Il senso delle Grandi coalizioni

Dopo la vittoria della destra radicale nell’Austria dei governi bipartisan, svetta la tenuta delle Grosse koalition a Berlino e a Roma. Le radici manifatturiere, quelle ideologiche temperate e l’incognita immigrazione

di Redazione | 25 Aprile 2016 ore 18:35 Foglio

Il risultato del primo turno delle elezioni presidenziali austriache di domenica ha più che confermato le attese di un successo del Partito della libertà, che ha ottenuto un risultato straordinario, mentre i candidati delle due formazioni che da sempre guidano gli esecutivi austriaci, socialisti e popolari, hanno subito una sconfitta clamorosa, superati non solo dall’esponente della destra ma anche da quelle dei Verdi e di un movimento indipendente, finendo al quarto e al quinto posto.

Se si tiene conto che una grande coalizione tra popolari e socialisti gestisce le istituzioni dell’Unione europea ed è al governo del paese più ricco e popoloso, la Germania, viene naturale chiedersi se quel che è avvenuto a Vienna preluda a un simile declino al livello continentale. Probabilmente l’allarme sul “contagio” è eccessivo o almeno prematuro. La grande coalizione austriaca vivacchiava da tempo, mentre quella tedesca dà prova di una capacità di guida che ora riceve anche l’omaggio del presidente americano Barack Obama, che fa capire di considerare ormai la Germania l’alleato preferito, preferito in Europa perfino al Regno Unito.

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Quello che sembra più ammaccato, comunque, è il fronte socialista europeo, che ha cercato a lungo di evitare di prendere posizione sul problema migratorio: prima ha tentato di catechizzare il popolo bue sul dogma dell’accoglienza indiscriminata, poi – nel caso austriaco – ha adottato in extremis misure simboliche di chiusura dei confini, inutili di per sé, ma che hanno di fatto agevolato la campagna dei movimenti che di questo tema facevano la loro bandiera. Prima del cancelliere socialista austriaco, si era assistito alle confuse operazioni del governo socialista francese a Ventimiglia, mentre il premier socialista ceco ha annunciato la chiusura delle frontiere per difendersi dalla presunta e inesistente invasione degli immigrati, seguendo l’esempio del premier socialista slovacco che per tenere la linea di assoluta chiusura agli immigrati si è persino alleato con l’estrema destra.

Va detto che, nello stesso giorno del trionfo austriaco del movimento anti-migranti, si è verificato un avvenimento di segno contrario, con la vittoria del conservatore filo europeo nelle elezioni serbe, che potrebbe preludere a una sistemazione meno precaria della situazione balcanica e che comunque va in direzione opposta alla disgregazione europea che consegue alla politica della restaurazione dei confini nazionali che interessa ormai tutti i paesi che una volta erano parte dell’impero austro-ungarico.

Soltanto la grande coalizione tedesca a guida popolare e la piccola coalizione italiana guidata dal Pd (che aderisce al partito socialista europeo) sembrano reggere a questa pressione, ma ancora non hanno trovato il modo di gestire in modo condiviso la tematica migratoria. Il vertice di Hannover tra i quattro “grandi” europei e il presidente americano ha fornito l’occasione per auspicare anocra una volta un’impostazione unitaria, ma si tratta di un tentativo già sostanzialmente fallito nel corso di numerosi vertici europei. Tra le ragioni strutturali della tenuta della Germania e dell’Italia, probabilmente c’è il fatto che in questi paesi, dove è ancora forte l’attività manifatturiera, risulta meno accentuata l’erosione delle posizioni politiche che si erano costruite sulla centralità della lotta di classe, anche perché in realtà queste stesse formazioni, attraverso una metamorfosi consistente, hanno saputo mettersi in relazione con le evoluzioni sociali. Questo non esclude il contagio, specialmente se non si trova un meccanismo europeo di gestione del controllo delle frontiere esterne e di condivisione dei richiedenti asilo, ma lo rende meno inarrestabile di quanto pensino Matteo Salvini e soci.

Categoria Estero    

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