1-Ttip: Greenpeace svela, 'Usa tentano di colpire tutele salute Ue'

2-Cosa c’è davvero dentro il Ttip (oltre alle bufale di Greenpeace)

ANSA e Linkiesta 3.5.2016

1-Ttip: Greenpeace svela, 'Usa tentano di colpire tutele salute Ue'

Nell'ambito del libero scambio di merci, servizi e investimenti fra i due lati dell'Atlantico

Redazione ANSA ROMA 02 maggio 2016

Jorgo Riss, direttore di Greenpeace per l'Unione europea, ha dichiarato: "Questi documenti trapelati ci consentono uno sguardo senza precedenti sull'ampiezza delle richieste americane, che vogliono che l'Ue abbassi o aggiri le sue tutele dell'ambiente e della salute pubblica nell'ambito del Ttip". Secondo l'esponente ecologista, citato dal Guardian, "la posizione europea è brutta, ma quella americana è terribile" e, secondo lui, "si sta spianando la strada a una gara al ribasso negli standard ambientali, della salute e della tutela dei consumatori".

Il Ttip (Transatlantic Trade and Investment Agreement) fra l'Unione europea e gli Stati Uniti, di cui oggi si è da poco concluso il 12mo round negoziale a New York, è concepito per essere un ambizioso trattato di libero scambio di merci, servizi e investimenti fra i due lati dell'Atlantico. Un trattato che, se andrà in porto, creerà la più grande area di libero scambio del pianeta, sommando due economie che insieme, rappresentando oltre 800 milioni di persone, ammontano già oggi al oltre il 46% del Pil dell'intero pianeta. Un trattato in cui il commercio sarebbe solo la parte minore e le cui conseguenze sarebbero gigantesche e inciderebbero radicalmente sulla vita di entrambi i continenti. Ma sul quale vi sono differenze radicali fra i due continenti nei rispettivi regolamenti in molte aree, dall'ambiente alle regole del mercato del lavoro, dalla proprietà intellettuale ai servizi finanziari.

  

2-Cosa c’è davvero dentro il Ttip (oltre alle bufale di Greenpeace)

di Francesco Cancellato 3 Maggio 2016 - 09:00 Linkiesta

Per gli ambientalisti i documenti trafugati sono la prova che l’accordo transatlantico tra Usa e Ue «metterà al centro del processo politico le multinazionali» e che «le negoziazioni ora non sopravvivranno alle rivelazioni». È vero? Non esattamente

La notizia è datata primo maggio 2016. Greenpeace avrebbe trafugato 248 pagine di documenti riservati che rivelerebbero, finalmente, cosa c’è nelle negoziazioni del patto transatlantico di libero scambio tra Stati Uniti d’America e Unione Europea che si cela dietro la sigla Ttip. Il giorno successivo, 2 maggio, quelle 248 pagine sono state rese pubbliche. E, stranamente, le interpretazioni hanno superato le analisi in velocità: «I documenti trafugati sono la conferma di quel che diciamo da parecchio tempo - ha detto Jorgo Riss, direttore di Greenpeace Europa, in una dichiarazione ripresa da parecchi giornali italiani e stranieri -: il Ttip metterà le multinazionali al centro del processo decisionale politico, a discapito dell’ambiente e della salute pubblica. Sapevamo che la posizione europea era sbagliata, ma ora possiamo vedere che quella americana è ancora peggiore. Un compromesso tra le parti sarà per noi inaccettabile».

E ancora: «Le negoziazioni del Ttip non sopravvivranno a questi leak - gli ha fatto eco sull’Independent John Hilary, direttore esecutivo di War on Want, un’organizzazione britannica che si batte contro la povertà nel mondo -. L’unico modo che la Commissione Europea aveva per continuare i negoziati era tenerli segreti. Ora possiamo vedere i dettagli e sono scioccanti. Questo è sicuramente l’inizio della fine di questo patto scellerato». A favore di questa interpretazione, spiegano altri commentatori, le posizioni «inconciliabili» in molti dei dossier oggetto del trattato.

Siamo sicuri sia così? In particolare: siamo sicuri che ciò che emerge dai leak sia un patto contro la salute umana, sacrificata sull’altare del libero mercato? E soprattutto, siamo sicuri che i negoziati siano davvero a un passo dalla fine? Per saperlo c’è solo un modo. Armarsi di tanta pazienza, di un vocabolario e andarsi a leggere le 248 pagine trafugate. Provando ad astrarsi per un attimo dai commenti di chi - a volte il caso... - stava già conducendo una battaglia contro il trattato.

Partiamo dalla fine. In particolare, dal documento numero 16. L’unico, a dire il vero, meritevole di una vera esegesi. Il resto, infatti, è una serie “testi consolidati” e di “proposte iniziali” difficilmente interpretabili. Il documento 16, dal titolo “Tactical state of play of the TTIP Negotiations”, è una nota confidenziale di un anonimo negoziatore europeo che spiega e interpreta tutto il resto, offrendo uno spaccato - questo sì interessante - sulle affinità e sulle divergenze tra i negoziatori europei e quelli americani.

