L'America ha Fed nella ripresa

La Federal Reserve ha deciso di aumentare i tassi d’interesse dello 0,25-0,50 per cento. Ma quanto è anormale la nuova normalità?

di Stefano Cingolani | 16 Dicembre 2015 ore 20:32 Foglio

Roma. L’appuntamento era con la normalità e così è stato. La Federal Reserve ha deciso di aumentare i tassi d’interesse dello 0,25-0,50 per cento, esattamente quel che tutti prevedevano. Era difficile resistere al montare delle aspettative, da mesi i mercati finanziari non attendevano altro; e non solo loro. L’economia del mondo intero è rimasta a lungo appesa alle scelte di Janet Yellen, la piccola professoressa dalla candida chioma che guida la banca centrale più potente del mondo. Ma stiamo davvero tornando alla normalità?

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Alcune cifre chiave dell’economia americana, quelle che il board della Fed guarda con maggiore attenzione, dicono di sì. La disoccupazione per esempio è ormai a un tasso di cinque punti percentuali, e continua a scendere. Il prodotto lordo è in crescita ormai da cinque anni consecutivi, sia pur a basso regime, tanto da far pensare a una stagnazione di lungo periodo (secolare dice Larry Summers, idea che sta conquistando anche Pier Carlo Padoan, sia come economista sia come ministro). I consumi tirano mentre gli investimenti non mostrano la vivacità di altre riprese cicliche e probabilmente è proprio qui il segreto di questo andamento lento. Gli animal spirits sono stanchi, spossati da sette anni di vacche magre, sette anni durante i quali la Fed ha tenuto i tassi d’interesse a zero. Il pavimento è stato raggiunto infatti il 15 dicembre del 2008. Quella scelta drastica che fece storcere il naso a tutti i seguaci della regola di Taylor per non parlare della scuola monetaria austriaca che regna alla Bundesbank. Mentre i neokeynesiani hanno tirato fuori dal cassetto la trappola della liquidità: l’acqua c’è, ma il cavallo non beve. Tuttavia, i tassi zero hanno consentito agli Stati Uniti di rimettersi in piedi.

Una politica monetaria così lassista ha alimentato una nuova bolla? Se si guarda a Wall Street sembrerebbe di sì, il valore dei titoli è nettamente superiore a quello del 2008 e i valori delle attività sono ancor più alti perché il costo della vita è piatto, l’inflazione resta attorno all’un per cento, circa la metà dell’obiettivo che la Fed si è data, in sintonia con la Bce. Come mai? “E’ un mistero”, ha scritto il Wall Street Journal. La tesi del mistero circola ormai da mesi e mesi sulla stampa americana, quella specializzata e quella generalista. Gli economisti danno tante spiegazioni parziali, ma nessuno ha la risposta chiara, semplice e completa.

La prima ragione riguarda i prezzi del petrolio che in genere regolano anche quelli delle materie prime. Il greggio è sceso molto con la lunga recessione che ha colpito i paesi occidentali e con il rallentamento della Cina e delle economie in via di sviluppo. Come mai non risale con la ripresa dell’occidente? I sondaggi tra gli esperti danno tutti lo stesso responso: l’anno prossimo scenderà ancora nonostante il ritorno dell’Iran sul mercato. E c’è chi vede all’orizzonte 20 dollari al barile, un livello che mette fuori mercato la maggior parte dei produttori. La stessa Arabia Saudita comincia a sentire i morsi di questa rapida svalutazione, anche se dalle sabbie del deserto l’oro nero zampilla abbondante e i suoi costi di estrazione sono minimi. Secondo una tesi da guerre di mercato, il prezzo del greggio viene usato politicamente, questa volta dagli Sati Uniti per spezzare le reni agli amici e finanziatori dell’Isis. Fatto sta che il prezzo sembra sganciato dalla dinamica classica della domanda e dell’offerta.

In un discorso di 31 pagine lo scorso settembre, la Yellen ha tenuto una vera e propria lezione sulle anomalie di questa fase, a cominciare dalla deflazione. Ne ha concluso che i modelli convenzionali non funzionano più (“sono soggetti a controversia” ha detto letteralmente) e resta una “considerevole incertezza” circa le capacità di prevedere la dinamica dei prezzi. Dunque, nulla è normale nella realtà economica attuale e il ritorno alla normalità è una aspirazione che da sola la banca centrale americana, né quella europea, né nessun’altra, può soddisfare.

Categoria Estero

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