Pro e contro la riforma delle BCC. Si cambiano così

Interventi di Mucchetti, De Mattia e doc. 20 parlamentari PD sul Foglio

a cura di Opact 11.3.2016

1-Caro Mucchetti, la riforma delle Bcc si cambia così

Idee per evitare che le banche cooperative ritornino sotto il controllo totalitario di una cooperativa. Ci scrive Angelo Di Mattia in seguito all'appello, firmato da 20 senatori del Partito democratico, pubblicato dal Foglio

di Angelo De Mattia | 11 Marzo 2016 ore 17:33

Caro Direttore, conosco la profondità della competenza e la capacità progettuale di Massimo Mucchetti anche in materia finanziaria e condivido molte parti della lettera da lui firmata, insieme con 19 altri senatori – e pubblicata sul Foglio dell’11 marzo – riguardante la riforma delle Bcc. Non mi convince, invece, la critica a una delle modalità con la quale si potrebbe realizzare la “way out” dalla prevista nuova architettura societaria culminate in un gruppo cooperativo al quale le Bcc dovranno aderire. Si tratta della possibilità di “uscire” per quelle Bcc aventi un patrimonio superiore a 200 milioni che attuino il conferimento d’azienda, che cioè si scindano in cooperativa, conferente, e Spa bancaria, conferitaria, che sarebbe di esclusiva proprietà della prima.

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Il controllo totalitario, ovviamente, inciderebbe sugli indirizzi della spa, pur nei limiti in cui ciò è consentito; la cooperativa potrebbe altresì promuovere direttamente iniziative di mutualità, solidarietà, sussidiarietà. Le riserve dell’originaria Bcc potrebbero essere mantenute dalla cooperativa, previo versamento di una imposta straordinaria, superiore a quella prevista dal decreto legge nel 20 per cento, in ragione della diversa configurazione comunque assunta. Si potrebbe, altresì, incidere sulle funzioni della stessa cooperativa, stabilendo limiti e vincoli. E’ lo stesso schema adottato oltre 25 anni fa per la riforma della banca pubblica, scissa in fondazione e spa bancaria. Del resto, se si vedono pericoli in questa variante della “way out”, cosa si dovrebbe, allora, dire di una obbligatoria partecipazione delle Bcc a un gruppo che sarà governato da una holding in forma di spa? Se la spa è alla testa di un architettura nuova fatta di cooperative di credito va bene, ma se è sotto il controllo totalitario di una cooperativa no?

Con i più cordiali saluti. Angelo De Mattia

2- Appunti e critiche per correggere la riforma del credito cooperativo

L’autoriforma del credito cooperativo viene consolidata nel decreto sulle banche. Se ne avvertiva l’urgenza per affrontare il deterioramento dei crediti concessi a sostegno dei territori. Ma serve uno sforzo ulteriore

di Massimo Mucchetti | 21 Febbraio 2016 ore 06 ( vedi articolo in categoria Economia)

|  Al direttore - Habemus decretum! Bene. L’autoriforma del credito cooperativo viene consolidata nel decreto sulle banche. Se ne avvertiva l’urgenza per affrontare, con le risorse del settore e senza oneri per lo stato, il deterioramento dei crediti concessi a sostegno dei territori. E anche per migliorare la governance, talvolta carente, di queste banche, piccole e preziose. Un plauso al governo, dunque. Ma con una marcata riserva sulla deroga che concede alle banche di credito cooperativo con un patrimonio netto superiore ai 200 milioni la possibilità di trasformarsi in società per azioni versando il 20 per cento della riserva indivisibile all’erario. Cinque buone ragioni ne consigliano la correzione in sede di conversione del decreto in legge.