Già dalle prime frasi si può evincere una certa tendenza alla sovrainterpretazione da parte degli oppositori all’accordo. Secondo la nota, infatti, «le discussioni stanno procedendo in un’atmosfera aperta e costruttiva» e nonostante entrambe le parti «siano d’accordo nell’accelerare» le trattative, «l’obiettivo è quello di negoziare un accordo di alto livello che risponda sia agli interessi europei sia a quelli americani» e che ciò significa che «la sostanza prevarrà sulla velocità». Possibilmente, questa è l’intenzione degli europei, perlomeno «per assicurare progressi sostanziali entro le vacanze estive». Insomma, se questo è il negoziatore pessimista, chissà gli ottimisti.

Andiamo avanti, però. Che tra le righe di questa nota ci sono in effetti tante cose interessanti. Una su tutte - e qui non ci voleva Greenpeace per scoprirlo -, la maggior propensione degli statunitensi alla deregulation, rispetto a una maggiore rigidità europea rispetto a regolamentazioni pre-esistenti. Un esempio? Sui prodotti chimici, si legge ad esempio nella nota, «gli Stati Uniti hanno sollevato alcune questioni sulla sensibilità europea». L’Europa, tuttavia, «su tali prodotti non ha offerto alcun margine di trattativa».

Altro esempio simile - per certi versi il più eclatante - è quello dei cosmetici. In particolare, su quei prodotti con i filtri anti raggi ultravioletti, la cui sperimentazione sugli animali è consentita in America e non in Europa. In quest’ambito, osserva il negoziatore del Vecchio Continente, «gli approcci rimangono inconciliabili» e l’accesso al mercato europeo «rimane un problema».

Secondo la nota, infatti, «le discussioni stanno procedendo in un’atmosfera aperta e costruttiva» e nonostante entrambe le parti «siano d’accordo nell’accelerare» le trattative, «l’obiettivo è quello di negoziare un accordo di alto livello che risponda sia agli interessi europei sia a quelli americani» e che ciò significa che «la sostanza prevarrà sulla velocità»

Il giochino continua, peraltro. Ad esempio, osserva l’anonimo scrivente come le posizioni sull’agricoltura siano «molto lontane». Ad esempio, sul vino: con i negoziatori europei che vorrebbero che gli americani perdessero il vizio di usare i nomi “semi-generici” di diciassette vini del Vecchio Continente, mentre gli americani di regole sul vino nel Ttip non vorrebbero nemmeno sentire parlare.

A volte però anche gli americani sono protezionisti. Ad esempio, nella parte dedicata agli appalti pubblici. È un mercato, quello degli appalti americani, che fa molta gola alle imprese europee strozzate dai patti di stabilità. Gli americani però, giusto un paio di mesi fa, a febbraio, hanno approvato una legge, il Fast Act, che offre agli Stati federali la possibilità di consentire una corsia preferenziale negli appalti infrastrutturali alle imprese statunitensi. I negoziatori europei hanno chiesto più volte spiegazioni, racconta l’anonimo notista, ma «gli Stati Uniti non sono stati in grado di dare risposte».

A volte invece per le risposte bisogna attendere che i negoziatori americani si consultino con le loro lobby: ad esempio, relativamente ai servizi di comunicazione, sui quali i negoziati sono in stallo per la richieste degli operatori telefonici americani «molto interessati ai flussi di dati» europei. O ancora, annota che «gli Stati Uniti hanno detto che avrebbero dovuto consultare le loro industrie chimiche per capire come posizionarsi sull’accesso al mercato per i beni non agricoli».

Quel che c'è, insomma, non sembra preconizzare un patto diabolico tra Usa e Ue, divise su molte questioni sì, ma nemmeno sul punto di una rottura imminente. Quel che più preoccupa Greenpeace, tuttavia, è quel che non c’è nei restanti documenti, oltre al numero 16. Non ci sono riferimenti agli accordi sul clima presi in occasione della Cop21 a Parigi. Non c’è alcun principio di precauzione per bloccare prodotti o servizi laddove emerga il ragionevole dubbio in merito a nuove scoperte scientifiche. Non ci sono risposte europee laddove i negoziatori statunitensi propongono un gruppo di lavoro per adottare un “iniziativa di presenza a basso livello’” di organismi geneticamente modificati sul suolo europeo.

Abbastanza silenzio per preoccuparsi? «Ci sono un bel po’ di equivoci attorno ai supposti “leak” di un trattato ambizioso che Stati Uniti ed Europa stanno negoziando a porte chiuse da metà del 2013 - ha risposto sul suo blog Cecilia Malmstroem, commissaria europea al commercio -. Devo ripeterlo ancora una volta: nessun accordo commerciale abbasserà il nostro livello di protezione dei consumatori, o della sicurezza alimentare, o dell’ambiente». Nel frattempo i negoziati sono proseguiti, sino allo scorso venerdì a New York, facendo grossi progressi, stando alle parole dei negoziatori, che si sono spinti a indicare un accordo entro l’anno. Toccherà aspettare qualche mese, quindi, per sapere se ha ragione la Malmstroem o Greenpeace.

Categoria Estero

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