Da Telecom a Mediaset. Prove di nuovi capitalismi e poli editoriali

Presto nascerà un player in grado di affrontare la campagna acquisti a livello europeo. La Borsa crede al liberi tutti di Renzi

di Ugo Bertone | 10 Marzo 2016 ore 10:52 Foglio

Milano. La Borsa accelera. Matteo Renzi un po’ frena. Non ho detto – manda a dire all’Ansa attraverso le “fonti vicine a Palazzo Chigi” – di “essere felice di una fusione tra Telecom ed Orange”, bensì “ho fatto un discorso più ampio sugli investimenti internazionali”. Meglio così, ribatte la City milanese: il capitalismo italiano ha bisogno di un disegno più ampio, non solo della riedizione dell’ennesima svolta  della saga Telecom, il punto dolente che accompagna in capitalismo italiano da vent’anni e più. In palio, poi, non c’è solo la sorta di una delle poche grandi imprese domiciliate in Italia ma, finalmente, uno scenario che promette di coinvolgere, oltre alle tlc, il futuro dei media e di altri comparti dell’economia digitale. Per questo fin dalla mattina sui recinti elettronici di Piazza Affari si sono accesi i fuochi d’artificio attorno a Telecom ma ancor di più su Mediaset e società collegate, a partire dalle società delle torri di trasmissione, Inwit e Retelit.

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Il fuoco alle polveri, ancor prima della conferenza stampa veneziana tenuta da Matteo Renzi e François Hollande a Venezia di martedì sera, l’aveva acceso il numero uno di Orange, Stephane Rischard, non nuovo ad avances nei confronti di Telecom Italia. Se Bolloré mi chiamasse – questo il senso della sua risposta a un giornalista al Cairo – potremmo metterci d’accordo. Un bel segnale, visto che Bolloré e Richard sono in pratica vicini di casa in un esclusivo quartiere parigino. Ma soprattutto perché sono ormai in dirittura d’arrivo le trattative tra Orange, l’ex France Telecom, e Bouygues, altro colosso delle tlc d’oltralpe.

Presto nascerà un player in grado di affrontare la campagna acquisti a livello europeo. E non è un mistero che Richard vorrebbe partire proprio da Telecom Italia, ormai controllata dal suo vicino di casa. Le premesse sembrano ideali: nessuna sovrapposizione di business, la possibilità di dar vita all’operazione senza metter mano al portafoglio grazie a uno scambio di azioni. E ci sarebbe pure spazio per un azionista italiano forte, magari dell’area pubblica: sarebbe sufficiente che la Cassa depositi e prestiti conferisse Metroweb in cambio di azioni. In questo modo l’attuale Telecom Italia potrebbe accelerare la corsa alla banda ultralarga, grazie a una struttura finanziaria più robusta. Sul fronte azionario, accanto a Bolloré, ci sarebbe poi la cugina Cdc transalpina, in una riedizione di governance già sperimentata con successo in Stm.

Ma Bolloré? Per quale motivo dovrebbe condividere il primato conquistato nelle tlc? La  risposta arriva, al solito, da Parigi. Il sito di Les Echos ha annunciato nel pomeriggio che Vivendi, l’azionista di Telecom guidato da Bolloré, punta al controllo della pay tv del gruppo Berlusconi. Anzi, è già pronta un’offerta su tutti i titoli, con l’eccezione dell’11 per cento detenuto da Telefonica. In sostanza, il finanziere bretone vuole diventare il protagonista assoluto delle tv a pagamento del sud Europa, contrapponendosi al gruppo Sky di Rupert Murdoch e all’arrembaggio di Netflix, il terzo incomodo. La tela di Vivendi, in realtà, è ancora più complessa.

Le trattative tra il gruppo parigino e Mediaset vanno avanti a mesi, con più obiettivi. Oltre all’accordo, non facile, sulla piattaforma Premium (le parti sembrano ancora divise dal prezzo), sono in ballo una joint venture commerciale e un’intesa finanziaria per condividere lo shopping delle partite d calcio e dei film, oltre a un accordo sulla produzione e la distribuzione delle serie tv e dei lungometraggi. Un dialogo complesso, più volte interrotto, che sembra arrivato allo snodo decisivo, come dimostra la presenza al tavolo di Pier Silvio Berlusconi e di Yannick Bolloré, uno di tre figli del tycoon. La Borsa, che nel pomeriggio ha premiato Mediaset con una pioggia di acquisti, sembra convinta che il sogno di creare un’alternativa mediterranea alle majors angloamericane stavolta possa diventare realtà, anche perché gli avvocati d’affari (studio Chiomenti e Carnelutti) già stanno lavorando al ponderoso contratto. Del resto nel mondo del business, come in politica, è importante saper sognare e far sognare. Nei prossimi giorni si capirà se l’affare andrà in porto. Per ora, però, si possono trarre alcune conclusioni.

Matteo Renzi, innanzitutto, ha rispettato le regole del gioco, come in passato invece non è avvenuto (basti pensare ai goffi tentativi di bloccare le operazioni Edf e Parmalat). L’impronta di Bolloré sul capitalismo italiano è sempre più marcata. Oltre a mirare al controllo dei media e delle tlc, monsieur Vincent, secondo azionista di Mediobanca in cui ha insediato nel consiglio e nel comitato esecutivo la figlia Marie, 27 anni, spinge alla guida delle Generali l’attuale ad Philippe Donnet, ex Axa, a lui vicino. Terzo, l’avanzata di Bollorè avviene in parallelo alla ritirata degli ex poteri forti di casa nostra. Marco Tronchetti Provera ha ricche cedole da garantire ai nuovi padroni di Pirelli, i cinesi di Chem China. I grandi della moda e del lusso, da Leonardo Del Vecchio a Diego Della Valle, non hanno la forza o la volontà per contrastare la leadership assoluta nella carta stampata della corazzata La Stampa-Repubblica, come dimostra l’andamento del titolo Rcs. Fiat-Chrysler ormai guarda a uno scenario internazionale, forte della dua presenza nell’Economist e nell’alleanza, con il clan De Benedetti. Insomma, il capitalismo italiano si riscopre, una volta di più, povero di capitali e senza alcuna intenzione di rischiare almeno nel bel paese. Il premier l’ha capito e si muove di conseguenza: i capitali per la cresita bisogna cercarli oltre frontiera. Ma, per aver successo nell’impresa, bisogna rispettare le regole senza la tentazione di trovare scorciatoie. Il buon politico dei nostri tempi, come accade in giro per il mondo, dev’essere rispettoso della governance come un banchiere che si rispetti. E’ il capitalismo di sempre ma, visti molti precedenti, per l’Italia, è un nuovo capitalismo.

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