nuovo strumento.

E al di là della volontà di non incorrere nelle ire dell’Unione europea, il nuovo fondo allo studio del governo risarcirà i sottoscrittori di bond secondari (quelli comprati non in fase di emissione) con un capitale massimo di 30 mila euro.

SPINTA AGLI INVESTIMENTI. Gli esperti dicono che dietro questa scelta c’è anche la volontà di disincentivare gli italiani a tenere i soldi in banca e spingerli verso investimenti che diano maggiore sostegno all’economia reale.

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