Caro Mucchetti, la riforma delle Bcc si cambia così  C’è un mercato anemico dietro le banche italiane ingolfate di debito pubblico  La riforma Renzi delle Bcc è efficace perché tutela mercato e cooperazione  Osteggiare la riduzione dei titoli di stato in mano alle banche è sbagliato La prima ragione riguarda la concorrenza. A fine 2014, le Bcc potenzialmente destinate all’opting out erano 14, con un patrimonio netto aggregato di 4 miliardi costituito al 90 per cento dalla riserva indivisibile. Nessuno contesta in linea di principio la possibilità che una Bcc possa chiamarsi fuori dal progetto comune e trasformarsi in S.p.A. Ma, sempre in linea di principio, a patto che versi ai fondi mutualistici la riserva indivisibile, accumulata negli anni in esenzione d’imposta. Il favor fiscale si giustifica con l’esigenza di capitalizzare l’impresa cooperativa, la cui natura giuridica rende difficile l’accesso ai mercati finanziari. E non con l’obiettivo di assegnare un premio ai soci dell’ultima ora. La cooperazione si regge nel tempo su un doppio sacrificio: lo stato rinuncia a una parte delle imposte; i soci alla rivalutazione delle quote rappresentata dall’accumulazione degli utili non distribuiti. Non a caso le quote delle cooperative si scambiano al valore nominale. Se così non fosse, se cioè la riserva accumulata in esenzione fiscale diventasse divisibile, i concorrenti in forma di S.p.A avrebbero buon gioco a considerarla un aiuto di stato e a chiedere alla Commissione europea la restituzione delle imposte evitate all’erario. Ma quali effetti avrebbe sulle Bcc una tale restituzione?

L’entità della riserva indivisibile varia da cooperativa a cooperativa. Nelle 14 Bcc maggiori, al 31 dicembre 2014, pesava più o meno per 3,6 miliardi. Se fissiamo l’imposta evitata a una media storica del 30 per cento, stiamo parlando di 1,1 miliardi. Ma se l’imposta evitata venisse restituita essa dovrebbe essere assimilata a un prestito sul quale andrebbero conteggiati gli interessi passivi. Altro che 20 per cento! Se fosse restituita l’imposta evitata, a nessuna Bcc resterebbe il capitale necessario per l’attività bancaria.

La seconda critica è di carattere etico. So bene che l’etica va richiamata con parsimonia. Ma come non farlo adesso? Con questa norma i soci delle 14 Bcc, avendo investito il 10 per cento del patrimonio, e cioè 400 milioni, acquisirebbero risorse per 2,9 miliardi (la riserva indivisibile di 3,6 miliardi meno il prelievo del 20 per cento ossia meno 720 milioni). E le acquisirebbero senza sborsare un euro. L’imposta sostituiva del  20 per cento verrebbe infatti versata dalle Bcc e non dai loro soci.

La terza critica è giuridica. La norma accoglie una variante suggerita da Nicola Rossi, consulente di alcune Bcc toscane, secondo il quale la Bcc resta cooperativa ma può scorporare l’azienda bancaria in una S.p.A che capitalizza con il proprio patrimonio. La riserva indivisibile resterebbe nella Bcc, e tuttavia sarebbe investita non più nell’attività aziendale mutualistica che la giustificava, ma nella partecipazione in una banca che sarà, a questo punto, a fini di lucro. Una simile soluzione era stata considerata non conforme alla Costituzione quando era stata prospettata per le popolari, che non hanno favor fiscali. A maggior ragione la censura dovrebbe scattare per le Bcc. Vedremo che cosa deciderà la Suprema corte di fronte ai prevedibili ricorsi. In ogni caso, questo schema non può trovare conforto nell’esperienza di Unipol, per quanto sia stata citata da Matteo Renzi e Rossi. Le grandi cooperative di consumo e alcune coop di lavoro, infatti, hanno investito nelle assicurazioni le risorse che consideravano in eccesso (alcune sbagliando), ma nessuna ha scorporato i supermercati o le fabbriche in tante S.p.A riducendosi a mera holding. La variante Rossi mina alla radice la ragion d’essere della cooperazione perché sarebbe improprio applicare a una cooperativa ridotta a holding finanziaria il favor fiscale accordato alle attività mutualistiche.

La quarta critica è economica. L’ex Bcc ora S.p.A perderebbe quasi il 20 per cento del patrimonio netto. Un indebolimento grave. In alcuni casi, la Vigilanza dovrebbe imporre aumenti di capitale di ardua esecuzione. L’ex Bcc sarebbe così destinata a essere venduta e il ricavato, 2-300 milioni, anche meno, diventerebbe il tesorettto del cacicco locale, leader dell’ex Bcc… Dov’è la coerenza con la spinta alla concentrazione bancaria che il governo ha impresso con la riforma delle popolari?

La riforma delle Bcc va nella stessa direzione, ma questo opting out rischia di svuotarla, specialmente se l’accertamento della soglia per diventare S.p.A avvenisse 18 mesi dopo l’entrata in vigore della legge: rischieremmo una corsa alle fusioni tra Bcc per superare la soglia e poi monetizzare. Insomma, dovremo pur chiederci perché la Popolare di Milano non sia abbastanza grande per marciare da sola, mentre lo sarebbe una ex Bcc venti volte più piccola.

