Così il referendum sulle trivelle aiuterà la desertificazione industriale

Perché quando si parla oggi dell’opportunità o meno di continuare con le estrazione di gas naturale in mare il concetto più difficile da fare passare è che, nel caso di una sospensione, l’impatto economico sarebbe drammatico

di Gianni Bessi, PD | 15 Febbraio 2016 ore 18:35

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Quando si parla oggi dell’opportunità o meno di continuare con le estrazione di gas naturale in mare il concetto più difficile da fare passare è che, nel caso di una sospensione, l’impatto economico sarebbe drammatico. Chi non la pensa così avanza tre motivazioni, che sostanzialmente sono “il petrolio italiano è una quantità trascurabile e di scarsa qualità”, “l’industria del petrolio non è ad alta intensità di lavoro e quindi i nuovi posti di lavoro sarebbero pochi”, quel gas e quel petrolio sarebbero dei petrolieri e non del paese. Sono argomenti risibili, soprattutto il secondo. A parte che, anche se pochi, in un momento come questo produrre nuovi posti di lavoro non è un elemento da sottostimare, chi sostiene questo argomento si scorda le migliaia di persone occupate nel settore Oil&Gas italiano. E che, se si proseguirà sulla strada del blocco, perderanno il lavoro.

Le piattaforme nel Mar Mediterraneo

ARTICOLI CORRELATI  Autoflagellazione con trivelle  Non piangere sul referendum perforato  Una trivella nell'occhio di Renzi Ciò che stiamo rischiando è una vera e propria “morte di un distretto industriale”, che non è fatto solo dal colosso Eni ma da migliaia di imprese che operano nella cantieristica navale e nell’impiantistica collegate all’Oil&Gas: un indotto che vale migliaia di posti di lavoro e miliardi di fatturato che, vale la pena ricordarlo, restano nei territori e contribuiscono a sostenerne il welfare. Alcuni dati Unioncamere che si riferiscono al periodo 2009-2014: le perdite di posti di lavoro nella “blu economy” (come viene chiamata l’economia del mare), sono state soprattutto a scapito della cantieristica, con una contrazione di 15 mila posti in tutta Italia. Per rifarsi a un dato più recente, che riguarda la cantieristica ravennate, negli ultimi 6 mesi quasi 900 persone hanno perso l’occupazione (su un totale di 6.700 occupati del distretto ravennate). Il punto non è, quindi, bloccare le estrazioni perché tanto i nuovi lavoratori sarebbero pochi, ma scongiurare la fine annunciata di una ‘comunità’ che ci vede ancora per competenze, per progettazione, per capacità di intervento, fra i migliori del mondo. Siamo pronti a disfarci delle attività in cui siamo tra i migliori del mondo? E una volta chiuse queste attività, come occuperemo le migliaia di addetti che hanno competenze di alto livello ma che ovviamente non sono possono essere formati in tempi brevi per un’altra mansione?

Tutte le piattaforme nel Mar Adriatico

Sono domande che fanno il paio con la giusta preoccupazione espressa recentemente dal Presidente del Consiglio, sulla possibilità che, se si arrivasse a un blocco dell’attività di estrazione, ci sarebbe un impatto drammatico sull’occupazione. Ed è venuto il momento in cui questo paese si chieda cosa vuole “fare da grande” in che settori intende investire capitale umano ed economico, smettendola con la pratica autolesionistica di dire no a tutto. Perché alla fine, se si dice sempre no, non resta niente. Un’ultima osservazione, che riguarda le piattaforme offshore e l’importanza per le economie territoriali. Ancora una volta utilizzo l’esempio di Ravenna, che è una delle capitali italiane del settore. Se si guarda a una mappa della collocazione delle piattaforme si vede come quasi tutte quelle dell’alto e medio Adriatico siano nelle acque emiliano-romagnole e balza agli occhi, anche ai non esperti, quale sia la dimensione economica di questa attività per Ravenna e la regione, a cui va aggiunto l’impatto su quella nazionale e sul gettito dell’erario. Pensare di azzerare questa attività sarebbe come cancellare l’industria automobilistica a Stoccarda o quella della moda a Milano. Termino con una proposta, che voglio mettere sul tavolo per scongiurare questa morte annunciata: costituire anche in Italia un gruppo di lavoro, come ha fatto il Regno Unito per affrontare la crisi del proprio Oil&Gas – che individui una strategia e azioni urgenti di intervento a sostegno del settore e dell’occupazione, basate su tre pilastri: un percorso che porti in tempi brevi all’uso delle rinnovabili, efficientamento energetico e utilizzo in questa fase di transizione del gas metano nazionale. L’importante è che non si proceda ideologicamente ma confrontandosi: e sapendo che la prima cosa da difendere è il lavoro dei nostri concittadini.

Le piattaforme dell'Alto Adriatico

Chi ne è convinto lo invito a partecipare all’edizione di quest’anno della Rem (Renewable energy mediterranean), la conference sull’energia che si terrà il 9 e 10 marzo a Ravenna: sarà sorpreso da quanto sono all’avanguardia le nostre aziende della cantieristica, dell’impiantistica e dei servizi dell’oil and gas anche nel settore delle rinnovabili.

Gianni Bessi è consigliere regionale Pd Emilia-Romagna

Categoria Italia

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guido valota • 31 minuti fa

Il lavoro? È proprio quello che i no tutto vogliono evitare come la peste, prima ancora di TAV e trivelle. Deve pensarci lo Stato, a mantenerli. Mica votano a sinistra per caso: li avete allevati voi, così, a diritti e contro 'il padronato'.

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