La quinta critica è istituzionale. Questa deroga deriva da una decisione solitaria di Palazzo Chigi. Rifiuto le dietrologie che insistono sull’origine toscana delle Bcc aspiranti S.p.A. Ve ne sono anche di lombarde, emiliane e piemontesi. Ma mi preoccupa uno stile di lavoro e di rapporto tra istituzioni che suggerisce al governo simili improvvisazioni senza una verifica preventiva con la Banca d’Italia che, comunque, dovrà poi esercitare la Vigilanza.

Una way out andrà probabilmente cercata, ma costruita in modo tale da evitare la destrutturazione dell’impresa cooperativa. Non faccio previsioni sull’iter parlamentare del decreto, ma dico fin d’ora che sarebbe imbarazzante se passasse senza modifiche reali con i voti determinanti di Denis Verdini, a lungo presidente del fallimentare Credito cooperativo fiorentino, “salvato” da Chianti Banca, una delle 14 Bcc tentate dalla S.p.A, con i soldi della solidarietà mutualistica delle altre Bcc.

3-Perché 20 senatori Pd sono contro Renzi sulle Banche popolari

“E’ un errore consentire la trasformazione della Bcc in spa. Senza due modifiche, per noi è una riforma inaccettabile”. Il testo dell'appello

di Redazione | 10 Marzo 2016 ore 18:04

Matteo Renzi oggi in visita al Distretto Cyber Security presso la sede di Poste Italiane a Cosenza. Cari presidenti, gentile ministra, i sottoscritti senatori ritengono che il disegno di legge sulle banche debba essere modificato in più punti, in particolare negli articoli che riformano il credito cooperativo. L’attribuzione del ddl in prima lettura alla Camera dei deputati ha fatto venire meno la tradizionale navetta che vuole la prima lettura su materie analoghe vada ora a una camera ora all’altra. Lo svolgimento dei lavori, al di là del calendario ufficiale, fa temere una dilatazione dei tempi tale da consegnare al Senato un ddl non più modificabile. Lo diciamo subito, a futura memoria: una gestione dei lavori parlamentari di questo tipo non può essere accettata, specialmente ove Montecitorio non apportasse le modifiche che si rendono necessarie anche in ottemperanza del dettato costituzionale in tema di cooperazione.

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Veniamo al merito. Secondo il ddl, le banche di credito cooperativo costituiscono un gruppo bancario che al  vertice ha una holding in forma di spa. Un patto di coesione definisce i diritti e doveri reciproci delle Bcc. La Bcc che volesse restare da sola perderebbe la licenza bancaria. Il legislatore intende così consolidare il credito cooperativo in una stagione di margini decrescenti, per effetto della manovra della Bce sui tassi d’interesse, e di grave deterioramento dei prestiti, causato dalla recessione. La holding, il cui capitale sarà sottoscritto dalle Bcc nella misura di un miliardo, sorveglierà la sana a prudente gestione delle singole banche. Le più deboli saranno ricapitalizzate dal gruppo attraverso la holding e questa ne indirizzerà e controllerà la gestione. Le Bcc meglio gestite, invece, godranno di ampia libertà. In tal modo, il credito cooperativo, oggi frazionato in 360 Bcc, acquisisce i vantaggi della grande dimensione senza rinunciare all’autonomia delle sue componenti, ove meritata. Questo progetto è largamente positivo, ma il ddl contiene due lacune e un errore che lo possono far naufragare.

La prima lacuna riguarda le modalità con cui le Bcc possono costituire il capitale della holding. Il ddl non precisa se la holding debba essere capitalizzata per contanti o attraverso il conferimento di asset. Non funziona. Bisogna scegliere, e scegliere bene. Con il versamento in contanti, la holding sarà forte, basata su valori non discutibili. Un miliardo liquido, d’altra parte, rappresenta una somma rilevante per le Bcc. Avremo perciò una holding sola e un gruppo unico di credito cooperativo, aperto al capitale finanziario nella holding, che è una Spa, ma non scalabile. Ridurre a 5-600 milioni il capitale della holding e ammettere la sua sottoscrizione attraverso il conferimento di asset (immobili soprattutto, ma anche partecipazioni) favorirebbe la moltiplicazione di holding per lo più illiquide e di gruppi di credito cooperativo per lo più deboli. Alla prima difficoltà, le Bcc dovrebbero aprire le holding anche oltre il 49 per cento per ricapitalizzarsi, non potendo più contare sulla solidarietà del sistema del credito cooperativo. E non ci sarebbe obbligo di legge a conservare il 51 per cento della holding che possa tenere ove i requisiti patrimoniali si indebolissero sotto le soglie stabilite dalla Vigilanza. Ricordiamo che una settantina di Bcc è oggi in difficoltà. Facciamo presente che, avendo tutte le Bcc nella propria ragione sociale lo stesso marchio, sarebbe esiziale per la reputazione dell’intero credito cooperativo - per la fiducia che in esso debbono poter avere le famiglie e le imprese - il "fallimento" di qualche Bcc non  risolto, com’è avvenuto finora, dal credito cooperativo stesso.

L’errore consiste nel prevedere il diritto di uscire dal credito cooperativo per le Bcc con patrimonio netto superiore ai 200 milioni previo pagamento di un’imposta sostituiva del 20 per cento sulle riserve indivisibili. La fuoriuscita potrà avvenire o attraverso la semplice trasformazione della cooperativa di credito in spa ovvero con la scissione dell’azienda bancaria e il suo conferimento a una spa in prima battuta controllata dalla cooperativa e poi chissà. Anche in questo caso si prevede l’imposta sostituiva del 20 per cento.

E’ un errore consentire la trasformazione della Bcc in spa. In tal modo si darebbe ai soci attuali il pieno possesso di riserve, che costituiscono in media il 90 per cento del patrimonio delle Bcc e che sono state accumulate dalle precedenti generazioni in esenzione d’imposta per la precisa finalità di esercitare lo scambio mutualistico nell’attività creditizia. L’imposta sostituiva, d’altra parte, non ripagherebbe le imposte evitate in tanti decenni e il loro costo finanziario cumulato per lo Stato. Ove l’errore fosse confermato, il minimo che ci si possa aspettare è una procedura d’infrazione da parte della Ue per aiuti di Stato.

Nemmeno la scissione dell’azienda bancaria e il suo conferimento a una spa vanno bene. La cooperativa di credito cesserebbe di essere tale; non si capisce come eserciterebbe lo scambio mutualistico, posto che l’attività bancaria passerebbe alla spa. La coop conserverebbe indivise le riserve indivisibili ma si trasformerebbe in mera holding. Per evitare questo esito finanziarizzante, la coop ex Bcc dovrebbe inventarsi altre funzioni di pubblica utilità, ma non si capisce con quali risorse le potrebbe sostenere posto che gli utili della spa, ormai modesti a causa della crisi e ulteriormente ridotti dalle imposte, andrebbero interamente accantonati a riserva per parecchi anni. Il prelievo del 20 per cento, infatti, indebolirebbe i requisiti patrimoniali delle Bcc in uscita in una fase storica nella quale la Bce e le banche centrali nazionali richiedono mezzi propri sempre più elevati.

Morale: se i soci di una Bcc vogliono trasformare la banca che hanno ricevuto dalle precedenti generazioni in una spa, seguano le procedure normali, versino le riserve indivisibili ai fondi mutualistici per lo sviluppo della cooperazione e deliberino un aumento di capitale adeguato. Se sono così certi della bontà della ditta, troveranno sottoscrittori.

La seconda lacuna, infine, riguarda la data alla quale si calcola se una Bcc raggiunge o meno la soglia dei 200 milioni che darebbe diritto alla way out. Logica vorrebbe che ci si riferisse all’ultimo bilancio approvato prima dell’entrata in vigore della legge. Ma il ddl tace e con questo silenzio accredita il sospetto che si voglia procrastinare nel tempo la verifica della soglia così da consentire anche a Bcc di minor taglia di approfittare della way out attraverso fusioni dell’ultima ora.

Una tale combinazione di errori e di lacune può risultare fatale al progetto del gruppo bancario cooperativo con gravi ricadute sull’intero sistema del credito. E sarebbe un peccato.

Vi chiediamo dunque di operare in modo tale da scongiurare esiti inaccettabili.

Mucchetti, Casson, Corsini, D’Adda, Dirindin, Fornaro, Gatti, Gotor, Guerra, Guerrieri Paleotti, Lai, Lo Giudice, Lo Moro, Manassero, Micheloni, Migliavacca, Pegorer, Ricchiuti, Sonego, Tocci

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